NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 27 aprile 2023

Capitolo XXXVIII La vita del fiume

 


 di Emilio Del Bel Belluz

 

Le giornate trascorrevano tranquille come le acque del fiume che scorrevano placide. Elena si stava avvicinando al parto, mancavano solo poche settimane. In casa era sempre presente Genoveffa che non la lasciava mai sola. Elena era diventata però più taciturna, parlava solo lo stretto necessario, si vedeva che era preoccupata per il parto; anche se di figli ne aveva già avuti tre e tutto era andato nei migliori dei modi. La stagione dell’estate era tra le più proficue per la pesca e le acque del fiume erano di un verde cristallino perché da molto non pioveva. Una tarda mattina era venuta a vedermi, assieme a Serena, mentre rientravamo con la barca. Nei loro volti c’era la curiosità di appurare la quantità del pesce pescato.  Quel giorno poi eravamo stati molto fortunati, la calma del fiume in certi punti ci aveva permesso di catturare alcune trote, che si muovevano nel secchio grande. I nostri volti erano felici come se avessimo catturato una balena. Osservai il volto di Elena i cui lineamenti si erano addolciti e pensavo al grande momento che ci attendeva. Quella nascita l’avrei festeggiata alla grande, un figlio è una cosa davvero meravigliosa e straordinaria che ti cambia la vita. Elena aveva espresso il desiderio di ritornare a casa per mangiare tutti assieme. Quel giorno con Serena avevano preparato un piatto speciale: un arrosto di carne con patate. Questa notizia ci fece accelerare il passo di ritorno. Il sole scaldava i tetti delle case e le nostre teste; sentimmo il bisogno di ripararci in casa. In cucina Genoveffa aveva preparato la tavola, arricchendola con dei fiori rossi, appena raccolti. Il profumo del cibo s’era espanso dappertutto. Quando fummo seduti a tavola, vennero portati i piatti con la carne e le patate che furono salutati con una felicità che si poteva toccare con le mani. Volli anche stappare una bottiglia che mi aveva dato un contadino in cambio di un pesce.  Non avevamo ancora finito di pranzare che Elena aveva chiesto il permesso di ritirarsi in camera, si sentiva stanca. La accompagnai e le chiesi se stava male. Mi rispose che stavo più in ansia di lei e che non c’era per il momento nulla di cui preoccuparsi, era semplicemente stanca.  Quella mattina si era accorta che dolcemente le avevo fatto una carezza prima di andarmene a pesca che era stata molto gradita ed avrebbe voluto che mi soffermassi ancora con lei. Si era anche accorta che ero stato nella cameretta dei bambini e che li avevo baciati. Questo le aveva fatto pensare a suo padre che prima di partire per il fronte aveva voluto salutare dolcemente tutte le persone della famiglia. Elena aveva nel cuore la paura che questo potesse accadere ancora.  Mi sedetti accanto al letto e le presi la mano per rassicurarla, come facevo tante volte. Le augurai di riposarsi serenamente.  Nel frattempo, i miei amici avevano finito di pranzare e li avevo congedati. Successivamente dovetti interrompere la conversazione con Genoveffa perché era arrivato un uomo del paese portandoci una terribile notizia: suo figlio si era buttato nel fiume e non riuscivano a trovarlo. Le acque del fiume avevano portato il suo corpo lontano e l’uomo era disperato. Era il suo unico figlio. Alla mattina aveva lasciato un biglietto sul tavolo in cui spiegava il motivo del suo gesto. Al ritorno della guerra la sua mente non era più la stessa, gli incubi ricorrenti notturni non lo lasciavano riposare e durante il giorno non aveva più un momento di tranquillità; rimuginava continuamente le terrificanti scene belliche.  L’uomo mi chiese di aiutarlo nelle ricerche, desiderava partecipare attivamente.  Vittorio notò nel padre i suoi occhi stanchi e il viso stravolto dal dolore. Genoveffa ci diede del caffè e della grappa da portare con noi; le ricerche sarebbero continuate a lungo. Il padre prima di andarsene, chiese a Genoveffa di avvertire sua moglie che era partito con me. La donna attendeva notizie completamente in preda alla disperazione. Salimmo sulla mia barca e solcammo un tratto del fiume fino a raggiungere il posto dove il figlio aveva abbandonato una giacca. Ivi le acque del fiume creavano dei pericolosi vortici. Al padre avevo raccomandato di non fare dei movimenti bruschi, altrimenti, la barca si sarebbe potuta capovolgere. Gli chiesi solo di prestare attenzione se intravedeva qualcosa che assomigliasse a un corpo. L’uomo che nel cuore aveva la disperazione, scrutava intensamente qualsiasi cosa che galleggiasse. Le ore passavano, il capannello di persone s’era dileguato. Il padre appariva allo sfinimento delle sue forze, era diventato taciturno e impadronito dalla rassegnazione. Decisi che sarei ritornato a casa, non si poteva fare di più di quello che era stato fatto. Il fiume solitamente restituiva i corpi delle persone, ma poteva farlo anche qualche giorno dopo. Il cadavere poteva essersi impigliato nella vegetazione che abitualmente costeggiava le rive del fiume. Succedeva anche a me, quando gettavo le reti per pescare. Il padre accettò che lo conducessi a casa, e con una certa velocità lo riportai vicino alla riva e lo feci scendere. Gli promisi che le mie ricerche sarebbero riprese la mattina dopo, all’alba. Per suo figlio non si poteva fare altro che aspettare; l’uomo mi abbracciò forte e mi mise tra le mani del denaro che rifiutai. Nel salutarlo, gli promisi che l’avrei cercato il giorno dopo, e se avessi avuto notizie mi sarei fatto sentire ancora prima.  Mentre stavo legando la barca all’albero, scorsi un bagliore sull’altra parte della riva, dove non avevamo ancora perlustrato. Avevo l’impressione che qualcuno avesse acceso un fuoco. La stanchezza che mi aveva rapito era tanta, nella barca avevo qualcosa da mettere sotto i denti, e mentre mi approssimavo a farlo, vidi arrivare Ludovico con una borsa. Elena lo aveva mandato a cercarmi, voleva avere notizie perché non si sentiva tranquilla. Infatti, solcare il fiume con la barca con il solo ausilio di una lanterna, non era un’impresa facile. Quello che mi sosteneva era la speranza di trovare il corpo del giovane. Ludovico mi chiese di mangiare qualcosa, e in quel momento compresi che la sua presenza mi stava aiutando. Ludovico mi propose di continuare a cercare assieme a lui, ma prima volle andare da Elena e rassicurarla che mi aveva trovato. Quando giunse a casa, Elena stava parlando con Genoveffa, e le raccontava che non si sentiva tanto bene, anche per la paura che mi succedesse qualcosa. Ludovico nel vederla, le disse che mi aveva trovato e che avremmo continuato le ricerche ancora per qualche ora. Con questo proposito raggiunsi Vittorio che nel frattempo aveva mangiato qualcosa. Volevo raggiungere quel fuoco che si vedeva acceso, non che sperassi di trovare lo scomparso, ma mi sembrava una possibilità che non si poteva scartare.  La lampada illuminava la notte, poche stelle brillavano nel cielo e la luna piena stava sopra di noi. Ludovico era silenzioso, ma io che avevo visto il volto del padre disperato, non potevo dimenticarlo. La corrente del fiume in certi punti era più veloce e la stanchezza nelle braccia si faceva sentire, anche se il pasto frugale mi aveva ridato dell’energia. Dopo una navigazione difficile giungemmo all’altra riva, la barca sembrava conoscesse la strada. Quella luce che avevo visto in lontananza, poteva essere quella di qualche vagabondo che aveva deciso di passarvi la notte. Avvicinandoci, scorgemmo due persone che stavano davanti al fuoco mentre facevano bollire una pentola. Riconobbi che uno dei due era l’uomo che cercavamo. L’altra persona che stava con lui era un frate. Quando ci videro, l’uomo ritenuto scomparso cercò di scappare, ma la persona che era con lui lo afferrò per un braccio e lo fece desistere.  Il frate cercò di pacificare l’uomo che stava con lui e si mise a sedere vicino al fuoco, invitandoci anche noi a fare altrettanto. Il frate disse che aveva visto l’uomo nel fiume che stava annegando e si era buttato in acqua e lo aveva portato a riva. Dopo averlo salvato, aveva in tutti i modi cercato di rasserenarlo e gli garantì che lo avrebbe accompagnato da suo padre. Il poveretto balbettò qualche parola, disse che voleva porre termine alla sua vita che era diventata insopportabile. Quando fu recuperato dal fiume, comprese che il buon Dio gli aveva mandato qualcuno a salvarlo e doveva ringraziarlo. Il frate si trovava in quella zona perché stava restaurando un capitello posizionato nel bosco vicino. Si era avvicinato al fiume per prendere dell’acqua da bere. Quel giorno aveva iniziato il lavoro, ma non avendolo finito, aveva deciso di passare la notte vicino al capitello. Quando aveva visto che il giovane stava annegando si era gettato nel fiume per salvarlo. Il frate disse che forse il peggio era stato superato e che, molto verosimilmente, la vita del giovane sarebbe ricominciata. Il frate lo abbracciò calorosamente, lo benedì e gli donò un’immagine di padre Leopoldo. Vittorio mise la mano in tasca e donò del denaro al frate, chiedendogli di pregare per Elena che era in attesa di un bambino. Il frate mi abbracciò, mi disse che sarebbe andato tutto bene, e perciò non dovevo temere nulla.  Il giovane aveva timore di presentarsi ai suoi e, pertanto, lo condussi nella mia casa.  Ludovico andò ad avvertire i genitori che il loro figliolo era stato ritrovato sano e salvo.

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