Ma se il gesto d'audacia non
fa osato, il perdurare dell'ostinato contrasto fra il Re e Mussolini fece sì
che il Fascismo non abbia mai potuto soverchiare la Monarchia, malgrado Mussolini
ne sentisse il più, vivo desiderio e non lo nascondesse.
Registra il Memoriale di
Ciarla 10-V-39 «Per liquidarlo (il Re) basta un Manifesto e un giorno lo farò»
- 14-V-40 «Il Duce ha detto chiaramente che a guerra vinta intende sbarazzarsi
di una Monarchia che non ama e della quale non riesce più a sopportare il peso
» - 25-V-40 « Il Duce attacca la Monarchia e dice: Invidio Hitler che non si
deve trascinare a rimorchio dei vagoni vuoti»; e il 6-VI « Alla fine della
guerra dirò a Hitler di far fuori tutti questi assurdi anacronismi che sono le
monarchie »;
E non è neppure il caso di
gettare del tutto fra le favole quanto si narra, che Mussolini chiacchierando
con un Ufficiale di marina sulla nave che lo conduceva prigioniero alla
Maddalena; gli avesse detto che l'auspicata pace dell'Europa egli l'aveva
intravveduta nel trinomio Stalin, Hitler e lui, con un'organizzazione sociale
su basi differenti dalle presenti.
E questo ventennale dissidio,
se pure non riuscì ad evitare la guerra, ottenne però di ritardarne l'inizio di
un anno e di anticiparne poi di due la fine. Disse Hitler nel suo discorso del
10 settembre '43 “le stesse forze che hanno provocato la capitolazione,
riuscirono nell’agosto 39 ad impedire che l'Italia partecipasse alla guerra»: e
nell'altro suo discorso del 9-X I-43 - precisa che «per l’atteggiamento del suo
re era costretta a mantenere uno stato di non belligeranza»
E non fu forse lo Monarchia,
la che salvò nel 1943 l’Italia dal fare la fine che
fece la Germania nel 1945? Solo l’avere avuto il Capo dello Stato indipendente
dal Governo fece sì che quando si manifestò sicura la sconfitta poté sganciarsi
darla Germania e unendosi agli Alleati salvare il salvabile; con un «Presidente
della Repubblica legato, per forza di cose ai partiti al governo, la rovina
sarebbe stata completa, come lo fu per la Germania. Questa è la più efficace
delle prove perché sorge dai fatti: questa la forza della Monarchia.
Il Sovrano è estraneo; anzi
superiore ai partiti, mentre il Presidente della Repubblica, scelto nei ranghi
di uno di essi, per quanto portato all'alto posto o da un accordo fra di loro o
quanto meno dalla supremazia di alcuni di essi, accettato o sopportato dagli
altri, non può a meno di sentire l'influenza, pur involontaria, del partito cui
appartiene. E allora sarà pur sempre un partito a prevalere. Che se Presidente
abdicasse completamente alla sua personale concezione politica, finirebbe per
essere nulla più che un intermediario delle varie tendenze, decadrebbe perciò
al rango di un, simbolo formale, senza efficienza, senza forza, giacché la sua
autorità personale gli viene esclusivamente dai poteri politici contingenti,
che l'hanno nominato. Mentre l'autorità di un Sovrano è innata in Lui; è una
forza che ha in sé, che non si poggia a poteri transeunti e che dà perciò
garanzie sicure per l'avvenire.
È una forza che conserva
ancora, malgrado i tempi mutati, una reminiscenza della «Grazia, di Dio», anche
se ormai la sovranità dinastica debba poggiare indiscutibilmente sulla
sovranità popolare.
Ed è appunto in virtù di
questa «Grazia di Dio», da cui le Monarchie sono illuminate, che esse sono
strettamente, indissolubilmente legate alla Religione; quella religione
cattolica che, senza intaccare minimamente la libertà religiosa di altri culti,
lo Statuto Albertino pose a capo della Carta Costituzionale, quasi fondamento
dello Stato stesso.
Gli indistruttibili principi
cristiani, che nei riguardi civili si imperniano sulla famiglia,
sull'educazione ed istruzione dei figli, sulla proprietà privata, sorta dal
lavoro proprio o degli avi, garantita ai possessori, sono le basi su cui lo
Stato deve fare presa per poter a sua volta garantire alla popolazione quella
«dignità della persona umana, (1) che solo può dare vita operosa e tranquilla,
aspirazione delle popolazioni. L'attuazione, anzi la valorizzazione di questi
principi cristiani, la Monarchia nostra ha sempre garantito e sempre garantirà
— ne dobbiamo aver sicura fede — qualunque siano gli eventi e le direttive
contingenti di Governo, che un regime democratico abbia a portare alla
direzione della cosa pubblica, mentre la Repubblica, in balia dei partiti è
sempre esposta ad eccessi, per cui questi valori abbiano, se non ad essere
soppressi, certo ad allentarsi e correre imminenti pericoli, con evidente danno
del Paese.
Nella realtà delle cose, nella
pratica di governo quale differenza tra Monarchia e Repubblica, in una
Monarchia ossequiente alle direttive parlamentari, in cui si concreta il regime
democratico? Nessuna, assolutamente nessuna; col grande vantaggio però per la
Monarchia che queste direttive saranno imparzialmente seguite e fatte valere
essendo il Sovrano al di sopra dei partiti.
Scrive Malacoda (2): «La
Monarchia ereditario più che la Repubblica, è in misura di moderare gli
estremismi delle forze politiche e, a differenza della Repubblica, rimanendo di
fatto, malgrado ogni vincolo imposto e ogni accettazione apparente, distinta da
quelle, funziona da valvola di sicurezza e conserva in sé un supremo potere di
intervento in situazioni estreme che sarebbero altrimenti senza uscita».
E ancora Camillo Lanciani (3):
«E allora la Monarchia, che con la successione ereditaria al trono è
strettamente legata alla continuità del benessere del popolo, vivendo fuori
delle lotte di classe e di partito costituisce, secondo me, una garanzia di
obiettività e di normalizzazione della vita politico-sociale, direi quasi un
correttivo delle passioni degli uomini preposti alla direzione di un popolo».
E a conclusione di quanto
sopra mi sia concesso di riportare ancora quanto scrisse a questo riguardo
quell'altissimo ingegno che fu Ruggero Bonghi (4) : «Ciò che a parer mio è
soprattutto a' giorni nostri la forza delle dinastie, nei paesi in cui non sono
distrutte, è questa: che in esse il Paese che reggono sente una continuità di
vita. Non sono nate oggi, non muoiono domani. La Nazione vi si eterna in una
persona sempre viva, vi ricorda il panato e vi presenta il suo avvenire.
S'aggiunge che niente dimostra che lo scomparire d'una monarchia di dove era da
secoli, renda più felice lo Stato e più; sicuro; che si contemperi meglio gli
elementi di cui si compone. E niente neanche prova o dimostra che la Monarchia, dove è rimasta, ostacoli nessun
progresso o nessuna libertà utile»
(1) Messaggio per il Natale 1.942 del Pontefice Pio XII.
(2) S. Malacoda, op. cit. pag.
98.
(3) Camino Lanciani: Vittorio
Emanuele III fu complice del fascismo? Avvenire d'Italia - Roma 1945.
(4) Ruggero Bonghi: l'Ufficio
del Principe in uno Stato Libero; pubblicato nella Nuova Antologia del 15 gennaio
1893.
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