NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 14 giugno 2017

Libertà di associazione: un principio non negoziabile

di Aldo A. Mola

Che cosa è l'“opinione pubblica”? Chi ha il potere di valutarla? Nessuno. Neppure l'Istat. I “sondaggi”? Non esiste alcuna “opinione pubblica certificata”. Circolano “opinioni”, sempre meno fondate su riflessione, valutazioni critiche, “giudizi”; prevalentemente basate su impressioni, suggestioni, sensazioni fugaci e pre-giudizi, gli “idola tribus” deplorati da Francis Bacon secoli orsono. Dall'“opinione pubblica” per secoli sono dipese le sorti di milioni di persone: gli schiavi, le donne (per millenni “esseri inferiori”, senz'anima, incapaci di stare in giudizio), gli “eretici”, i dissidenti, i “diversi”, finiti sotto la scure, impiccati o arsi sulle fascine della cosiddetta “opinione pubblica”, usata dai regimi per annientare le opposizioni. L'“opinione” cambia secondo i luoghi e, al loro interno, secondo i tempi. Ricordiamo, per esempio, il famoso “comune senso del pudore”, sulla cui base vennero emesse migliaia di sentenze rispondenti a “umori” di quanti se ne ammantavano anziché della maggioranza dei cittadini.
Nell'Italia odierna da un canto si inneggia al multiculturalismo (fallito in Paesi dalla tradizione identitaria molto più robusta della nostra, a cominciare dalla Gran Bretagna), dall'altra ci si appiglia a pregiudizi arcaici per rimettere in circolazione fantasmi artificiosi, incubi tanto inconsistenti quanto perniciosi.
Ora, mentre non abbiamo una legge elettorale decente, il Prodotto interno lordo varia di giorno in giorno (unica certezza è l'aumento del debito pubblico), il governo barcolla, “grida manzoniane” vietano la vendita di alcolici qui e là in una città come Torino (che cessò di essere sabauda 75 anni orsono) quasi fosse impossibile portarseli a spasso: siamo al culmine del ridicolo. In quest'Italia due disegni di legge (Ddl) mirano a condannare sotto pene gravissime l'iniziazione e/o l'affiliazione di pubblici impiegati (magistrati, militari, personale civile...) a “logge massoniche” senza alcuna distinzione tra (eventuali) logge segrete (la cui esistenza rimane da provare) e “ordinarie”, che però lo Stato non riconosce e quindi non conosce. Poiché questi Ddl (n. 4328, primo firmatario l'on. Mattiello; e il n. 4422, primo firmatario l’on. Fava) intaccano i cardini della Costituzione, anzi un principio non negoziabile della civiltà giuridica, quale il diritto di associazione, è bene occuparsene: dall'Alpi alle Piramidi...
Entrambi quei disegni di legge insinuano la condanna storica e attuale della massoneria, classificata come “organizzazione, pur legale, che fondi il proprio sodalizio associativo su vincoli di obbedienza tali da inquinare, anche soltanto nella percezione pubblica che se ne possa avere, l'imparzialità di giudizio e la libertà d'animo che il cittadino deve potersi aspettare”. Essi danno per scontata l'incompatibilità delle “associazioni massoniche o similari” con l'ordine costituzionale, senza però addurre fatti e documenti comprovanti il loro pre-giudizio. Poiché la storia insegna che il pur minimo attentato ai diritti di libertà costituisce un precedente pericoloso, il primo passo su una china rovinosa, bisogna essere subito chiari.
È superfluo ricordare quanti e quanto illustri siano stati anche in Italia uomini politici, militari, giuristi, scienziati, artisti e personalità dai più disparati profili iniziati all'Ordine della massoneria. Essi furono (e sono) l'aspetto “locale” di una storia universale che abbraccia tutte le democrazie “occidentali”, sia repubblicane (come gli Stati Uniti d'America e la Francia, il cui presidente, François Hollande, visitando la sede del Grande Oriente, proclamò l'indivisibilità tra la storia del suo Paese e la Massoneria) sia monarchiche (dalla Gran Bretagna a quelle scandinave). Lasciando il passato remoto e prossimo dov'è, va osservato che, ove mai adottati, i disegni di legge in discorso metterebbero in discussione la libertà dei pubblici dipendenti di iscrizione non solo alle logge ma anche a partiti e sindacati, in presenza di un regime che non ha regolamentato né la loro disciplina interna né quella dei loro rappresentanti nel Parlamento nazionale, sicché per molti aspetti rimangono “società segrete”.
Non solo. I requisiti dai Disegni di legge attribuiti alle logge si attagliano perfettamente all'associazionismo religioso (non solo ma anche, e in molti casi, cattolico), nel cui ambito vigono osservanze che, appunto, prevedono “vincoli gerarchici, solidaristici e di obbedienza”. La prelatura personale dell'Opus Dei è solo una tra le molte... Basta scorrere gli Statuti di tanti Ordini e di Congregazioni.
Il disegno di legge Fava si spinge oltre il Mattiello, giacché pretende di introdurre una disciplina abnorme persino ai danni dei parlamentari. Questi, come noto, rappresentano la Nazione senza vincoli di mandato, un principio istituito con il mai troppo elogiato Statuto Albertino del 1848, esteso al Regno d'Italia e vigente sino al 31 dicembre 1947. Ora si pretenderebbe che, entro tre mesi dalla loro proclamazione, i parlamentari depositino presso l'ufficio di presidenza della loro Camera “una dichiarazione, anche negativa, sull'eventuale appartenenza a qualunque titolo ad associazioni massoniche o similari, precisandone la denominazione”. E ai circoli filatelici o numismatici? O a un circolo filosofico? O una delle molte “religioni” incluse o meno dalle “intese” per l'erogazione dell'8 per mille?
Siamo daccapo alla caccia alle streghe, per ora solo contro la massoneria: nome comune di cosa, perché esso non è tutelato in un Paese che manca di una legge seria sulle associazioni.
In Italia nel corso dell'intero Settecento la Massoneria fu vietata dai sovrani e scomunicata dai papi. Dopo la breve stagione napoleonica le logge furono nuovamente vietate e i massoni ferocemente perseguitati. Visto che stiamo celebrando duecento anni dalla nascita di Francesco De Sanctis (1817-1883), giustamente ricordato quale forgiatore della coscienza civile (e citato a casaccio dal Ministro della Pubblica Istruzione: esempio insigne di sciatteria culturale), ricordiamo che egli fu anche e orgogliosamente massone, come Michele Coppino, Giosue Carducci e altri artefici della Nuova Italia.
Col fascismo la massoneria fu nuovamente perseguitata, come accadde nei Paesi del “socialismo reale” sino al crollo del comunismo sovietico e in quelli fondamentalisti (islamici e Oltre Tevere...). Ma la condanna politico-religiosa della massoneria fatalmente portò con sé anche quella delle “associazioni similari”. Nel 1938, appena tredici anni dopo la messa al bando del Grande Oriente e della Gran Loggia d'Italia, il Rotary Club italiano fu costretto ad auto-sciogliersi prima di essere spazzato via dal governo Mussolini che aveva ormai imboccato la strada dell'alleanza ideologico-militare con Hitler, che sin dal “Mein Kampf” aveva messo i massoni tra gli Ordini incompatibili con il nazionalsocialismo. Eppure dalla nascita i Rotary Club italiani raccoglievano le figure eminenti della società. Il Re stesso ne era presidente onorario. Il principe Umberto era socio onorario del Club di Cuneo, presieduto da Luigi Burgo, industriale geniale e umanista. Non solo, ma il fondatore del Rotary, Paul Harris, non era neppure massone, a differenza dell'ideatore dei Lions Club.
Tutto questo vuol dire in sintesi che la pre-politica o Politica vien prima della “politichetta” dei partiti: sulla Politica, che è il caposaldo della civiltà, non sono possibili né mediazioni, né pateracchi. L'unica alternativa, diversamente, rimane l'“espatrio”: il destino che toccò nei secoli a quanti vennero condannati dalla “pubblica opinione”: Dante Alighieri, il “ghibellin fuggiasco” condannato a morte nella sua Firenze; Machiavelli, torturato; Guicciardini, costretto al silenzio; Leopardi, Carducci...
Malgrado il “regime” (ne parlammo più volte con Marco Pannella) sia al collasso, vi sono priorità. La libertà di pensiero e di associazione anche nella Costituzione viene prima dei partiti. Fa parte dei principi che non possono essere messi in discussione, se non da settari che cercano la pagliuzza nell'occhio altrui senza vedere la trave che li accieca e ne ispira l'odio verso gli uomini liberi.
Espatriare, infine, non significa rinnegare l'Italia: vuol dire, anzi, rivendicarla quale fondamento dell'Universalità, della civiltà greco-romana dalla quale tutto discende: il Bello e il Diritto, dopo la Religione degli Ebrei e i Colori degli Egizi. L'Uomo libero ha per patria il mondo.


Aldo A. Mola

Nessun commento:

Posta un commento