di Emilio Del Bel Belluz
Alla mattina, come usualmente, mi ero avviato al fiume. La giornata era fredda seppure fossimo in aprile e l’acqua del fiume era limacciosa perché aveva piovuto molto. La corrente del fiume era piuttosto forte, non era una giornata di quelle che promettevano bene. La barca comunque scivolò sull’acqua come il solito, e feci il tratto necessario senza troppa difficoltà. La prima rete che issai conteneva un pesce enorme: una raina, che non era frequente pescare. Il pesce si dimenava nella barca, e dovetti metterlo al sicuro perché non lo perdessi. Almeno avevo avuto una soddisfazione, il fiume mi aveva premiato, e istintivamente osservai il campanile della chiesa, le cui campane suonavano le sei. Elena poco dopo si sarebbe svegliata per preparare la colazione ai bambini. Avrei voluto essere con loro, li avevo osservati prima di uscire mentre dormivano placidamente.
Mentre tiravo le reti in barca, il mio pensiero andò alla sera precedente in cui mi ero addormentato leggendo la storia di un soldato dello Zar, che dopo aver combattuto molte guerre e visto cose terrifiche aveva costruito una dacia. Non avendo figli aveva ospitato un nipote, rimasto orfano, e gli aveva insegnato a cacciare e a pescare. Nel libro venivano descritte le loro giornate di pesca sul Dnieper. Il vecchio soldato aveva l’abitudine, una volta calate le reti, di parlare della guerra e il nipote lo ascoltava con molta attenzione senza perdere una parola. Una volta il nipote gli aveva rivolto una domanda alla quale lo zio non aveva risposto. Gli aveva chiesto se durante la guerra avesse ucciso dei nemici.
Allora il volto dello zio si incupì e aveva detto farfugliando che il compito di un soldato era quello di fermare il nemico e non aveva aggiunto altro. Si mise successivamente a parlare dello scrittore Tolstoj e a raccontare, precisamente, della sua opera Guerra e Pace, mentre attendevano che qualche pesce abboccasse alle loro canne. Mentre stavo pensando a questa storia, la barca venne colpita da un ramo trascinato dalla corrente che, a momenti, mi fece quasi cadere in acqua, ma il buon Dio non volle che accadesse.
Qualche ora dopo ero soddisfatto per aver catturato alcune anguille che avrei venduto con molta facilità. La giornata aveva preso una piega diversa, finalmente avevo vinto il freddo perché era sorto il sole. La primavera era iniziata da due settimane e sui rami degli alberi si vedevano le prime gemme e sugli argini facevano capolino alcuni ciuffi d’erba verde. Gli uccelli volteggiavano nell’aria e poi sfioravano l’acqua con il becco, in cerca di cibo. Rimisi le reti in acqua e con il pescato mi avviai a Motta di Livenza, ove m’attendeva, come d’accordi, un cliente per l’acquisto del mio pesce. Ero rimasto indietro con i pagamenti alla bottega e, anche se il gestore si fidava di me, non mi sentivo tranquillo finché non avessi saldato il mio debito. Mi permisi anche un buon caffè all’osteria per concludere la giornata felicemente. Respiravo l’aria frizzantina a pieni polmoni e mi sentivo anche più in forze. Arrivato a casa , in cortile trovai Elena che stava parlando con una vicina. Le salutai ed entrai in cucina.
Genoveffa, la cara amica che viveva con noi da anni, stava leggendo un giornale. La sua attenzione si era soffermata sulla pagina dove si parlava della Regina Elena, moglie del nostro Re Vittorio Emanuele III. In quei giorni si diceva che aveva ricevuto un grande riconoscimento dal Papa. Mi tolsi i vestiti umidi che avevo indosso e mi misi ad attendere i ragazzi e Silvana che ritornavano da scuola. Ci sedemmo attorno alla tavola preparata e Umberto, il più piccolo, recitò una preghiera che ascoltammo con molta attenzione. Umberto aveva l’abitudine mentre pregava, di osservare la statuina della Madonna che si trovava in una mensola, illuminata da un cero. A turno i ragazzi raccontarono quello che avevano fatto a scuola, e si soffermarono sul fatto più importante che la maestra aveva spiegato: la Regina Elena era stata insignita della massima onorificenza da parte del Vaticano: “ La Rosa d’Oro della Cristianità”. Umberto, grande appassionato di storia, volle leggere a voce alta il componimento che aveva svolto su questo argomento. “ Motta di Livenza, 5 Aprile 1937 . Titolo: La Rosa d’Oro della Regina Elena . Il Santo Padre per dimostrare la sua benevolenza alla Regina d’Italia che dedica tutta la sua vita a consolare i poveri e gli ammalati, e vero esempio di virtù famigliari e cristiane a mezzo del Nunzio Monsignor Bergoncini Duca, ha inviato la Rosa d’Oro accompagnandola con due lettere per i sovrani .La cerimonia si è svolta nella cappella Paolina del Quirinale”.
La lettura del tema di Umberto, ci sorprese tutti. Da anni la Regina Elena si occupava dei poveri, lo aveva sempre detto anche il prete del paese che aveva ricevuto degli aiuti per i bambini bisognosi e che aveva fatto incorniciare una foto della Regina, ponendola nella sua biblioteca assieme alla lettera che aveva ricevuto. La Regina Elena che era nata in Montenegro era molto amata nel suo Paese d’origine perché nella sua vita si era occupata degli ultimi e di quelli che non avevano famiglia. Si diceva che in Montenegro avesse fondato un collegio per i bambini orfani, e a questo mandasse tutto quello che abbisognava. Molti le scrivevano chiedendo aiuto e conforto. Una volta qualcuno disse che il duce Benito Mussolini aveva dichiarato che con la Regina Elena si poteva parlare solo dei poveri da aiutare, e su come alleviare le sofferenze delle persone. Su questi argomenti la regina era disposta a parlare come un fiume in piena. Dopo aver fatto queste considerazioni, tutti elogiammo Umberto che aveva fatto un disegno sempre della Regina Elena mentre aiutava un bambino dandogli un pezzo di pane. Genoveffa, che aveva letto la notizia su un giornale, volle mostrare una foto che raffigurava la cerimonia dell’assegnazione e la didascalia sottostante: “ La consegna della Rosa d’Oro all’Augusta Sovrana nella Cappella Paolina. S. M. La Regina Imperatrice riceve dalle mani del Nunzio apostolico il prezioso dono del Pontefice . Nella fotografia, a sinistra, il Principe Umberto, il Sovrano . A destra : la Principessa Maria. Dietro. principi e Dame della Corte . A destra:l’artistica Rosa d’Oro che porta incisa la data degli anni di pontificato di Pio XI. Nella rosa di mezzo sono racchiusi il simbolico muschio e il balsamo benedetto dal Papa”.
Umberto raccontò che a scuola spesso ammirava il quadro incorniciato della Regina Elena posto vicino al crocifisso, e la Sovrana gli sembrava la Madonna; cosa che aveva anche scritto in un compito d’italiano. Riportò ancora che il cuore della regina d’Italia era davvero grande e per accontentare tutti quelli che le chiedevano aiuto, era costretta a lavorare sempre.
Durante la Grande Guerra si diceva che fosse sempre accanto ai soldati feriti, costantemente disposta a dir loro una parla di Madre inviata da Dio. I giornali del tempo, però, non si dilungavano sulle sue qualità di regina caritatevole. Umberto raccontò che un giorno nella sua scuola di Villanova era arrivato un soldato che aveva fatto la Grande Guerra e raccontò d’essere stato ferito in modo grave. Il cappellano militare gli aveva somministrato l’estremo unzione e ormai la sua vita era appesa a un filo.
Quel giorno la Sovrana venne a visitare gli ammalati e si informò sulle loro condizioni di salute dalle suore che si prodigavano in ospedale. Quando seppe delle sue condizioni così gravi, volle a tutti costi fare qualcosa. Il soldato ferito era cosciente e invocava sua madre. La Regina dapprima cercò di tranquillizzarlo, tenendogli la mano e parlandogli amorevolmente. Alla fine diede disposizione a un militare d’alto grado di andare a prendere la mamma del soldato che abitava non molto lontano. Le suore non riuscirono a distoglierla dal letto dove giaceva il soldato. Continuava a essergli premurosa e a medicare le sue molte ferite, il tutto in un clima di serenità. La Regina si informava, inoltre, di come stavano gli altri soldati, e parlando con quelli che erano meno gravi, chiedeva loro da dove venivano e li ascoltava con molta pazienza. Quando arrivò la madre del soldato che si inchinò alla Regina, la accolse tra le sue braccia, cercando di confortarla. Il soldato ferito vedendo la madre si sentì come in paradiso e dopo si appisolò serenamente. Dopo parecchi giorni tornò a casa per ristabilirsi e guarì. Quando ascoltammo questa storia, dai nostri volti traspariva tanta commozione e ci si sentiva tutti più fortunati. Genoveffa propose a Umberto di comperagli un quaderno nero per incollare tutti gli articoli che aveva trovato su Casa Savoia e sulla Regina dal volto umano. Genoveffa lo stesso giorno, dovendosi recare alla basilica dei frati di Motta di Livenza per ordinare una Messa, volle che la accompagnassi, così mi avrebbe comprato il quaderno dalla copertina nera, promessomi.
Questo suo regalo lo gradii molto, per me era la cosa più importante e non vedeva l’ora di parlarne alla maestra che amava la storia e che spesso ci affidava dei temi con riferimenti storici.
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