13 Agosto 2017
Leggo sui quotidiani che, a seguito della
deliberazione di un organismo istituzionale, in Italia meridionale si è
disposto di commemorare la data del 13 febbraio, corrispondente alla resa, nel
1861, della città di Gaeta. Questo mi induce a spendere qualche parola sulla
scomparsa del regno delle «Due Sicilie» il primo della penisola per territorio
e popolazione, l’unico, col Regno di Sardegna, ad avere un esercito regolare e
una Marina militare.
La fine del regno borbonico, avvenuta
incredibilmente a opera di un pugno di uomini, è la storia di una
decomposizione interna. La Monarchia fu incapace di adeguarsi alla evoluzione
della società che governava e che era affascinata dai successi del «Piemonte»
liberale. Mentre in Italia cambiava tutto, Ferdinando II e Francesco II
restarono fedeli al paternalismo e all'alleanza con l’Austria:
all’inizio della guerra (1859) Francesco respinse l’offerta di Cavour di
entrare nel movimento liberale nazionale; nel giugno ‘59 non tenne conto della
domanda di riconciliazione degli esuli, pronti ad appoggiare un’evoluzione
liberale; dopo Villafranca lasciò cadere la possibilità di avvicinarsi alla
Francia concedendo una Costituzione modellata su quella di Napoleone III; non
fece cessioni allo spirito pubblico neanche con aperture all'autonomismo siciliano
e alle richieste di autogoverno locale della borghesia meridionale. Si è detto
che nella restaurazione del 1815 i sovrani ingessarono la politica; nel 1859-60
il Borbone la pietrificò. In Italia era avvenuta una trasformazione epocale,
che aveva sconvolto antichi equilibri ed eccitato entusiasmi e aspettative:
paragonabile, per la penisola, all’effetto in Europa della caduta del Muro di
Berlino.
Per loro fortuna e per merito dei patrioti
meridionali le popolazioni dell’ex regno non rimasero schiacciate sotto le
macerie del crollo.
Avv. Prof. Gianni Marongiu
Studio Magnani Marongiu Dominici & amp;
Associati
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