NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 23 dicembre 2019

Io difendo la Monarchia - Cap VIII - 3

Con ciò non si vuole negare il contributo certo notevole, nella maturazione dello stato d'animo avverso al fascismo, del movimento clandestino delle opposizioni.

Nacquero giornaletti stampati e diffusi alla macchia come l'Italia Libera, l'Avanti!, L'Unità e Ricostruzione.

Antiche tendenze e correnti politiche rimaste a scorrere segretamente neI sottosuolo della vita italiana degli ultimi tre lustri, tornarono a farsi sentire, ríapparvero d'improvviso alla luce e i loro fautori venivano giustamente giudicati come spiriti illuminati e coraggiosi. Ma anche questi gruppi, meno il partito d'azione, contavano sul l'intervento del Sovrano per eliminare Mascolini. Essi non rifuggivano dal compromesso. La rosalìa repubblicana è venuta in seguito: dopo che la Monarchia a proprio rischio e pericolo, aveva compiuto la sua parte il 25 luglio. E’ venuta dopo nella corsa dei vari gruppi al palio delle riforme demagogiche con quello spregiudicato cinismo e machiavellismo che gli inglesi hanno bollato ai Comuni, una volta per tutte, nel conte Carlo Sforza. Anche Mussolini, che nella notte tra il 25 e il 26 luglio si proclamava nella sua lettera a Badoglio, «fedele e devoto servitore della Monarchia » e che nei suoi colloquì con l'Ammiraglio Maugeri (1) riconosceva

che egli era finito per la politica attiva e che mai avrebbe compiuto l'errore e il delitto di valersi dell'appoggio tedesco per tentare di tornare alla direzione della cosa pubblica, anche Mussolini dimenticava quelle assicurazioni e quei buoni propositi per instaurare, in goffa concorrenza con l'antifascismo, la Repubblica Sociale italiana, dimenticando per l'occasione perfino il fascismo.

Triste demagogia, dunque, e nulla più: fatuo mimetismo che a tutto guarda. a tutto provvede, a tutto mira fuor che al bene comune. 

Ma al disopra delle congiure dei gruppi clandestini, più forte d'ogni volontà generale, premeva ormai una drammatica realtà. L'Esercito era finito. In Africa nella lunga ritirata da El Alamein a Tunisi aveva avuto più nemico il tedesco che l'inglese. Il rapporto del generale Messe sulla battaglia- del Mareth dal 14 al 24 marzo, conteneva molti elogi al nemico e aperti rimproveri all'alleato. Rommel che era apparso un salvatore nel gennaio 1941, era giudicato da tutti, ora, il peggiore dei malanni capitatici in guerra. Dopo avere causato la distruzione dell'armata tedesca e di quella italiana, si involerà dall'Africa per subire, un anno dopo, la sconfitta ultima e definitiva sul vallo atlantico (2). Perdute tutte le posizioni in Africa, distrutta l'armata italiana in Russia, l'esercito italiano non contava più in Patria, che poche unità veramente efficienti. Il soldato continuava a ripetere che il suo armamento era inadatto alla guerra moderna, che, soprattutto. la continuazione della guerra

era inutile, era anzi dannosa, vera e propria follia e aveva finito col non combattere più. Cosi si spiega l'occupazione di Pantelleria avvenuta quasi senza, colpo ferire, lo sbarco pressoché incontrastato in Sicilia e la rapida occupazione di due terzi dell'Isola, lo sbarco sulla costa calabrese. Tre anni di guerra impopolare senza una sola vittoria, avevano determinato. ormai, lo scollamento dell'Esercito. Le due ultime fiammate, del valore Italiano furono la battaglia di Tunisia e la ritirata dall'ansa del Don. Poi non vi sarà più un esercito italiano. Nel guardare, più tardi, al fatti dell’otto settembre bisogna avere presente questa condizione di cose. I comunicati mussoliniani, vuoti e ampollosi,redatti all'inizio - a sentire lui - nell'intento di non nascondere mai la verità al popolo italiano, erano divenuti falsi e retorici, magnificavano un ardimento che non esisteva, esaltavano una difesa, come ad Augusta e a Pantelleria che lo stesso Mussolini accuserà più tardi ed avrà torto ancora una volta - di tradimento.

Il demagogo non trovava più una sola nota giusta. Dall'inizio della guerra egli confesserà - nessun avvenimento sarà più propizio al suoi disegni. Tentava allora di correggere la sorte avversa con l’ostinazione e non faceva che raddoppiare ed esasperare gli errori. I due convegni dell'aprile e del luglio, a Salisburgo e a Feltre, tra Mussolini e Hitler non mutarono la situazione. Dal 7 al 10 aprile ì due dittatori si incontravano a Klessheim, presso Salisburgo. Questa volta Ciano era stato sostituito da Bastardini, Cavallero da Ambrosio.

Bastianini cercò di portare nel convegno un'idea nuova. Egli ricordava la massima dì Clausewitz che quando la sorte delle armi è contraria bisogna ricorrere all'arte della politica. Sperava quindi di determinare un nuovo orientamento nella politica europea dei due Stati dell'Asse. La Germania e l'Italia non dovevano tanto preoccuparsi di affermare le ragioni del loro spazio vitale quanto di ottenere la solidarietà delle nazioni del Continente in un programma di collaborazione. Non si Poteva costruire la nuova Europa con la schiavitù degli europei. Tornavano così in onore vecchi motivi del 19,9, soffocati e respinti dalla dottrina della razza superiore e del Lebensraum. Ribbentrop respinse subito il progetto di Bastianini. Quanto a Hitler non ebbe nessun agio dí ascoltarlo. Egli pronunciò in questo, come in ogni altro convegno, deí lunghi monologhi che Mussolìni ascoltava da solo senza testimoni e senza interprete. Poiché la sua conoscenza del tedesco non era perfetta non sì è mai saputo che cosa egli comprendesse delle parole di HitIer. Era però avvenuto un fatto nuovo. Da quando gli avvenimenti militari e politici non erano più favorevoli al dittatore italiano, questi si trovava in istato di palese, inferiorità rispetto al tedesco. Era ormai lontano il tempo di Monaco in cui Mussolini appariva ancora il maestro e HitIer il discepolo: (il primo parlava seduto con autorità e sufficienza e l'altro ascoltava in piedi in atteggiamento deferente e quasi desideroso di apprendere). Ora Hitler si era fatto aspro e non rifuggiva dal paragonare lo sforzo bellico tedesco con quello italiano e di lamentare lo scarso spirito combattivo del nostro esercito e la mancanza di disciplina e dì spirito di sacrificio del nostro popolo. La lentezza del governo italiano nell'applicare il sistema di razionamento per la distribuzione dei viveri e dei tessuti, aveva colpito tutti ì tedeschi. Essi si fingevano furiosi allo spettacolo delle vetrine dei nostri negozi, ma ne profittavano per saccheggiare allegramente quelle già scarse risorse.

Ci fu ancora un tentativo di chiarire la situazione con i tedeschi. in un convegno presso Feltre (19 luglio) nel castello del senatore Gaggia. Anche questa volta accompagnarono Mussolini il generale Ambrosio. il Sottosegretario Bastianini e l'Ambasciatore italiano a Berlino, Alfieri. Da parte tedesca vi erano Rìbbentrop, Keitel e l'ambasciatore a Roma Mackensen. Fu un convegno frettoloso e inconcludente durato poche ore e ridotto a una sola seduta plenaria. E in questa seduta non vi fu che un solo discorso di Hitler. Voleva Mussolini in quel convegno mettere finalmente i punti sugli “i”? Il Maresciallo Badoglio lo ha affermato nel suo discorso aglì Ufficialì in Agro dí San Gíorgio Jonico. Sia il Sottosegretario agli esteri Bastianini che il Capo dì Stato Maggiore Generale Ambrosio, desideravano da tempo una franca spiegazione e facevano molte pressioni su Mussolini in tal senso. 

Ma il «duce» era ormai intimidito dal Fuehrer. Egli si recava al convegni con la cattiva coscienza del peccatore perché non poteva sbandierare come avrebbe voluto una qualche vittoria o almeno un qualche successo. Si trovava quindi in una situazione di inferiorità che gli toglieva l'iniziativa e la parola. Ascoltava le orazioni del Fuehrer, si proponeva di rispondere, di mettere in chiaro ma poi e non osava, attendeva sempre un'occasione migliore; un momento più propizio, una carta anche minima nel proprio giuoco.

(1) MAUGERI: Mussolini mi ha detto , nella rivista “politica estera”, 1944, n. 7-8.
(2) Da rivelazioni recenti attribuite dalla stampa al figlio sembra che Rommel non sia morto per le ferite riportate, ma sia stato costretto a suicidarsi.

Nessun commento:

Posta un commento