di Gianluigi Chiaserotti
Ritengo di ricordare Joseph-Marie de Maistre, filosofo, scrittore, uomo
politico e soprattutto savoiardo di nascita e quindi sempre fedele alla
Monarchia Sabauda ed al suo Re, ma in senso tradizionale ed organico.
Joseph-Marie de Maistre nacque a Chambery il giorno 1 aprile 1753, duecentosettanta
anni fa.
Ben presto entrò nella massoneria e fu al servizio della monarchia sabauda,
che nel 1802 lo inviò in veste di plenipotenziario a San Pietroburgo al
cospetto dello zar Alessandro.
Ambasciatore
del re Vittorio
Emanuele I presso la corte
dello zar Alessandro
I (1777-1825) dal 1803 al
1817, poi da tale data fino alla morte ministro reggente la Gran Cancelleria
del Regno di Sardegna, de Maistre fu tra i portavoce più eminenti del movimento controrivoluzionario che fece seguito alla Rivoluzione
francese e ai rivolgimenti
politici in atto dopo il 1789.
Propugnatore
dell'immediato ripristino della monarchia ereditaria in Francia, in quanto istituzione ispirata per via divina, e
assertore della suprema autorità papale sia nelle
questioni religiose che in
quelle politiche, de Maistre fu anche
tra i teorici più intransigenti della Restaurazione, sebbene non mancò di
criticare il Congresso
di Vienna, a suo dire autore da
un lato di un impossibile tentativo di ripristino integrale dell’”Ancien Régime” (peraltro ritenuto di sola facciata) e dall'altro di compromessi
politici con le forze rivoluzionarie.
Il
Nostro morì in Torino il 26 febbraio 1821.
§ 1. Pensiero ed opere -
Le sue opere più importanti sono Sulla sovranità del popolo (1794),
rimasta incompiuta, le “Considerazioni sulla Francia” (pubblicate
anonime nel 1796), il “Saggio sul principio generatore delle costituzioni
politiche e delle altre costituzioni” [pubblicato senza che de Maistre
lo sapesse nel 1814, a Parigi, dallo scrittore, filosofo e politico Louis de
Bonald (1754-1840)], “Sul papa” (1819), le “Serate di
San Pietroburgo” (uscite nel 1821, poco dopo la morte dell’autore).
Le travolgenti
La convinzione di fondo che percorre l’intera riflessione di de Maistre è
infatti che gli uomini non siano padroni delle proprie vicende e dei propri
accadimenti: ciò pare del resto incontrovertibilmente provato dal fatto che,
quando al Rivoluzione raggiunse l’apice della tirannide, ci volle poco per
rovesciarla; il XVIII secolo si è presentato come rivolta contro Dio, il quale
ha punito questo efferato delitto ritirandosi dalla storia, lasciando fare agli
uomini.
Proprio in virtù di ciò “il mondo andò in frantumi”, dice de Maistre.
L’imperdonabile errore commesso dalla filosofia moderna sta nel ritenere
che tutto sia bene, mentre in realtà l’uomo è profondamente segnato
dalla colpa del peccato originale e, in forza di ciò, nel mondo, dove
ogni cosa è stravolta, v’è soltanto violenza, crudeltà, efferatezza, cosicché
anche gli innocenti finiscono col pagare per i colpevoli.
Nelle “Serate di San Pietroburgo” il Nostro torna con
rinnovato interesse sul problema del male e del dolore, asserendo che
il vero male è imputabile esclusivamente
all’uomo, il quale impiega in maniera distorta la propria libertà, mentre il
male fisico non è che la conseguenza di tale colpa. E’ soltanto
il sacrificio a poter espiare le colpe di cui l’umanità si è
macchiata, “in primis” il sacrificio di Cristo, ma poi anche
quello degli innocenti che si fanno carico delle colpe e soffrono anche per i
colpevoli. L’agire di Dio (che è l’unico e autentico padrone della storia) può
apparire dispotico e crudele, ma ciò dipende solamente dalle colpe degli
uomini, che rivendicano per se stessi una libertà assoluta.
De Maistre attacca duramente le teorie contrattualistiche e le vane pretese
di creare una società nuova, tutte pretese chimeriche della dilagante mentalità
illuministica e dei rivoluzionari, che confidavano esclusivamente nella ragion
umana.
La conclusione cui de Maistre addiviene è che “il più grande flagello
dell’universo è sempre stato in tutti i secoli ciò che chiamiamo filosofia”,
ovvero l’umana ragione che agisce autonomamente e, presa da orgoglio, senza accompagnarsi
alla fede, giungendo per tale via ad esiti esclusivamente distruttivi. Ne
segue, allora, che la costituzione politica non può né deve essere
opera dell’uomo e assumere artificiosamente una codificazione scritta, giacché
l’uomo non può creare nulla e ciò vale non solo sul piano naturale, ma anche su
quello morale e politico. La costituzione è, al contrario, il modo di esistere
che un potere superiore (cioè divino) assegna a ciascuna nazione, cosicché il
potere non puo’ essere del popolo e l’unico modo di ricostruire la vera
sovranità dipende da un potere unico e assoluto. La legge, infatti, è
realmente tale se e solo se emana da una volontà superiore, non dalla volontà
di tutti o dei più. Sicché la forma naturale di governo (quella che rispecchia
il volere divino) è la monarchia, ove al potere del monarca non si possono
porre limiti di alcun tipo. In antitesi con quel che credevano i rivoluzionari,
il re può essere ucciso ma non legittimamente giudicato. Conseguentemente, la
monarchia ereditaria, finalizzata a perpetuare il potere unico e assoluto, è la
forma di governo avente la massima stabilità e il massimo vigore.
Nell’opera “Sul papa”, il Nostro accentua esponenzialmente la
dimensione teocratica del suo pensiero, arrivando a sostenere l’urgente
necessità di ripristinare il primato e la funzione universale che il
papato aveva avuto nel Medioevo, in quanto unico potere superiore e infallibile,
in grado di impedire alle monarchie stesse di degenerare in tirannidi e di
ricostruire l’unità che è bene (di contro alla divisione, che è sempre male).
Lo scritto “Sul papa” (pubblicato nel 1819, in pieno clima
di restaurazione) ebbe grande successo,
a tal punto da avere cinquanta edizioni nel corso del XIX secolo: di fronte
allo spettacolo della carneficina prodotta dalla Rivoluzione francese e, più in
generale, dalla storia, paragonata a un immenso “mattatoio” [Georg Wilhelm Friedrich
Hegel (1770-1831) stesso ricorre a CODESTO paragone],
quand’è affidata alla sola ragione umana, de Maistre presenta come unico
salvifico rimedio il ripristino di un’autentica autorità indivisa, al di sopra
dei monarchi stessi: il papa. Senza il papa, il cristianesimo stesso si riduce
ad una credenza fra le tante, priva di potenza: il papa serve per mantenere
l’unità della cristianità, anche nelle zone più periferiche. Non a caso de Maistre
lo paragona al Sole nel sistema dei pianeti, che tutto illumina e tutto
alimenta: è “il grande demiurgo della civiltà universale”, in cui
l’autorità spirituale infallibile e la sovranità temporale fanno tutt’uno. Una
pari importanza alla figura del papa in sede politica sarà ammessa anche da
Vincenzo Gioberti (1801-1852) (anch’egli operante a Torino), che - nel 1842 –
con lo scritto sul “Primato civile e morale degli italiani” prospetta
come soluzione della questione italiana una confederazione di Stati, governati
ciascuno dal proprio principe, sotto la guida morale del papa (il neoguelfismo): “l'opera
del risorgimento é opera di educazione, bisogna promuovere un'altissima
aspirazione idealistica, un ritorno alle tradizioni e ai valori, che in Italia
sono quelli del cattolicesimo, ristabilire il dominio di
quell'Idea, che in Italia sede del papato, ha la sua naturale dimora”.
“Il potere deve essere assoluto”. Contro la concezione democratica del
potere fondato sulla volontà del popolo, Joseph de Maistre ripropone la teoria
del potere che viene da Dio, e in quanto tale assoluto e infallibile. Si noti
la vicinanza con la dottrina di Thomas Hobbes (1588-1679): il potere deve
essere assoluto o non può esistere.
Dal suo “Del Papa”:
«Che non si è mai detto dell’infallibilità considerata sotto l’aspetto
teologico!
Sarebbe difficile aggiunger nuovi argomenti a quelli
che i difensori di quest’alta prerogativa hanno accumulato per appoggiarla
sopra autorità incrollabili, e levarle d’attorno i fantasmi di cui l’han cinta
i nemici del cristianesimo e dell’unità, nella speranza di renderla, se non
altro, per lo meno odiosa. Ma io non so se per questa grande questione, come
per tante altre, sia stato abbastanza notato che le verità teologiche sono
semplicemente delle verità generali, manifestate e divinizzate sul piano
religioso, di modo che non si potrebbe assalirne una senza assalire anche una
legge mondiale.
L’infallibilità nell’ordine spirituale, e
la sovranità nell’ordine temporale, sono due parole perfettamente
sinonime. L’una e l’altra esprimono quell’alto potere che ad ogni altro impera,
da cui ogni altro deriva, che governa e non è governato, giudica e non è
giudicato.
Quando noi diciamo che la Chiesa è
infallibile, non chiediamo per essa – è essenzialissimo osservarlo –
nessun privilegio particolare; chiediamo soltanto ch’ella goda del diritto
comune a tutte le sovranità possibili, le quali agiscono tutte necessariamente
come infallibili; perché tutti i governi sono assoluti; e non esisterebbero
piú, quando si potesse loro resistere sotto pretesto d’errore o d’ingiustizia.
[...].
Chiesa; in un modo o in un altro bisogna che sia
governata, come qualunque altra associazione; altrimenti non vi sarebbe piú
aggregazione, non insieme, non unità. Questo governo è dunque di sua natura
infallibile, ossia assoluto, senza di che non governerebbe piú.
Nell’ordine giudiziario, che è una delle parti del
governo, non è fuor di dubbio che bisogna assolutamente giungere a un potere
che giudica e non è giudicato, precisamente perché sentenzia in nome del potere
supremo di cui è ritenuto organo e voce?».
Interessante è la dignità del latino nel suo “Saggio sul principio generatore delle
costituzioni politiche”.
Secondo
Joseph de Maistre la grandezza della lingua latina è data dalla sua storia.
I Romani le hanno impresso il senso della maestà. Essa poi è stata usata
per civilizzare i barbari. Infine i grandi scienziati l’hanno usata per
scrivere le loro opere.
«Niente uguaglia la dignità della lingua latina. Fu parlata
dal popolo-re, il quale le impresse quel marchio di grandezza unico
nella storia del linguaggio umano, che nessuna lingua, neppure la piú perfetta,
è mai riuscita a conquistare. Il termine di maestà appartiene al
latino. La Grecia lo ignora; ed è soltanto per la maestà che essa rimase
inferiore a Roma, nelle lettere come sui campi di battaglia. Nata per
comandare, questa lingua comanda ancora nei libri di coloro che la parlarono. È
la lingua dei conquistatori romani e dei missionari della Chiesa romana: uomini
che differiscono soltanto per lo scopo ed il risultato della loro azione. Per i
primi si trattava di asservire, umiliare, sconvolgere il genere umano; i
secondi venivano ad illuminarlo, risanarlo, salvarlo; ma si trattava sempre di
vincere e di conquistare e, da una parte e dall’altra, si trova la stessa
potenza. [...].
È la lingua della civiltà. Mescolata a quella dei
nostri padri, i Barbari, ha saputo affinare, ingentilire e, per cosí
dire, spiritualizzare quei rozzi idiomi che soltanto cosí sono
diventati quel che vediamo. Forti di questa lingua, gli inviati del Pontefice
romano andarono incontro a quei popoli che piú non li avvicinavano. Dal giorno
del loro battesimo, costoro non l’hanno piú dimenticata. Si dia uno sguardo a
un mappamondo; la linea d’arresto di questa lingua universale segna i
confini della civiltà e della fraternità europea; al di là troverete soltanto
quella parentela umana che si trova fortunatamente dovunque. Il segno
distintivo dello spirito europeo è la lingua latina. [...].
Dopo essere stato lo strumento della civiltà, mancava
al latino un solo genere di gloria, e lo conquistò, quando maturò il momento,
divenendo la lingua della scienza. I geni creatori l’adottarono per comunicare
al mondo i loro grandi pensieri. Copernico, Keplero, Descartes, Newton e cento
altri ancora, importantissimi anche se meno celebri, hanno scritto in latino.
Una enorme quantità di storici, pubblicisti, teologi, medici, antiquari,
inondarono l’Europa di opere latine di ogni genere. Piacevoli poeti, letterati
di prim’ordine restituirono alla lingua di Roma le antiche forme e la
riportarono ad un grado di perfezione che non cessa di stupire gli uomini che
paragonano i nuovi scrittori ai loro modelli. Tutte le altre lingue, per quanto
studiate ed intese, tacciono tuttavia nei monumenti antichi, probabilmente per
sempre.
Sola tra tutte le lingue morte, quella di Roma è
veramente risuscitata; e, simile a colui che celebra dopo venti
secoli, una volta risuscitata, non morirà piú».
Bibliografia –
Domenico Fisichella “Joseph
de Maistre Pensatore Europeo”, Laterza 2005;
Idem “Sovranità e
Diritto Naturale in Joseph de Maistre”, Pagine (Lucarini), 2015;
Enciclopedia Biografica
Universale Treccani, Roma 2007, vol. 12 “Lucat-Maure”, “Maistre,
Joseph de”, pag.269
Nessun commento:
Posta un commento