Mentre la Rivoluzione è un
processo distruttivo che ha per scopo esclusivamente se stessa (le utopie
"millenaristiche" dei rivoluzionari si dimostrano sempre più
irrealizzabili, tanto che la loro attuazione viene continuamente rinviata a
futuri sempre più lontani e ipotetici), la Controrivoluzione è un processo di
ricostruzione che ha come suo preciso scopo la Restaurazione. Tale
Restaurazione, da attuarsi a vari livelli - personale, sociale, politico -
dovrà trovare nella persona del RE il suo coronamento e la sua perfezione.
La Monarchia è dunque il necessario punto di arrivo della nostra battaglia politica. Ma per rendere chiara questa affermazione occorrerà prima precisare i termini, dato che la rivoluzione ha tanto contaminato le istituzioni e snaturato il significato delle parole, da rendere quasi impossibile un discorso chiaro ed univocamente comprensibile.
Innanzi tutto, quale Monarchia? Troviamo infatti, nella storia e nella geografia politica, forme di governo fra loro molto diverse - anche dal punto di vista sostanziale - indicate tutte col nome di Monarchie: Monarchie assolute, Monarchie feudali, Monarchie costituzionali, Monarchie parlamentari, Monarchie democratiche, e perfino Monarchie elettive, come quel Regno di Polonia che - per esplicita dichiarazione della sua carta costituzionale - era "una repubblica aristocratica con a capo un Re"!
La nostra posizione rispetto a tutto ciò è netta e precisa: la Monarchia è una sola. Infatti, come ben dimostra il Padre Taparelli, quando critica, rifacendosi al Von Haller, l'antica divisione delle forme di governo (1), non esistono che DUE forme di governo, la Monarchia e la Poliarchia, la prima si ha quando l'autorità, che è necessariamente UNA, risiede in un'unica persona, quella del Sovrano; la seconda si ha in tutti gli altri casi, quando, cioè l'Autorità risiede in più persone e si manifesta unitariamente attraverso il consenso di queste, espresso secondo regole fissate dalla consuetudine o da apposite leggi. Da questa definizione, che è l'unica mediante la quale si possono distinguere le forme di governo in base a differenze sostanziali e non contingenti, risulta chiaro che rientrano nella categoria delle poliarchie non solo quelle repubbliche che si proclamano apertamente tali, ma tutti i regimi politici in cui un Re debba spartire con qualche altro le prerogative dell'Autorità Sovrana. D'altronde, un esame sereno ed obiettivo della storia ci mostra come tutte le poliarchie coronate non siano, e non continuino ad essere, altro che forme di graduale passaggio - talvolta lento, talvolta rapido - verso la repubblica.
Si ha dunque Monarchia solo dove il Sovrano sia fisicamente Uno, e da solo eserciti, secondo giustizia, la sua Autorità. Prima di esaminare tutto ciò che implicano quelle due parole, "secondo giustizia", vediamo brevemente le ragioni per le quali si può affermare essere la Monarchia il più naturale e il migliore dei reggimenti politici.
La prima, e più evidente, ragione è che se alla base della società troviamo la Famiglia, la cosa più naturale è trovarla anche nel vertice; ed una prova a contrario di questa affermazione la troviamo nel fatto che in ogni epoca i rivoluzionari più feroci ed i repubblicani più accesi hanno rivolto i loro attacchi non solo contro l'istituto monarchico, ma anche e spesso più violentemente contro tutti i legami familiari e sociali. Per limitarci a quanto è accaduto nel nostro paese, osserveremo come le forze politiche che hanno imposto la repubblica nel 1946 sono all'incirca le stesse che hanno imposto il divorzio nel
1970 e l'aborto nel 1977, e
che i rotocalchi già tristemente famosi per avere fomentato odio contro la
famiglia reale in esilio sono gli stessi che hanno fatto ieri un'ampia
propaganda al divorzio e fanno oggi propaganda all’ “emancipazione della
donna" e all'aborto. Le teorie individualistiche dei rivoluzionari sono
state rivolte prima contro le strutture politiche e sociali, poi contro la
cellula primaria della società, la famiglia, oggi infine contro la vita stessa
dell'uomo.
Questo argomento acquista poi
maggior forza se passiamo ad esaminare il cammino attraverso il quale dalla
famiglia si è sviluppata la società civile e politica. Immaginiamo una
famiglia che si stabilisca su un vasto territorio disabitato e seguiamone le
vicende (2). La famiglia crescerà, coltiverà terre, alleverà bestiame,
estendendo il suo dominio sui campi e su pascoli e i figli, per istinto (amore
e necessità) saranno soggetti, finché minori, all'autorità paterna. Quando i
figli saranno giunti a virilità potranno, una volta ammogliatisi e formate
nuove famiglie, o restare sulle terre del padre, o emigrare in cerca di nuove
terre; i primi, se vorranno costruire sulle terre del padre le abitazioni per
sé e le loro famiglie, dovranno sottostare a certe condizioni che il padre avrà
tutto il diritto di imporgli, dato che le terre sono sue; il padre potrà cioè
riservarsi sopra le famiglie di questi figli, emancipati ma viventi in comunità
con lui, quei diritti che riterrà necessario esercitare per il bene della comunità.
Vediamo di qui nascere una prima forma di autorità politica, che, per il fatto di essere indipendente, è anche sovranità territoriale. Allentandosi poi con le successive generazioni di sovrani i vincoli di sangue, la famiglia diventa clan, il clan tribù, la tribù popolo: ad un certo punto la sola dipendenza politica lega fra loro sudditi e sovrano: si è formata una Monarchia.
Quanto ai figli emigrati lontano, essi potranno o dividersi, e allora ciascuno sarà, come già il padre, fondatore di una sua propria monarchia; oppure restare uniti e formare una società nella quale l'autorità nasca dal comune accordo dei consociati.
Crescendo la società si dovranno stabilire regole in base alle quali si perpetua questo accordo, e così via: ecco nascere la società poliarchica. Società poliarchiche possono nascere anche per aggregazione o fusione di società minori, ma più estese delle famiglie.
Ora, come se ne può dedurre che la Monarchia è il regime politico più naturale?
La cosa apparirà evidente quando si consideri come, in linea di principio, la Monarchia sia l'erede diretta della famiglia, là dove un governo poliarchico, derivando dalla unione di famiglie diverse, da una messa in comune di interessi diversi e talvolta forse contrastanti, ha in sé qualcosa di artificiale, di fabbricaticcio, e in esso più facilmente fanno presa germi di disgregazione.
E si badi che qui stiamo parlando di poliarchie tradizionali, fondate sulla famiglia, istituzione di per sé naturalmente 'monarchica' nella persona fisica del 'pater familias' e che tale deve rimanere, pena il suo
cessar di esistere. Delle
repubbliche moderne non è nemmeno il caso di parlare: non sono società, ma
dissocietà tenute insieme solo da un apparato burocratico sempre più esteso e
sempre più oppressivo al quale diventa sempre più difficile sfuggire.
Abbreviando, si può dire che ogni società, monarchica o poliarchica, si mantiene sana quando le famiglie sono salde e unite, quando la classe dirigente ha i pregi di una sana aristocrazia, quando all'interno del corpo sociale permangono tutte quelle 'gerarchie' naturali, sancite più dalla consuetudine della vita in comune che dalla legge; quando insomma a tutti i livelli della vita sociale troviamo istituzioni caratterizzate dalla 'unità di direzione' e dalla sua 'continuità' al di là delle persone fisiche che la incarnano; ora, se ciò è un bene, perché non dovrebbe essere presente anche al vertice della società?
(1) Cfr. Padre Luigi Taparelli d'Azeglio S.J., Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto, Palermo 1857. Diss. Il capo IX vol. I, pag. 162 seg.
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