Vita travagliata; i liberali
ai primi di novembre insorgono specie avversi alle nuove leggi sull'epurazione
e contro l'invadenza dei, C.L.N. i quali, dopo tutto, secondo quanto dichiarava
il 6 del mese il Colonnello Fiore, Commissario dell'A.K.G. per la Provincia di
Torino «non esistono più e non hanno alcuna autorità di proclamare leggi e
promulgare decreti». L'opposizione dei liberali non placa e sfocia il 24 del
mese nelle dimissioni del Gabinetto.
E qui comincia. una
deplorevole azione da parte dei C.L.N. per sovrapporsi ai poteri del
Luogotenente Generale. Il lavoro parallelo non segna alcun, progresso. Il
Luogotenente oltre le consuete Personalità, convoca al Quirinale i segretari
dei vari partiti. Svanisce la possibilità di un Governo presieduto da,
personalità estranee ai Partiti specie, per quanto riguarda Nitti dopo il suo
discorso di Napoli con ostilità dichiarata ai C.L.N. Agli ultimi di novembre
pare che la soluzione si orienti verso un Ministero De Gasperi, che, se pure
non in forma ufficiale, viene incaricato di formare il Gabinetto: dice infatti
il comunicato del 1 dicembre del Ministro della Real Casa che “Prospettandosi
la possibilità di risolvere la crisi sulla base dei sei partiti, il
Luogotenente invitò l'on. De Gasperi a proporre la possibilità di realizzare
tale proposito». Ma il suo tentativo «si impaluda nell'aspro dissidio dei
Partiti», finché nella notte tra il 5 e il 6, avendo i Liberali elevato formali
difficoltà, i cinque partiti rimasti in lizza invitano De Gasperi a procedere
immediatamente alla formazione di un Governo a cinque». De Gasperi ne riferisce
nella notte al Luogotenente, che gli dichiara che il Ministero deve essere
formarlo da tutti e sei i Partiti, «secondo l'incarico commessogli» commenta «La
Nuova Stampa» del 7 dicembre:
«Oggi, come oggi, il
Luogotenente ha operato durante la crisi con saggezza moderatrice; si pone non
avanti ai, C.L.N., ma al di fuori, rivalutandone direttamente il carattere sia
costituzionale che pratico. Questo gesto... sarà rilevante e appare effettivo
ed operante alle stesse sinistre che lo interpretano, per citare la parola dell'azionista
"Mondo", come inteso a rivendicare e a difendere il proprio diritto».
Come si vede, travagliatissima fu l'opera del Principe; costituzionalmente perfetta, non abdicò mai ai suoi poteri anche quando l’esarchia tentava di soverchiarlo. Non risparmiò le sue consultazioni in modo da aver sempre la maggior luce sulla situazione politica del momento e sulle varie correnti dei Partiti e del Paese; e pur lasciando libero il giuoco ai medesimi, intervenne invece energicamente quando la situazione lo richiedeva.
Così pure quando non si adattò
alle pretese di Togliatti di usurpare alla Corona il diritto di grazia,
ricorrendo al giudizio autorevole del competentissimo Orlando, col riportare
così la questione nei suoi termini del diritto costituzionale, senza lasciarla
scivolare nelle competizioni di partito.
Contro di lui puntarono i loro
strali i Partiti estremi, accusandolo di filofascismo, mentre si sa la lotta
che il Regime. gli ha sempre fatto perché lo sapeva avverso, dal colpo mancino
della legge sul Gran Consiglio, all’avere sempre fatto tacere la stampa su
quanto Egli facesse come Principe e come Generale dell'Esercito... sino a non
indicarlo mai col suo titolo di Principe Ereditario le rare, volte che fosse
necessario nominarlo.
E prova concreta dei suoi
sentimenti sono i «tre passi concreti fatti nel 1941 come narra Malacoda (1),
prima presso esponenti della grande industria, poi presso un gruppo di
Senatori, infine presso alcuni Generali perché gli uni e gli altri si facessero
iniziatori di un gesto qual si fosse che offrisse un appiglio alla Corona per
provocare un mutamento di Regime ».
Purtroppo seguita Malacoda,
«l’inviato del Principe se ne tornò con tre dinieghi velati appena da platonici
plausi per le intenzioni della Corona, da non compromettenti consigli, da vane
attestazioni di consenso». Aggiunge ancora «Falliti i tre tentativi il Principe
Ereditario riprese successivamente nel 1942 il progetto del colpo di Stato,
indirizzandosi ormai prevalentemente per altra via all'ambiente dell'Esercito..»
.
Questo il passato del
Principe, pur nella necessità di non levarsi ostensibilmente contro il suo Re
sia per senso di dovere sia per non accrescergli le difficoltà entro cui si
dibatteva per l'onnipotenza di Mussolini. Ricordino gli Italiani quale
contributo di debolezza abbia recato alla Monarchia Asburgica il dissidio tra
l'Imperatore e il Principe Rodolfo a proposito del loro dissenso nella
questione delle varie nazionalità dell'Impero.
E quale nobiltà nella sua
recente lettera del 16 marzo corr. al presidente del Consiglio nel ritornargli
con la sua sanzione i decreti sul referendum e sulla Costituente! «La mia
sanzione — egli dice — è il coronamento di una tradizione che sta a base del
patto tra popolo e monarchia, patto che, se confermato, dovrà costituire il
fondamento d'una Monarchia, rinnovata, la quale attui pienamente l'autogoverno
popolare e la giustizia sociale». E prosegue:
«Io, profondamente unito alle
vicende del Paese rispetterò come ogni italiano le libere determinazioni del
popolo che, ne sono certo, saranno riservate al migliore avvenire della Patria».
Le sue aspirazioni passate,
l'opera sua di governo in questi i mesi di così gravi difficoltà per lo stato
di emergenza in cui si trova la Monarchia, accresciute per la lotta che le
fanno i partiti estremi, nonché le sue determinazioni in ordine al Referendum e
alla Costituente, sono arra sicura che, risolvendo il Referendum — che Egli per
il primo ebbe ad invocare quando il Governo era ancora nel Mezzogiorno —. favorevolmente
la questione istituzionale — come io ho ferma fiducia — sarà riservato al
Paese, coll’ausilio delle forze sanamente democratiche che ci darà la Costituente
di potersi in breve sollevare dalle attuali sue tristi condizioni.
Checché si vociferi, la
Monarchia Sabauda ha radici profonde nel cuore degli Italiani, da noi degli
Stati ereditari a quelli che si aggiunsero per i plebisciti del 1860 -1870, ben
a ragione ricordati dal Principe, sino agli ultimi che videro, soddisfatte le
aspirazioni
secolari coll'altra fortunata guerra e che speriamo
non vadano ora deluse, per cui si può dire senza tema di smentita, che oggi è
comune alla grandissima maggioranza degl’italiani il vanto del nostro
ridanciano Gianduja:
Nòi autri piemonteis pr di'
ch'as dia
Con i Savoia j soma
’npo’ 'd famija
Torino Marzo 1946
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