di Emilio Del Bel Belluz
Al circo, da quando era arrivato Primo, gli incassi erano aumentati. La
gente sentiva parlare di Carnera come dell’uomo forte che nessuno era mai
riuscito a battere. Un colosso che solo a vederlo faceva paura. Grazie ad una
alimentazione corretta che comprendeva la carne tutti i giorni si era fatto un
fisico davvero enorme, i suoi muscoli si vedevano con maggior evidenza. La
fame, finalmente, era stata domata e non costituiva più un problema. In certi
giorni gli mancava il sorriso di Rosalba, si ricordava dei bei momenti
trascorsi assieme; era stata la persona che gli aveva mitigato la solitudine
che tutti provano quando vanno all’estero. A Carnera piaceva, dopo lo
spettacolo serale, ritrovarsi con i suoi compagni attorno al fuoco per
mangiare. Spesso rimaneva fino a tardi, per far diminuire la tensione
accumulata durante i combattimenti. Il fuoco gli faceva pensare alla sua terra,
a sua madre e a quel mondo contadino che aveva lasciato. Una fiamma ti riscalda
anche l’anima. In quei giorni gli capitò che uno sfidandolo, si fosse
comportato slealmente, e Carnera lo aveva punito a dovere, facendolo volare dal
ring. La folla aveva applaudito e questo personaggio che era grande e grosso,
minacciò Carnera, dicendogli che gliela avrebbe fatta pagare. Primo aveva ricevuto
altre minacce, ma non temeva nulla. “Male non fare paura non avere”. Era stata
sua madre a dargli questi insegnamenti, le persone vanno rispettate e, se
capita, difese da chi ha nel cuore solo l’intenzione di fare il male. Quella
sera, uscendo dal circo, si trovò davanti cinque individui che con toni
minacciosi avevano deciso di punirlo. Erano in tanti, ma Carnera non temeva
nulla. Non si perse d’animo, nonostante la stanchezza per i combattimenti
precedenti, in pochi minuti si sbarazzò dei cinque, facendoli volare con dei
pugni che mai aveva dato prima. Gli aggressori batterono in ritirata con le
ossa rotte. La scena fu vista da uno del circo che era con lui, questi rimase
impietrito, se fosse intervenuto sarebbe stata la sua fine. Il giorno dopo,
venne a trovarlo nel camerino un giornalista di un quotidiano locale, informato
dell’accaduto che voleva sapere con esattezza come erano andate le cose, e ci
teneva a conoscere il protagonista della lotta. Il giornalista aveva portato un
fotografo, a cui chiese di scattare alcune foto a Primo. Il direttore del circo
era raggiante, perché gli avevano chiesto di fare altre rappresentazioni in
quel paese. La foto di Carnera primeggiava in prima pagina ed era visto come un
eroe che aveva combattuto per la giustizia. La gente lo voleva vedere e, prima
dello spettacolo, decine di persone erano presenti davanti alla sua carovana, e
lo acclamavano ad alta voce. Carnera non era facile agli entusiasmi, ma questa
volta si sentì importante. Aveva ritagliato la foto sul giornale e spedita a
sua madre, quella povera donna che si preoccupava per lui e che lo implorava
d’essere prudente. Una mamma che lo amava e sperava di rivederlo sano e salvo.
Dopo questo avvenimento, allo spettacolo serale, gli sfidanti erano aumentati con
grande felicità del proprietario del circo che incominciava a incassare delle
somme insperate. Quando entrava in scena le persone urlavano il suo nome,
alcune volevano solo toccare quei muscoli d’acciaio. Molta di quella gente era
accorsa dai paesi vicini, dopo avere letto l’articolo, tutti volevano avere un
amico così forte, specialmente le donne. Carnera considerava una dote naturale i
suoi muscoli possenti e forgiati con il lavoro ed una alimentazione abbondante.
La donna che gli preparava i pasti aveva l’impressione che mangiasse per cinque
persone, gli cucinava dei grandi pentoloni di carne con il sugo ed il pane non
doveva mancare mai. Primo si ricordava sempre di quando era a Sequals e la
madre lo mandava a comprare il pane al formo del paese e quando giungeva a casa
non v’era traccia di quella enorme pagnotta che doveva bastare per tutta la
famiglia. A malincuore, doveva ritornare lei dal fornaio. Alcuni giorni dopo,
il circo fece nuovamente tappa ad Arcachon. Era il 1928. Carnera osservò che un
signore aveva assistito alle sue esibizioni per ben tre sere consecutive e non
capiva il perché. Alla terza serata, quando gli spettacoli del circo erano
finiti, si avvicinò a Primo per complimentarsi con lui per come era riuscito
facilmente a sbarazzarsi in poco tempo degli avversari. Quest’ uomo era un ex
pugile, che aveva combattuto per il titolo francese dei pesi massimi e da anni
aveva smesso l’attività: Paul Journée. Non era diventato un grande campione, si
era battuto anche in Italia contro i fratelli Spalla, dei pugili importanti.
Rivolgendosi a Carnera gli chiese se voleva entrare nel mondo della boxe, e Primo,
sorridendo, gli disse che aveva tentato in passato di boxare, ma era stato
messo al tappeto da un pugile che era metà di lui, in un incontro tra
dilettanti. Dopo quella esperienza concluse che la boxe non era per lui. Paul Journée
era una persona molto pratica , non era uno di quelli a cui piaceva perdere
tempo. Era proprietario di una palestra di boxe, era un ex pugile e conosceva
molto bene questo sport. Gli propose di tentare ancora e questa volta sarebbe
stato lui ad insegnargli a boxare. L’unica cosa, che bisognava fare, era quella
di trovargli un lavoro, perché Paul non era in grado di mantenerlo. Primo
rimase pensieroso, l’idea di farsi una fama, diventare, magari, un campione e
guadagnare dei soldi, da inviare alla mamma, erano prospettive molto
allettanti. Il grosso problema era quello di raccontarlo all’impresario del
circo, questi contava molto su Carnera e se ne fosse andato, gli affari
sarebbero peggiorati. L’indomani si presentò da lui che, venuto a conoscenza
della sua nuova decisione, si mise ad urlare, tanto da far accorrere alcuni
lavoranti del circo. Costoro, saputo il motivo della lite, gli fecero gli
auguri e la cuoca, che si era affezionata a lui, lo abbracciò augurandogli
buona fortuna. Il giorno dopo, Paul l’accompagnò da una vedova piuttosto
anziana che affittava delle camere: gli propose una stanza piuttosto grande,
nella quale dovette accostare due letti per poterlo farlo dormire. La donna era
vedova di un soldato che era morto nella battaglia di Verdun, alla parete della
sala da pranzo era appeso un quadro che lo raffigurava. La signora aveva
pattuito la somma per la pigione, e si era impegnata a dargli la colazione, con
abbondanza di cibo. In seguito, Paul Journée portò il suo pupillo nella
palestra, dopo avergli comunicato che l’indomani sarebbe andato a lavorare in
una falegnameria, da un suo amico; la paga era sufficiente per vivere in modo
sobrio. Il pranzo e la cena l’avrebbe consumati in una trattoria dai prezzi
modici, frequentata anche da altri pugili. La palestra era proprio in centro al
paese, in una via ben illuminata, con dei bistrot affollati, e dei negozi.
Entrando in palestra con il suo allenatore, i cinque pugili che stavano
allenandosi si fermarono incuriositi dalla visione di questo gigante. Primo,
intimidito, subito li salutò con una mano. Dopo passarono alle presentazioni.
L’odore della palestra lo colpì subito, era un misto di sudore e muffa.
L’ambiente era vecchio, i muri ricoperti da muffa, ma Primo era uno che si
adattava a tutto. Paul Journèe gli spiegò che la boxe è fatta di sacrificio, di
costanza, e di impegno totale. La vita del pugile, se vuole far carriera, deve
osservare delle regole ben precise. Ogni pugno dato, poteva essere determinante
per il risultato finale. La boxe era fatta di umiltà come il sapere. Questo
concetto lo disse più volte. In questo sport é fondamentale obbedire
all’allenatore che ha già fatto il pugile nella sua carriera e conosce il
mestiere. Carnera si sentiva disorientato: l’ambiente nuovo, tanti pugili che
gli parlavano contemporaneamente e lui che non riusciva a rispondere a tutti.
Tra coloro che lo circondavano vide un peso massimo, la sua carriera era giunta
al capolinea, e cercava di guadagnare qualcosa negli ultimi incontri: ora si
considerava un collaudatore di giovani che iniziavano a calcare i ring. Questo
pugile aveva il volto devastato dai tanti pugni che aveva preso e dato. Il
fisico era ancora integro. Paul Journée volle che questo pugile diventasse un
punto di riferimento per Primo. Nella palestra erano appese delle foto di
pugili che si erano allenati, e che erano usciti da questa palestra. Molte di
quelle foto avevano la dedica fatta al vecchio allenatore che era morto. Queste
immagini davano l’idea di quanto sudore e sangue erano stati messi negli
allenamenti. Alcuni di questi pugili avevano combattuto all’estero, qualcuno in
Italia. A Carnera venne assegnato il suo armadietto, e Paul gli diede delle
tute da allenamento, ma non erano indossabili, perché troppo piccole. Questo
problema si sarebbe risolto andando da una sarta. Anche i guantoni erano
piccoli, e in qualche modo si sarebbe provveduto. Carnera si sentiva quasi che
gli mancasse l’aria, troppe erano state le emozioni in poco tempo. Paul lo
portò subito da una sarta per confezionargli almeno il minimo necessario per
allenarsi, la povera donna che aveva lavorato per tutta la vita nella sua
stanzetta, non aveva mai visto una persona così alta; per prendergli le misure
dovette salire su una sedia e farsi aiutare da una ragazza che lavorava con
lei. Questa giovane non tolse mai gli occhi dal pugile, gli sorrideva e con la
mano si capiva che gli piaceva sfiorarlo, con la scusa di prendere le misure.
Paul Journée si accorse di questo e sorrise, era stato anche lui giovane, e lo
era ancora abbastanza. Il volto di chi è giovane sembra che non debba
invecchiare mai. Paul, che aveva combattuto, aveva il volto con i segni dei
pugni ricevuti e della dura vita che conduceva. Una volta chiuso con la boxe
non era facile trovarsi un lavoro. Quel giorno Primo non lo avrebbe più
dimenticato, sentiva che qualcosa andava per il verso giusto. Per ben due volte
aveva mangiato in una trattoria, con il suo allenatore, ma da domani la vita
sarebbe cambiata. Paul prima di accompagnarlo dalla vedova, gli ripeté che il
suo impegno doveva essere massimo e specificò che non doveva pensare alle
donne; l’unica compagnia che poteva permettersi era il pugilato, e l’indomani
avrebbe compreso cosa fosse. Nella sua stanza Carnera tolse dalla valigia la
bandiera sabauda che gli aveva regalato la maestra. La volle appendere al muro
e per quella bandiera suo padre aveva combattuto al fronte, e aveva lottato per
il suo Paese. La prese ancora tra le mani e la baciò, sentì la stessa emozione
che provò quando l’aveva portata lungo le strade di Sequals, il giorno della
vittoria dell’Italia. Gli vennero in mente i suoi compagni di scuola, le
persone che aveva veduto festanti, il vecchio parroco e il sacrestano che in
quei giorni aveva assaggiato il buon vino della vittoria e quei soldati che
erano andati alla guerra e che non erano tornati. La bandiera del Re, ora
doveva essere la sua, anche lui in terra straniera voleva far onore all’Italia.
L’aveva appesa sulla parete davanti al letto, le era necessaria la mattina per
darsi coraggio e alla sera per chiudere la giornata pensando alla sua patria.
Un domani con quella bandiera sarebbe tornato a Sequals. L’indomani arrivò in palestra
, mentre una donna stava pulendo i pavimenti, e si spaventò vedendo la mole del
giovane, ma trovò il coraggio di sorridergli. Primo si sedette su uno sgabello,
aveva voglia di iniziare subito gli allenamenti. Su un muro, vicino ad una
grande foto di un pugile, vide un crocifisso in legno, e pensò alla chiesa del
suo paese, quando andava a servire la messa, e portava in processione la croce.
Osservando il crocifisso, si mise a pregare come quando faceva nei momenti
difficili, e chiedeva aiuto al buon Dio che non glielo aveva mai negato. La
donna della pulizie continuava il suo lavoro, ma ogni tanto lo osservava,
dall’espressione del suo volto si capiva che non aveva mai visto un gigante
come lui. Dopo un’ora arrivò, finalmente, Paul e incominciarono gli
allenamenti. Quella prima settimana non avrebbe lavorato, si sarebbe dedicato
sola alla palestra. Doveva capire che il pugilato non era uno sport semplice, i
pugni facevano male e di boxe si sarebbe potuto anche morire. Gli allenamenti
furono duri, intensi, Paul era molto esigente con lui, doveva saggiare la sua
resistenza. Dopo una settimana, già qualcosa aveva imparato, ma bisognava
continuare con questo ritmo. La sarta gli aveva consegnato le tute, e così
vestito, Primo si sentiva meno impacciato. Un pomeriggio salì sul ring per fare
alcune riprese di guanti con un compagno. Gli capitò di andare al tappeto per
una disattenzione. Passarono due mesi, e Paul, grazie all’allenamento duro cui
aveva sottoposto Primo, era riuscito ad insegnargli ogni trucco possibile. Una
mattina che giunse in palestra troppo presto, la donna delle pulizie, Maryse,
gli si avvicinò e gli fece una carezza, ma per il suo allenatore non bisognava
pensare che alla boxe. La donna si soffermava, talvolta, a parlare con dolcezza
con lui, aveva compreso che si sentiva solo, e in un paese che non era il suo. Una
domenica, che era libero dagli impegni sportivi, l’accompagnò a bere qualcosa
in un bistrot, e poi al cinema. Maryse aveva qualche anno più di lui, non era
sposata e viveva con la madre; e la sera volle che andasse a casa sua per cena.
In quell’occasione Primo ripensò alla sua casa, apprezzò il cibo, e quel clima
familiare che lui non conosceva più. La lontananza era qualcosa di indicibile,
e alla sera si sentiva solo. Maryse aveva confidato alla madre che quel pugile
sarebbe diventato qualcuno, con quel fisico che si trovava avrebbe potuto
sbarazzarsi di qualsiasi avversario. La figlia aveva mostrato alla madre
l’articolo uscito sul giornale in cui c’era la foto di Primo che faceva volare
come dei pezzi di legno, quei facinorosi che lo avevano minacciato. Nel
giornale l’avevano definito un gigante dal cuore d’oro. La mamma le volle
raccomandare di non farsi illusioni, si trattava di un giovane che non sarebbe
rimasto per molto tempo in Francia. La domenica che passò assieme fu l’ultima,
perché il pugile non voleva nessuna distrazione: il suo unico scopo era farsi
conoscere nel mondo della boxe. Il suo allenatore, nel frattempo, si era messo
in contatto con l’ organizzatore Léon See, un ebreo che da anni dominava il
mondo della noble art ed era sempre in cerca di qualche talento da far
conoscere. Quella settimana gli allenamenti furono particolarmente duri e
numerosi, tali da fargli rimpiangere le esibizioni che aveva fatto nel periodo
passato con il circo. Gli capitava spesso di pensare a quel mondo che aveva
lasciato e se poteva tornare indietro. In quei giorni aveva ricevuto una
notizia che lo aveva reso molto triste. La lettera della madre gli comunicava
che la maestra Anna era morta, la sua insegnante dalla penna e dal cuore d’oro.
Si era spenta come una candela. Era morta serenamente, perché il buon Dio le
aveva affiancato la buona Lucia, fino all’ultimo giorno. La morte della maestra
aveva addolorato l’intera comunità, e ai suoi funerali c’erano tutti a renderle
omaggio. Aveva voluto essere sepolta vicino a sua madre. Scriveva ancora, che
la giovane Lucia era venuta a trovarla, perché la maestra aveva lasciato detto di
donare il libro Cuore a lui. Nel libro aveva scritto una dedica speciale :“Caro
Primo, in qualunque posto del mondo tu ti trovi, non dimenticare il tuo paese,
dove sei nato, la tua Patria, e non scordare la tua maestra che ti ha sempre
voluto bene come un figlio”. L’insegnante non aveva mai dimenticato quel
ragazzo, che come Garrone del libro Cuore, le era vicino, le portava la legna,
e le voleva bene. Primo, dopo la lettura della lettera si era commosso, come
non gli capitava da anni, avrebbe avuto voglia di partire subito e tornare a
casa. Prese la bandiera italiana, che la maestra gli aveva regalato, e la
baciò. Gli pareva in questo modo di baciarla ed abbracciarla, gli aveva voluto
un gran bene. Primo non poteva dimenticare il suo paese, perché era dentro al
suo cuore. Quella sera, come sempre faceva, pregò, spense la luce della
candela, immaginò la sua maestra in Paradiso a continuare ad insegnare ai suoi
allievi e si addormentò con tanta tristezza nel cuore.
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