“Il Quirinale repubblicano? Ci costa sei volte Buckingham Palace!” Scherzano (ma neanche tanto) i militanti dell’UMI, l’Unione Monarchica Italiana che, in questi giorni, hanno lanciato una raccolta firme per l’abrogazione dell’articolo 139 della Costituzione:
“La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale“.
In un momento della nostra Storia in cui l’anti politica sembra farla da padrona, eccoti tornare in piazza una formazione che non si vedeva da tempo, almeno dalle ceneri della Prima Repubblica. Spariti per anni dalla scena, i monarchici si ripresentano con un’iniziativa volta a sensibilizzare la cittadinanza sulla questione della forma di stato. E’ giusto che gli italiani non possano decidere, un domani, di pensionare la Repubblica in un referendum come quello del 1946?
“L’abrogazione del ‘139’ – spiega il segretario nazionale UMI Davide Colombo – articolo che rende antidemocratica e contraddittoria la Carta costituzionale, è una questione di civiltà e una vera e propria battaglia di libertà, che non dovrebbe essere sostenuta solo dai monarchici, ma da tutti gli italiani che di fatto vivono in una democrazia mutilata“.
Un gazebo di nostalgici reali? E’ quello che molti avranno pensato passando di fronte ai punti raccolta firme di Teramo, Assisi, Perugia e Terni. Eppure, dietro a quei Tricolori con tanto di vessillo sabaudo c’è qualcos’altro, cioè il desiderio di far conoscere e far riscoprire agli italiani passato e cultura istituzionale.
In effetti la nostra Costituzione, formulata due anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (27 dicembre 1947, entrata in vigore nel 1948), conserva disposizioni e articoli che nel mondo, profondamente cambiato, del 2015 potrebbero essere rivisti o, perché no, rimossi. Come, ad esempio, parte del testo dell’articolo 21 sulla libertà d’espressione:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” Un principio assolutamente civile e democratico, messo tuttavia in discussione dagli altri paragrafi dell’articolo stesso:
“Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni“. Buon costume? Un termine che non fornisce, con chiarezza, i limiti oltre i quali è necessario che la stampa non si spinga.
E, sempre in tema di libertà, colpisce che per parlare di “libertà individuale” sia necessario “attendere” il XIII articolo; come, d’altronde, fa un certo effetto rileggere l’art. primo della Carta: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Sul lavoro, che oggi spesso manca, oppure è in nero o non è retribuito, piuttosto che sulla dignità e sulla libertà del singolo. Nell’Italia del 2015 il lavoro, pilastro della Repubblica, è in piena crisi. E se le fondamenta traballano, chissà che non abbiano ragione i ragazzi dell’UMI che raccolgono firme contro il “139”: la possibilità di scegliere e di cambiare altro non è che un diritto del cittadino.
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