L'Italia bizantina
L'VIII secolo, che vide il massimo splendore ed
il declino della potenza longobarda, è caratterizzato in Italia da tre fattori
che si incrociano nella vita politica: il regno longobardo, l’impero e il
papato.
Abbiamo sommariamente visto, nel paragrafo
precedente, come il regno longobardo si sviluppasse, ma è interessante
esaminare ora i suoi rapporti con altri due poteri che con esso dividevano il
dominio in Italia.
Il Papato era ormai divenuto una grande
potenza; dopo che l'editto di Costantino ebbe assicurato la libertà al
cristianesimo, il Vescovo di Roma venne acquistando un prestigio sempre
maggiore, affermando anche fra lotte e contrasti il suo primato su tutti i
Vescovi del mondo, retaggio trasmesso attraverso l'ininterrotta serie
pontificale da S. Pietro. Mentre l'autorità imperiale decadeva, cresceva in
Roma quella dei Papi che più volte intervennero, riuscendo anche a salvare la
città da saccheggi e da stragi come Leone I nel V secolo fermò Attila e
Gregorio I, al tramonto del VI, il longobardo Re Agilulfo.
Naturalmente il papato era più affine
spiritualmente all'imperatore bizantino rappresentante della civiltà romana,
che ai barbari longobardi, ma a mano a mano che questi vennero avvicinandosi
alla civiltà ecclesiastica, soppiantando anche i bizantini in varie parti
d'Italia, i loro rapporti con i Papi migliorarono, specie sotto taluni sovrani
che condussero una politica di mitezza e di deferenza verso Roma.
I bizantini avevano conservato parecchie terre
in Italia; erano infatti in loro possesso: Venezia e l'Istria; l'esarcato,
comprendente parte dell'Emilia con la sede dell'esarca a Ravenna; la pentapoli
marittima composta da Ancona, Pesaro, Rimini, Senigallia e Fano e la pentapoli
annonaria di cui facevano parte Urbino, Fossombrone, lesi, Cagli e Gubbio; il
ducato romano, che dalla Tuscia a nord del Tevere, giungeva fino a Terracina;
il ducato di Napoli, diviso in vari tronconi con Napoli, Gaeta, Cuma, Amalfi,
Pesto, Agropoli e i territori circonvicini; la Calabria o terra d'Otranto,
presto ridotta alla sola penisola Salentina, che fu poi ceduta nella guerra
sfortunata di Costante II ed infine il Bruzio, ossia l'odierna Calabria.
Parte di queste terre ben presto però furono
perdute e pervennero in mano dei longobardi, altre furono perse per le
ribellioni locali con cui le popolazioni si sottrassero al dominio di Bisanzio,
infatti i vari imperatori avevano sempre mantenuto come costante loro politica
quella ingerenza nelle questioni teologiche ed ecclesiastiche, che verrà, poi
definita cesaropapismo, tali pretese non potevano non urtare contro il potere
papale e spesso vennero anche in contrasto col sentimento religioso delle popolazioni
italiane, che unito all'ostilità contro gli orientali cagionò la cosiddetta
rivoluzione italiana che dal 726 in poi mosse guerra ai rappresentanti
bizantini che furono uccisi o spodestati. A questo periodo appunto risale l'elezione del primo Doge, fatta dai
veneziani, resisi indipendenti dal duce bizantino dell'Istria.
La malaccorta politica bizantina conduceva alla
perdita di tutta l'Italia, gli imperatori naturalmente nemici degli invasori
longobardi erano venuti a conflitto anche con i Pontefici che avrebbero potuto
invece essere naturali e preziosi alleati e tale lotta si rincrudì fra il 731 e
il 752 allorquando Bisanzio ordinò il sequestro dei patrimoni ecclesiastici
nell'Italia meridionale bizantina e tentò di sottrarre queste terre alla
giurisdizione ecclesiastica del Papa per affidarle al Patriarca di Costantinopoli.
Di questi dissensi avrebbero voluto
approfittare i longobardi, ma i Papi non lo permisero, si assistette allora ad
un'alleanza fra longobardi e bizantini che permise all'esarca di riprendere
Roma, Ravenna e Venezia (dove però rimase il Doge come magistrato locale).
Queste lotte non consolidarono però i longobardi e tanto meno i bizantini il
cui potere era ormai decisamente al declino in Italia, quanto al Papato,
costretto a destreggiarsi faticosamente fra gli uni che attentavano alla sua
indipendenza politica e gli altri che minacciavano la sua giurisdizione
religiosa, comprese facilmente l'opportunità di cercare appoggio in un altro
potere che avesse basi estraitaliane e i cui interessi non fossero in contrasto
con quelli religiosi e politici del Pontificato. I tempi erano tali da non
consentire ad un Papa che non disponesse di una sovranità territoriale, una
libera esplicazione del suo ministero e questa verità non poteva sfuggire
all'intuito politico finissimo della Curia romana che pertanto cercò un rimedio
e credette di trovarlo nei franchi, un popolo stanziato nella Gallia, che si
era convertito al cattolicesimo al principio del VI secolo allorquando il Re
Clodoveo aveva ricevuto il battesimo dal Santo Vescovo Remigio.
Il re dei franchi, Pipino, era stato unto Re
dall'Arcivescovo Bonifacio nel 751, per comando di Papa Zaccaria, e questo atto
fu l'inizio franco, questi continuò d'accordo con il Papa Adriano I la sua
politica di intervento in Italia.
Avendo il successore di Astolfo, Desiderio,
invaso il territorio romano, Carlo con l'aiuto di un partito longobardo
favorevole, scese in Italia e nel 774 vinse e spodestò il re longobardo,
facendosi riconoscere come suo successore dai maggiorenti. Al Papa confermò le
donazioni di Pipino, riconoscendolo solennemente come sovrano di Roma e degli
annessi territori.
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