NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 16 gennaio 2024

Saggi storici sulla tradizione monarchica - IV

L'Italia bizantina


L'VIII secolo, che vide il massimo splendore ed il declino della potenza longobarda, è caratterizzato in Italia da tre fattori che si incrociano nella vita politica: il regno longobardo, l’impero e il papato.

Abbiamo sommariamente visto, nel paragrafo precedente, come il regno longobardo si sviluppasse, ma è interessante esaminare ora i suoi rapporti con altri due poteri che con esso dividevano il dominio in Italia.

Il Papato era ormai divenuto una grande potenza; dopo che l'editto di Costantino ebbe assicurato la libertà al cristianesimo, il Vescovo di Roma venne acquistando un prestigio sempre maggiore, affermando anche fra lotte e contrasti il suo primato su tutti i Vescovi del mondo, retaggio trasmesso attraverso l'ininterrotta serie pontificale da S. Pietro. Mentre l'autorità imperiale decadeva, cresceva in Roma quella dei Papi che più volte intervennero, riuscendo anche a salvare la città da saccheggi e da stragi come Leone I nel V secolo fermò Attila e Gregorio I, al tramonto del VI, il longobardo Re Agilulfo.

Naturalmente il papato era più affine spiritualmente all'imperatore bizantino rappresentante della civiltà romana, che ai barbari longobardi, ma a mano a mano che questi vennero avvicinandosi alla civiltà ecclesiastica, soppiantando anche i bizantini in varie parti d'Italia, i loro rapporti con i Papi migliorarono, specie sotto taluni sovrani che condussero una politica di mitezza e di deferenza verso Roma.

I bizantini avevano conservato parecchie terre in Italia; erano infatti in loro possesso: Venezia e l'Istria; l'esarcato, comprendente parte dell'Emilia con la sede dell'esarca a Ravenna; la pentapoli marittima composta da Ancona, Pesaro, Rimini, Senigallia e Fano e la pentapoli annonaria di cui facevano parte Urbino, Fossombrone, lesi, Cagli e Gubbio; il ducato romano, che dalla Tuscia a nord del Tevere, giungeva fino a Terracina; il ducato di Napoli, diviso in vari tronconi con Napoli, Gaeta, Cuma, Amalfi, Pesto, Agropoli e i territori circonvicini; la Calabria o terra d'Otranto, presto ridotta alla sola penisola Salentina, che fu poi ceduta nella guerra sfortunata di Costante II ed infine il Bruzio, ossia l'odierna Calabria.

Parte di queste terre ben presto però furono perdute e pervennero in mano dei longobardi, altre furono perse per le ribellioni locali con cui le popolazioni si sottrassero al dominio di Bisanzio, infatti i vari imperatori avevano sempre mantenuto come costante loro politica quella ingerenza nelle questioni teologiche ed ecclesiastiche, che verrà, poi definita cesaropapismo, tali pretese non potevano non urtare contro il potere papale e spesso vennero anche in contrasto col sentimento religioso delle popolazioni italiane, che unito all'ostilità contro gli orientali cagionò la cosiddetta rivoluzione italiana che dal 726 in poi mosse guerra ai rappresentanti bizantini che furono uccisi o spodestati. A questo periodo appunto risale    l'elezione del primo Doge, fatta dai veneziani, resisi indipendenti dal duce bizantino dell'Istria.

La malaccorta politica bizantina conduceva alla perdita di tutta l'Italia, gli imperatori naturalmente nemici degli invasori longobardi erano venuti a conflitto anche con i Pontefici che avrebbero potuto invece essere naturali e preziosi alleati e tale lotta si rincrudì fra il 731 e il 752 allorquando Bisanzio ordinò il sequestro dei patrimoni ecclesiastici nell'Italia meridionale bizantina e tentò di sottrarre queste terre alla giurisdizione ecclesiastica del Papa per affidarle al Patriarca di Costantinopoli.

Di questi dissensi avrebbero voluto approfittare i longobardi, ma i Papi non lo permisero, si assistette allora ad un'alleanza fra longobardi e bizantini che permise all'esarca di riprendere Roma, Ravenna e Venezia (dove però rimase il Doge come magistrato locale). Queste lotte non consolidarono però i longobardi e tanto meno i bizantini il cui potere era ormai decisamente al declino in Italia, quanto al Papato, costretto a destreggiarsi faticosamente fra gli uni che attentavano alla sua indipendenza politica e gli altri che minacciavano la sua giurisdizione religiosa, comprese facilmente l'opportunità di cercare appoggio in un altro potere che avesse basi estraitaliane e i cui interessi non fossero in contrasto con quelli religiosi e politici del Pontificato. I tempi erano tali da non consentire ad un Papa che non disponesse di una sovranità territoriale, una libera esplicazione del suo ministero e questa verità non poteva sfuggire all'intuito politico finissimo della Curia romana che pertanto cercò un rimedio e credette di trovarlo nei franchi, un popolo stanziato nella Gallia, che si era convertito al cattolicesimo al principio del VI secolo allorquando il Re Clodoveo aveva ricevuto il battesimo dal Santo Vescovo Remigio.

Il re dei franchi, Pipino, era stato unto Re dall'Arcivescovo Bonifacio nel 751, per comando di Papa Zaccaria, e questo atto fu l'inizio franco, questi continuò d'accordo con il Papa Adriano I la sua politica di intervento in Italia.

Avendo il successore di Astolfo, Desiderio, invaso il territorio romano, Carlo con l'aiuto di un partito longobardo favorevole, scese in Italia e nel 774 vinse e spodestò il re longobardo, facendosi riconoscere come suo successore dai maggiorenti. Al Papa confermò le donazioni di Pipino, riconoscendolo solennemente come sovrano di Roma e degli annessi territori.


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