Dal
cuore del Trentino (vi prego di ricordare il libretto del 1909 di Giulio de
Frenzi sul Garda-see), dal lago di Garda e da Trieste penetrando nel cuore
della Penisola, il germanesimo ci avrebbe sempre più validamente circondati e
soffocati.
Il
Regno d'Italia, se anche vittorioso, sarebbe stato nell'ipotesi migliore il
primo fra gli Stati vassalli dell'Impero Germanico.
Queste
erano le ragioni che impedivano all'Italia di sostenere una lotta assurda a
fianco dell'Austria-Ungheria. E che cosa sarebbe avvenuto se si fosse
verificata un'altra scelta? Se noi, partecipando alla guerra con Austriaci e
Tedeschi, fossimo stati sconfitti dagli Imperi marittimi, con la immediata
invasione dell'Italia? Che cosa sarebbe allora avvenuto del Regno?
Si
sente dire ancora: «La guerra italiana ha dato luogo a una guerra civile». E’
certo che le giornate del maggio contengono già episodi di guerra civile. Vi
segnalo un documento poco conosciuto. Esso è tratto dalla rivista «Politica»,
dove io ho avuto l'onore di scrivere su problemi di politica estera fin dal
1919, alla scuola di Alfredo Rocco e di Francesco Coppola. In due numeri di
«Politica» sono trascritte le sedute segrete alla Camera dopo Caporetto.
Leggete quei discorsi e vi accorgerete che già nel 1917 eravamo nel clima di
oggi: nel clima della sconfitta, che è il clima tipico di un regime, come
l'attuale, nato dalla disfatta.
Quelle
«sedute segrete», sono dovute ad un uomo che ho già nominato all'inizio e che
fa parte di questo nostro Circolo.
Egli
(era allora deputato) prese degli appunti sui discorsi di Montecitorio. Notò
che Uno degli oppositori chiedeva perché Cadorna fosse ancora rappresentante
dell'Italia nel Comitato interalleato invece di trovarsi, insieme con il
generale Porro, in stato di arresto».
Socialisti
e giolittiani applaudirono lungamente, e un deputato giolittiano rincarava la
dose: «Anche Salandra - diceva dovrebbe essere in stato di arresto».
Vi
furono sei sedute segrete su Caporetto: sei sedute in cui ciascuno potrà
trovare i dati che prepararono le giornate insurrezionali del 1919 (quando si
dava a Roma l'assalto ai negozi) a pochi mesi dalle giornate di Vittorio
Veneto.
Le
ragioni dell'intervento non furono soltanto negative cioè relative all'impossibilità di appoggiare la guerra aggressiva dell'Austria. Vi furono anche ragioni
positive e traevano motivo dalla storia italiana e dai suoi sviluppi nel Mediterraneo.
Gli
Inglesi, quando la Turchia
nell'autunno di quel 1914, si dichiarò per la guerra a fianco della Germania,
facevano notare all'Italia che 1’intervento della Turchia avrebbe potuto
determinare un attacco all'Egitto, con successivi possibili turbamenti nella Libia
(che noi avevamo appena occupata e che in realtà tenevamo soltanto sul margine
costiero), nel Canale di Suez e nell'Eritrea.
Gli Inglesi domandavano: «Voi cose
farete?». Salandra rispose: «Metteremo qualche corazzata davanti ad Alessandria
per difendere l'integrità del Canale». Questo mi fa pensare ad altre navi che
nel 1956 si misero davanti al Canale di Suez, e non erano precisamente navi
italiane: erano navi americane contro le nazioni occidentali che cercavano di
fermare 1a rivoluzione antieuropea (Voce Bel lavoro!). Sì, è stato un capolavoro
dell'atlantismo.
Sonnino,
alla fine del 1914, in
Senato. rispondendo a un Senatore che esprimeva l'augurio di salutare la pace
nel 1915 ammoniva: «Un secolo fa, nel 1815, avemmo la pace, ma dovemmo rompere
quei patti per ricostituirci in nazione. Speriamo che il 1915 sia l'anno di una
pace dalla quale l'Italia acquisti maggiore gloria e grandezza ».
Si
riconosceva in quelle parole il proposito dell'intervento per il maggio
successivo. Insomma batteva un'ora molto grave per tutti. I popoli e le nazioni
erano in movimento, decisi a partecipare al nuovo equilibrio delle potenze in
Europa e nel mondo. L'Italia non poteva rimanere esclusa dal corso della nuova
storia.
La
gioventù italiana, l'esercito italiano non accettavano di restare assenti.
Numerosi erano i movimenti favorevoli all'intervento. Ammettiamo pure che non
ci fosse una vera e propria maggioranza (che non c'è mai per le guerre) nel
1915; v'era però una minoranza attiva, una minoranza presente nelle piazze, nei
comizi, nelle assemblee. Questa minoranza non voleva che l'Italia fosse
ignorata, che l'Italia si appartasse dagli avvenimenti in corso, così gravi e
importanti.
Il
pensiero unitario era profondamente legato al fenomeno del Mediterraneo, al
fenomeno dell'espansione mediterranea. Non si capirebbe come la Penisola , divisa per
tanti secoli fra occupazioni straniere e varie monarchie, potesse riunirsi
senza una ispirazione centrale e senza una forza vitale di espansione. Su
questo concordano tutti gli italiani del Risorgimento: da Lodovico Antonio
Muratori, che rivendicava già nel '700 la libertà dei mari (in un manoscritto custodito
dall'Ambrosiana di Milano), all'Abate Galiani in un suo scritto sui «Doveri dei
principi neutrali», ad Antonio Genovesi, che invocava per gli Italiani maggiore
«spirito di intrapresa» in quel mare che era stato «nostro».
Alla
fine del '700 due cittadini illustri, il Galeani Napione e Melchiorre Gioia,
affermavano che l'Italia dovesse restaurare l'antica grandezza sugli scali
della Tunisia e del vicino Oriente.
Cesare
Balbo scriveva nel 1848: «Diventiamo grande potenza mediterranea e mondiale». Cavour,
fin dal 1846, parlava di una Italia destinata a collegare l'Europa con
l'Africa; nel 1851 collegava Cagliarí con l'Africa mediante una linea di navigazione e nel 1855 decideva la
partecipazione del Piemonte alla guerra di
Crimea « L'Italia - diceva Cavour
in un discorso alla Camera subalpina, per l'intervento in Crimea - ha interesse all'equilibrio nel Mediterraneo. L'Italia ha interesse a che la Russia non divenga padrona
del Mar Nero».
E
già nel 1859, attraverso il cappuccino Leone des Avanchers cooperatore del
Massaia, avviava trattative per un Patto del Regno Sardo con l'Abissinia.
Ed
eccovi una pagina mirabile del Mazzini ( 1871): «Nel moto inevitabile che
chiama l'Europa a incivilire, le regioni africane, come il Marocco spetta alla
Penisola iberica e l'Algeria alla Francia, Tunisi - chiave del Mediterraneo
centrale e lontana venticinque leghe dalla Sicilia - spetta visibilmente
all'Italia. Tunisi, Tripoli e la
Cirenaica formano parte importantissima, per la contiguità
con l'Egitto, con la Siria
e l'Asia, di quella zona africana che appartiene veramente, fino all'Atlante,
al sistema europeo. E sulle cime dell'Atlante sventolò la bandiera di Roma,
quando, rovesciata Cartagine, il Mediterraneo si chiamò mare nostro. Fummo
padroni di quella regione fino al V secolo, oggi i Francesi l'adocchiano, sin
dalla fine del '700, e l'avranno fra non molto, se noi non l'abbiamo ».
I
Francesi l'ebbero nel 1881 , e Mazzini dal 1833 parla di espansione nel Mediterraneo: «Schiudere all'Italia – chiedeva - compiendo ad un tempo una
missione di incivilimento, tutte le vie che conducono al mondo asiatico ».
E ancora nelle «Lettere di un esule»: «La Provvidenza ha
iscritto l'iniziativa dell'Italia nelle necessità della vita: noi non possiamo
vivere se non di vita europea, non emanciparci se non emancipando, dobbiamo
essere grandi o perire. Dobbiamo essere
grandi o perire! ». Mazzini, Cavour,
Balbo, Garibaldi Gioberti, Alberto Mario, Nino Bixio, Crispi: tutti furono per
l’espansione nel Mediterraneo, per l'espansione dopo il compimento della
unità.Ma forse soltanto questi patrioti? No! Giovanni Amendola a Trieste, nel
1922, parlava di « prevalente importanza da dare a tutto quanto si riferisce al
Mediterraneo orientale».
E cito
infine uno scrittore di oggi Mario Missiroli che, a prefazione ad un libro di
Sorel (Lettere ad un amico di Italia) esclama: - «E allora che cosa resta della
nostra tradizione risorgimentale? Può l'Italia vivere le angustie “ di un piede
di casa - che ricorda sin troppe, le antiche aberrazioni del disfattismo
politico e morale? Nessuno che non abbia il
bene dell'intelletto potrebbe oggi sognare espansioni territoriali o avventure di
qualsiasi genere, ma anche nel nuovo assetto mondiale ci deve essere una
possibilità di vita internazionale conforme alla nostra antica tradizione. Qui
non si tratta di fare del nazionalismo di scarto; si tratta unicamente.
semplicemente di trovare un motivo di vita che giustifichi la nostra stessa
esistenza di fronte alla storia, perché vivere per una Nazione significa
esercitare la capacità di concorrere alla soluzione di qualche problema
mondiale, di portare la propria voce originale e inconfondibile nel discorso
universale».
Ecco
le ragioni, le mille ragioni, nel pensiero di Muratori come di Cavour e Mazzini,
per l'intervento italiano del 1915.
Molte
volte, nei giorni scorsi, ricercando le poche, ma non ignobili idee che ho
raccolte e qui esposte, balenò in me una vaga reminiscenza: in qualche pagina
di uno storico italiano io dovevo aver letto un ritratto d'attualità: il
ritratto di un uomo politico quale è colui che oggi ci guida l'on. Aldo Moro.
Pensavo di aver già incontrato codesto personaggio e l'atmosfera in cui egli si
muove e agisce, alla testa di un Paese di 53 milioni Italiani che vanta secoli
di vita e di storia. Ed ecco: la mia memoria ebbe un lampo, e mi ricordai una
suggestiva pagina della prefazione del Botta alla sua «Storia d'Italia» che,
continuando quella di Guicciardini, va dalla morte di Clemente VII (1534) alla
Rivoluzione Francese del 1789.
Ebbene,
udite. Nella prefazione Carlo Botta scrive, in data 2 febbraio 1832: « Un altro
peggior male sovrasta alle presenti generazioni, e questi sono i sofisti, i
quali, lasciate dall'un dei lati le materie religiose, di nuovo, come
anticamente, si voltano e si agitano come sottilissimi insetti sopra lo Stato.
E le lambiccature e le astrazioni e le astruserie e le sottigliezze loro in questo
proposito sono tante e tali che tutte le entelechie dei teologi non ne starebbero
al paragone, funestissimi Carneadi!.
«Questo
è un grande segno di decadenza; né maggiore indizio di corruzione in una
Nazione vi può essere che questo, i raffinatori delle idee sono la rovina degli
Stati. I sofisti hanno perduto la libertà greca, hanno perduto la libertà
latina, perderanno la libertà europea. Se coloro che recte sapiunt non sono
valevoli ad opporre loro un argine bastante e se il buon senso non vince lo
spirito... »
Ebbene,
amici, se vi era la necessità di intervenire nel 1915, per combattere dal 1915
al 1918, più che mai esiste l'imperiosa necessità di combattere idealmente, in
questi anni, a restaurare le fortune e la dignità della Patria Italiana.
La prima e la seconda parte sono consultabili ai seguenti link:
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