La malattia di Ludovico finalmente ebbe
termine, dopo una settimana di riposo forzato riprendemmo la via del fiume.
Eravamo arrivati a primavera inoltrata e le giornate erano sempre più calde e
più ricche di ore di luce. Una delle mie passioni era quella di osservare gli
alberi e la vegetazione che nascevano spontanei lungo le rive: un vero miracolo
della natura. Gli alberi erano delle nuvole di vari colori. Il freddo
dell’inverno era un ricordo lontano. Una cosa era certa, dopo tanti anni che
lavoravo immerso nella natura, rimanevo sorpreso nel vedere sempre dei nuovi
scorci. Il colore del fiume non era mai eguale, dopo piogge abbondanti, le sue
acque da limpide diventavano limacciose. Non sarebbe stato facile riproporre su
una tela i suoi mille colori. Mi soffermavo tuttora ad ammirarlo a lungo, come
lo vedessi per la prima volta e ciò mi rasserenava l’animo. Da bambino il fiume
era il mio migliore amico, sempre fedele e presente. Quando avevo un
dispiacere, correvo al fiume per confidargli le mie pene; ero convinto che mi
potesse ascoltare e che mi desse la forza per superarle. Una volta non lontano
da casa mia c’era una casa colonica che era stata abbandonata dai suoi abitanti
perché il fiume ogni tanto l’invadeva. Solo una signora anziana non aveva voluto
abbandonare la casa, anche se i figli, dopo la morte del padre, s’erano
trasferiti in un paese vicino, lasciandola sola. L’anziana donna si chiamava
Rosa e da tempo aveva superato gli ottant’ anni. In molti si erano recati da
lei per convincerla ad andarsene, ci aveva provato anche il vecchio prete, ma
non c’era stato nulla da fare. Quando il curato era andato a casa sua aveva
detto che non se ne sarebbe andata che dopo morta. Al vecchio parroco aveva
detto che in un giornale aveva letto di una donna che alla morte del marito era
rimasta nella sua casa lungo il fiume Mississipi a tener vivo i ricordi della
sua famiglia. Il marito era sepolto poco lontano da casa, in una tomba al
limitare del bosco. Rosa non aveva mai avuto paura la solitudine perché, a suo
dire, quelli che hanno fede non temono niente. La donna aveva mostrato al
parroco un posto dove il marito aveva issato una croce in legno, dove ogni
giorno, appena sveglia, andava a pregare. Quel luogo era per lei sacro, e mai
avrebbe potuto abbandonarlo. Quella croce l’aveva confortata nelle tante
avversità. Il parroco l’aveva lasciata alle sue convinzioni, aveva compreso che
niente e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. La donna nell’accompagnarlo
gli chiese il favore di venire a recitare il S. Rosario davanti alla croce,
almeno una volta all’anno. Il vecchio curato acconsentì a questa richiesta che
fu esaudita fino alla fine della vita di Rosa. Quando la donna morì, il parroco
disse che quella croce doveva rimanere dove si trovava, a testimonianza di una
grande fede. Ogni anno, in quel luogo, la gente del paese si recava a pregare,
e veniva ricordata la donna che aveva resistito al fiume e agli uomini. La casa
con il tempo crollò e diventò preda della natura, ma quella croce svettava
ancora, a testimonianza che quando si lascia qualcosa di sacro, esso resiste al
tempo. In quel luogo molte persone vi avevano portato dei rosari, segno che
chiedevano a Dio una grazia. Ripresi la via del fiume, e andai con il mio amico
nei pressi della croce che si poteva ammirarla dalla riva. Talvolta vi calavo
le reti in quel posto tranquillo e riuscivo a catturare dei pesci piuttosto
grandi. Questo lo facevo nei periodi dell’anno in cui avevo più bisogno di
guadagnare. Ad ogni pescata dicevo che era merito di quella croce a cui
rivolgevo le mie preghiere. Ludovico condivideva quello che dicevo di quel
posto, piaceva anche a lui, perché aveva la mia stessa fede. I giorni che
seguirono furono lieti, la pesca era stata abbondante e la vita in famiglia era
serena. Ludovico appariva il più fortunato di tutti. Stava vivendo il periodo
più magico della vita: l’innamoramento. Una mattina mi disse che voleva andare
a Treviso a vedere il Duce che veniva a parlare alla popolazione. Avrebbe
voluto salutarlo romanamente e sperava di potergli raccontare che la sua gamba
l’aveva perduta in guerra e che si sentiva onorato di aver combattuto tra le
fila dei carlisti. Quando accennava a queste cose si commuoveva, sui suoi occhi
si poteva vedere la sincerità dei suoi ideali. La guerra gli era rimasta
dentro, sentiva il cuore battere più forte quando recitava la preghiera del
Requeté Carlista. “ La morte del giusto è il principio della vita. La morte sul
campo di battaglia è la morte ideale delle grandi anime. Se l’ora della morte
si avvicina, resta tranquillo, affidati alla misericordia divina. Non temere
nulla, riposa nella Pace di Cristo, come colui che dorme, poiché chi muore in
Dio riposa in pace”. Ludovico era felice di recitarmi questa preghiera, l’aveva
imparata a memoria nei momenti in cui si trovava sul letto di dolore in Spagna.
Gliela aveva fatta conoscere una suora che lo aveva assistito, e gliela aveva
scritta su un libro che teneva sempre vicino. In quei momenti, in cui il male
lo perseguitava, la fede gli fu di enorme aiuto. Quando uscivamo per andare a
pescare, salendo in barca, si faceva il segno della croce, chiedendo l’aiuto
del buon Dio.
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