da "Il Giornale" 21 luglio 2017
Spesso al Re Vittorio Emanuele viene
rivolta l’accusa di aver lasciato l'esercito senza ordini alla data
dell'armistizio e gli viene contestato il fatto di aver lasciato Roma, con un
atto di vigliaccheria, il 9 settembre '43.
In realtà, le cose andarono diversamente.
Era ben nota a tutti i militari italiani, la possibilità che, subito dopo la
proclamazione dell'armistizio, i tedeschi aggredissero l’Italia. D’altra parte,
in virtù del Patto di alleanza del 22/5/'39, è evidente che l'Italia non
potesse voltare i propri cannoni contro i tedeschi per il sol fatto di aver
chiesto un armistizio agli anglo-americani. Alla lettura del proclama del Maresciallo
Badoglio, dunque, ci si rese subito conto che non si poteva ordinare di
attaccare i tedeschi: bisognava invece impartire ordini per il caso in cui
fossero questi ultimi ad attaccare per primi.
Ed ecco il significato della
frase chiave del proclama: «le forze armate Italiane reagiranno ad attacchi di
qualunque altra provenienza». Quale avrebbe potuto essere questa «altra
provenienza», se non quella tedesca? Gli ordini, perciò, c'erano ed erano
chiari ma vi fu chi
preferì non eseguirli, inventando
la favola della mancanza, ben presto sfruttata dalla propaganda
anti-monarchica, perpetuata nei decenni seguenti dagli storici conformisti, che
di fatto hanno contribuito a coprire chi aveva preferito non compiere il proprio
dovere. Al terzo Re d'Italia viene poi contestato di essere fuggito da Roma.
Ma
in un momento così delicato, il Re aveva il dovere di evitare che l'Italia
cadesse in balia dei tedeschi o degli anglomericani, creando un governo
fantoccio ai propri ordini, come accaduto in altri paesi d'Europa. Per dare continuità
alle istituzioni italiane legittime era indispensabile quindi formare un nuovo
governo e metterlo in grado di agire, evitando la cattura da parte dei nazisti
(che avevano progettato di deportare l'intera Famiglia Reale già dal luglio
1943, come accaduto alla Principessa Mafalda) ma restando in Italia: così il Re
si trasferì con il governo a Brindisi, portando con sé il Principe ereditario
Umberto, che inizialmente chiese di poter rima-nere a Roma.
Lo stesso presidente
della Repubblica Ciampi ha affermato che così facendo «il Re ha salvato la
continuità dello stato». Nella situazione confusa di quei giorni il Re sapeva
bene che i suoi avversari politici avrebbero potuto accusarlo di vigliaccheria,
ma scelse di sacrificare la sua immagine per il bene dell'Italia perché, come
la storia ha sempre dimostrato, la salvezza della Corona avrebbe significato la
salvezza della Patria.
Santino Giorgio Slongo
Busto Arsizio (Varese)
L'ho sempre pensata cosi, e non ci si poteva aspettare altro dal Re Soldato. Saremmo finiti rasi al suolo come la Germania, Roma compresa.
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