Quanto
a Badoglio si deve aver presente che non aveva alcun comando Militare né
effettivo né nominale; era il Capo. del Governo, perciò i suoi doveri preminenti
erano quelli inerenti alla sua carica, cioè assicurare la continuità del
Governo. E come tale, prima di dipartirsi, non mancò di dare le sue direttive
"In la nota comunicazione dell'8 sera": Ogni atto di contro le Forze anglo
americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo; esse però reagiranno
ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza. Non era evidentemente
competenza né del Sovrano né del Capo del Governo dirigere la difesa di Roma.
Prima
dì proseguire non è superfluo fare il punto; le dolorose vicende dal 25 luglio
all'8 settembre furono certo disastrose per l'Italia; a parte la composizione
di un Ministero di tecnici che non fu, e che non poteva essere, di ausilio al
Sovrano in un momento in cui il criterio politico internazionale doveva
occupare il primissimo posto, con l'aggravante della lontananza nei primi
giorni del Ministro degli Esteri Guariglia, fu di gravissimo nocumento il non
essersi dato carico immediatamente dell'assoluta necessità di far sapere agli
Alleati che la nuova Italia, appena svincolatasi dal giogo), fascista,
intendeva abbandonare la Germania ed unirsi a Loro.
Questa
l'origine dei guai successivi, avendo dato appiglio, e quanto meno pretesto, a
ritenerci, se non proprio nemici, tuttavia titubanti al cambiamento di fronte.
In seguito l'intervento esclusivamente militare are, le varie cause di
diffidenza enumerate, la incomprensione degli Alleati, nonché gli errori nella condotta
della guerra in Italia da parte degli Alleati, confessati, analizzati discussi
dalla critica franca e sincera» di Lord Strabolgi, (1) e in fine il gesto inconsulto
di Eisenhower hanno talmente aggravato la nostra situazione, che l'8 settembre,
che, avrebbe potuto segnare veramente la fine dell'incubo fascista anche nei
riguardi bellici fu invece il principio di un disastroso intermezzo prima della
ripresa della nostra vita normale di costituzionalità.
IL GOVERNO
A BARI
Il
Capo dello stato e il Governo che, insediatisi a Bari, potevano sperare. di
trovare almeno quell'angolo di regno concorde in un'azione dì risollevamento
furono invece subito travagliati dalla più viva opposizione dei Partiti. I
cinque Partiti che subito si erano fatti vivi al 26 luglio, come abbiamo detto,
non mancarono di rivolgere lo stesso 8 settembre un altro Appello a tutti gli
Italiani «per difendere l'armistizio contro ogni offesa, decisi di tutelare
fino all'ultimo i loro ideali di libertà». E il 10 settembre successivo usciva
altro Manifesto a firma degli stessi cinque partiti - sempre senza nomi personali, - che annunziava che
aveva inizio «la vera lotta della libertà che sarà difesa contro i fascisti, di
dentro e di fuori». Notiamo questo cenno a fascisti redivivi, per l'occasione, che
sarà l'accusa che sentiremo ripetere all'infinito per denigrare chiunque a loro
contrario sebben convintissimi che di fascismo — almeno nel puro senso della
parola, se a carico dei partiti costituzionali non fosse davvero più il caso di
parlare, specie allora che non era ancora neppure apparsa quella tragicomica repubblichetta
sociale che fu in seguito istaurata nel territorio occupato. dai Tedeschi.
L'attacco
dei cinque partiti era evidentemente contro la Monarchia in ambi i manifesti; anziché
unirsi e almeno non contrastare fin dal primo giorno l'azione del Governo in
quei terribili momenti, in cui gli eserciti del mondo si contendevano questa
povera Italia, i cinque Partiti per opera di innominati che si erano autoeletti.
e proclamati difensori del popolo italiano cominciarono l'opera loro diretta ad
interessi di partito.
E se
ne videro ben presto i perniciosi effetti: Sforza tornato dall'estero; si fa
capo dell'opposizione monarchica chiedendo l'abdicazione del Re insieme colla rinunzia
alla successione al trono del Principe Umberto, colla conseguente sostituzione
di un Consiglio di Reggenza per il seienne Principe di Napoli, ciò che vorrebbe
dire una repubblica larvata, con tutti í malanni di questa, senza i vantaggi di
una Monarchia con un Capo veramente efficiente. È assai rilevante quanto scrive
a questo riguardo Camillo Lanciani nella sua «lettera aperta al Cavaliere della
SS. Annunziata Carlo Sforza (2).
Si
voleva tenere alla fine di dicembre una riunione a Napoli dei gruppi regionali
antimonarchici del Comitato di Liberazione (spuntavano già fin da allora
Comitati di Liberazione che impadronitisi poi del potere, come diremo, più non
lo vollero lasciare!) ma fu proibito
dalle Autorità Alleate.
Fu deciso
allora per la fine di gennaio un Congresso a Bari; i suoi postulati furono annunziati
per radio il 27 da Sforza ed Omodeo per l’abdicazione del Re; il congresso si inaugurava,
il 28 con un discorso di Croce sulle stesse direttive e chiudeva, con un ordine
del giorno, conforme ai postulati sopraindicati.
Di
fronte a tali conclusioni insorgono gli ex combattenti che tengono, ai
primissimi di febbraio altro Congresso a Taranto, nel quale rinnovavano la loro
fiducia dal Re e chiedono che Egli rifiuti di abdicare.
Contemporaneamente
la Radio-Bari fa notare che anche solo dei territori allora liberati e quindi nella
possibilità di prendere parte al Congresso, erano assenti la Sardegna, la
Sicilia, la Basilicata, e parte delle Calabrie, nonché i partiti liberali delle
classi medie che avevano avuto a capo Giolitti, Nitti, De Nicola ed altri, per
cui i convenuti ai Congresso erano ben lontani dal rappresentare il pensiero e
la volontà anche solo di quelle regioni. Il 12 marzo comizio a Napoli - assenti
i democristiani in cui si insiste per l'abdicazione.
In
questo tumultuoso agitarsi dei partiti il Sovrano pensa ad un atto di pacificazione
e il 12 aprile Radio Bari fa sapere che il Re delegherà i poteri regi al figlio
col grado di Luogotenente immediatamente dopo la presa di Roma e che allora sarà
subito formato un Gabinetto comprendente i capi di tutti i partiti antifascisti:
si sarebbero fatte le elezioni e si sarebbe deciso sul problema istituzionale.
La decisione del Re quale è riportata di questi giorni integralmente nei
giornali precisa: «Che S. M. ha deciso di ritirarsi dalla vita pubblica... E
che tale decisione, che faciliterà l'unità nazionale, è definitiva ed
irrevocabile».
Intanto
il 20 aprile aveva luogo la nuova incarnazione del Ministero Badoglio su più
larga base: Sforza, Croce, Rodinò democratico cristiano, Togliatti comunista e Mancini
socialista, vi entrano come Ministri senza portafoglio. Questo Ministero vive
vita travagliata sino a quando, liberata Roma il 4 giugno 1944, dopo le
disastrose vicende belliche che hanno portato tanta rovina, in quelle desolate
regioni, il Re, in conformità al proclama del 12 aprile, cede le sue funzioni al
figlio e si ritira a vita privata.
Egli
si è sacrificato «con un atto spontaneo allo scopo di eliminare qualunque,
ostacolo che impedisse di raggiungere una vera unità nazionale». Messaggio di
Badoglio del 18 aprile.
(1)
Ruggero Guerra : La conquista dell'Italia, in « La Gazzetta d’Italia» del 22
Marzo 1946.
(2) Camillo Lanciani: Vittorio Emanuele III fu complice del fascismo? Edizione: Avvenire d'Italia 1946.
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