Luigi Barzini: "Non chiedeva mai cosa fosse vantaggioso per la causa monarchica, per la Corona, per lui, ma solo quale fosse il suo dovere di fronte alla Legge, che cosa fosse più utile per l’Italia".
Benedetto Croce: "Le nostre radici sono nella Monarchia: essa è necessaria all’Italia e ci confortano molto la personalità e le qualità di Re Umberto".
Luigi Einaudi :"Il Re, sin dal primo giorno della Luogotenenza, è stato un esempio di coscienza del dovere, di spirito democratico, di correttezza costituzionale".
Giovanni Mosca: "Maestà… per la maestà, appunto, di cui per così lunghi anni seppe illuminare ogni suo atto, ogni sua parola".
Il Presidente del Consiglio Ferruccio Parri: “In coscienza devo riconoscere che quell'uomo sarebbe il migliore dei Re”.
Il Generale Mark W. Clark: “Il 7 Dicembre 1943, alla vigilia dell’attacco di Monte Lungo, il Principe Umberto credette essere suo dovere offrirsi per un volo di ricognizione sulle linee nemiche, data la sua pericolosità ed importanza e dato che questa avrebbe salvato migliaia di vite italiane e americane, come infatti ebbe poi a verificarsi”.
La giornalista Flora Antonioni: “I bambini, e soprattutto i bambini, erano il Suo pensiero dominante. Il Quirinale ne era pieno e se avesse potuto avrebbe raccolto tutti i bambini sofferenti e bisognosi della nostra Italia. Mi raccontava che aveva sempre negli occhi i loro volti, i loro sguardi; che in ogni città o villaggio ove si recava durante e dopo la guerra, tra i tanti orrori il più straziante era quello delle sofferenze delle piccole vittime, dei mutilatini, degli orfani. Ogni istante libero dai Suoi doveri istituzionali era per i bambini: organizzava assistenza, cure, educazione, istruzione. Per loro, disse, dobbiamo lavorare ed essere uniti, oltre ogni idea politica. Lo stesso cuore, la stessa bontà di Sua Madre”.
Lo scrittore e critico Geno Pampaloni: “E’ stato un uomo silenzioso, discreto, riservato, non toccato dal morbo ormai intollerabile della intervistomania, dell’esibizionismo e della chiacchiera. Conduceva una vita modesta, era fedele al suo ruolo, con stile, coerenza e senza iattanza. È morto da Re; seppur lacerato dalla nostalgia per la sua terra, non ha mai sottoscritto, neppure nei giorni stremati della malattia che lo indeboliva, una qualsiasi parola di abdicazione o di resa. In sostanza era una persona per bene, che ha dimostrato, nel Giugno del’46 e nei trentasette anni trascorsi d’allora, di anteporre il bene della Nazione a quello della Dinastia. Non era un uomo di potere, e anzi la sua signorile mitezza appariva improntata al contrario della sete di potere. La memoria che lascia è una memoria di pulizia, resa più umana e familiare dalla lunga malinconia dell’esilio”.
Quel triste 18 Marzo 1983 S.M. il Re Juan Carlos I di Spagna dichiarò: “Lo zio Umberto, lui che aveva perduto il Trono, mi ha insegnato come si fa il Re”.
Falcone Lucifero, il Suo devoto Ministro, dopo aver dato l’annunzio della scomparsa del Re disse: “più grande del dolore per la morte di Umberto II deve essere il rimorso di quanti hanno privato l’Italia di questo Re”.
Nessun commento:
Posta un commento