NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 5 settembre 2022

Capitolo XIX: Il ritorno in famiglia

di Emilio Del Bel Belluz



Avevo ultimato le quattro settimane lavorative che furono dure e gravose, ma mi avevano fatto scoprire anche aspetti della vita, prima di allora sconosciuti, grazie alle storie raccontate dal capitano che aveva viaggiato per mezzo mondo. Avrei voluto continuare ad essergli vicino perché non era facile trovare una persona con tanta esperienza della vita ed in grado di elargire tanti consigli per superare le difficoltà quotidiane. La pesca era una attività che mi faceva faticare molto, ma non mi assicurava quella tranquillità economica necessaria per il sostentamento continuativo della famiglia. 

La Grande Guerra non aveva portato benessere al Paese, anzi, c’eravamo trovati con una buona parte della nazione da ricostruire.  Il capitano mi propose, allora, di poter lavorare per lui, di tanto in tanto. Prima di accomiatarci mi pagò qualcosa di più di quello che aveva pattuito, e i miei occhi si illuminarono d’immensa gioia.   Il comandante volle, inoltre, donarmi un baule che apparteneva ad un cliente che non gli serviva più. Si era accorto che da qualche giorno lo osservavo con insistenza ed aveva capito che mi piaceva. 

Era in rovere massiccio, con la serratura e la chiave. Necessitava di essere restaurato perché era molto vecchio ed aveva viaggiato molto. Il capitano mi aiutò a scaricarlo, e alla fine, nell’augurami una vita felice, mi abbracciò. L’alba stava spuntando, il sole avrebbe illuminato un nuovo giorno. Vidi il barcone che si allontanava e il lupo di mare che sul cassero fumava la pipa; degli ultimi istanti passati assieme  mi rimasero solo  l’odore della pipa e l’odore del fiume. Poi, mi misi in attesa che qualcuno passasse per aiutarmi a trasportare il baule fino a casa. Poco dopo, vidi un carro trainato da  un cavallo che avanzava molto lentamente. L’uomo seduto sulla cassetta del carro mi riconobbe subito e mi aiutò a caricarlo. Costui che lo conoscevo di vista mi chiese da dove provenissi e dove avevo procurato quel baule. Gli risposi, soddisfacendo la sua curiosità.  Giunti a casa, con cura scaricai il baule e salutai l’uomo che mi aveva favorito. 

Cercai di entrarvi ma la porta era chiusa e tutti dormivano saporitamente. Bussai numerose volte alla porta, finché i ragazzi ed Elena si svegliarono. Quando si accorsero della mia presenza, mi fecero entrare e dai loro volti traspariva una gioia incontenibile. Dopo mi raggiunsero la maestra Silvana e Genoveffa, ancora assonnate, ma molto contente.  Ero stato lontano da casa solo un mese, ma la festa che mi tributarono fu  quella che di solito si fa a un soldato che ritorna dalla guerra, dopo molti anni, quando tutti lo davano per disperso. Le donne della casa mi fecero notare che ero dimagrito e stanco. Elena non si staccava più da  me, voleva sapere come mi sentissi fisicamente perché mi vedeva molto patito. In quel periodo ero mancato molto a tutti.

Anche i due figli più grandi mi vennero incontro per essere abbracciati, mentre udivo il pianto di Umberto che reclamava la mamma. Quando mi fui ripreso con un buon caffè, raccontai come avevo trascorso il periodo sul barcone. Mi reputavo veramente fortunato ad avere una famiglia come la mia. Elena si dimostrò ancora più felice nel momento in cui le consegnai i soldi che avevo guadagnato. Con poche parole spiegò come li avrebbe spesi. C’era da saldare il conto della bottega ed il rimanente sarebbe servito per il mese prossimo. Rassicurai Elena dicendole che mi sarei rimesso a pescare già l’indomani: le condizioni del tempo facevano ben sperare.  Con l’aiuto di Genoveffa portai in casa il baule e lo collocai come voleva Elena, vicino al camino. Nei prossimi giorni mi sarei messo a restaurarlo e, pertanto, avrei chiesto a un mio amico falegname dei consigli per portarlo a nuovo. Quella giornata si spense nella quiete della famiglia che mi era molto mancata. Nei giorni che seguirono ricominciai a solcare il fiume, mi sembrava di fare tutto come se fosse la prima volta. Mentre calavo le reti sentivo il mormorio del fiume che mi parlava. L’acqua era pulitissima, volli berla  dopo averla raccolta con una borraccia. Aveva un ottimo sapore. Sulla sponda opposta intravidi la casa di Elena. Ora vi viveva la mamma. Quando i bambini fossero diventati più grandi l’avrei portati in quei posti. La mamma di Elena era una donna sola e coraggiosa. La campana della chiesa suonò il mezzogiorno, era il momento di rientrare. In casa si respirava aria di festa. Sulla tavola era stesa  una tovaglia a quadri rossi e bianchi, lo stesso disegno che vedevo quando ero bambino nei giorni di festa. In quel momento bussò alla porta un mendicante, e lo facemmo entrare. L’uomo si inginocchiò davanti al crocefisso posto su una mensola della cucina e recitò a voce alta una preghiera, dopo essersi tolto il vecchio cappello. 

Accomodato a tavola gustò con piacere un piatto di minestra fumante con del pane appena sfornato.  Da tempo non condivideva con altre persone un pasto. Era sceso dalla montagna a piedi e si fermava in qualche casa a chiedere l’elemosina.  Dalla sua sacca che portava sempre con sé, tolse un santino che raffigurava la Madonna, e lo porse ad Elena che lo baciò con devozione e lo fece vedere a tutti. L’uomo disse che la Madonna illuminava la via del viandante e, certe sere, quando non aveva nulla da mangiare, gli capitava che pregandola qualcuno gli offrisse del cibo. Una notte si trovava in un piccolo paese e stava male, aveva cercato di chiedere aiuto, ma nessuno si era accorto di lui. Aveva una febbre da cavallo, si sentiva vicino più alla morte che alla vita. 

Il suo pensiero era rivolto alla Madre Celeste e confidava nel suo aiuto:  quando udì una voce gentile che gli chiedeva come stesse.  Erano due vecchi che lo aiutarono ad alzarsi e lo caricarono sul loro carro trainato da un vecchio cavallo e lo portarono nella loro casa. Poi chiamarono il dottore del paese che accorse subito e gli prestò le cure necessarie.  La carità di queste persone fu provvidenziale. In quella casa vi rimase per un po’ di tempo finché si ristabilì e riuscì a riprendere il cammino. Costui ritornava spesso a trovare i suoi benefattori ed ogni volta veniva accolto con l’affetto che si riservava a un parente caro. Alla fine della cena gli venne data ospitalità per la notte, s’accomodò su un pagliericcio nella stalla. Il giorno seguente ripartì dopo aver salutato e ringraziato tutti. Lo invitammo a farci visita, ogni qualvolta passasse dalle nostre parti.  

L’uomo con il suo passo da viandante e con il suo bastone riprese il viaggio; qualcosa di buono Silvana l’aveva messo nel suo sacco e il cibo per qualche giorno non sarebbe stato un problema. Ancora una volta la Provvidenza era accorsa in suo aiuto e dalle sue labbra si innalzò una prece di ringraziamento alla Vergine dei viandanti. Nei giorni che seguirono, molte volte parlammo di lui e della dura vita che aveva scelto, lontana dalle comodità, ma che gli permetteva di stare in ascolto di sé e della natura che lo circondava. Aveva scoperto che la felicità é data dalle piccole cose: è sufficiente che noi sappiamo apprezzarle. Aveva capito, inoltre, che la speranza non doveva mai venir meno e che il giorno dopo poteva riservarci sempre delle sorprese positive.

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