Il piccolo laboratorio di restauro dei bronzi antichi di Sofia Jaccarino, dama di corte e amica stretta di Maria José di Savoia, due stanze, arredate sommariamente in un edificio affacciato sul Foro Romano, diventò il luogo ideale per i conciliaboli segreti e le trame intessute dalla futura ultima regina d'Italia per contribuire al rovesciamento della dittatura e per cercare di favorire l'uscita dal conflitto.
Il rapporto fra Sofia, figlia della più cara confidente della regina Elena, e Maria José aveva avuto inizio dopo il matrimonio di Umberto di Savoia con la figlia dei sovrani del Belgio, nel 1930. Il principe ereditario aveva pensato alla Jaccarino come alla persona più adatta per essere vicina alla moglie giunta in Italia. Le due, accomunate dalla passione per la letteratura e l'archeologia, divennero inseparabili. Attraverso la Jaccarino, ostile al regime, la principessa ebbe la possibilità di frequentare aristocratici e uomini di cultura in odor di fronda. Un esempio solo: grazie all'archeologo Vittorio Spinazzola, amico della Jaccarino, incontrò Benedetto Croce. Per sfuggire ai controlli cui era sottoposto il filosofo, fu organizzato un appuntamento a Pompei: Croce accompagnò l'archeologo portando sotto il braccio un rotolo di disegni come se ne fosse un aiutante e in una saletta del museo attese la principessa con l'amica. Mentre lo Spinazzola intratteneva la Jaccarino in un'altra sala, i due si parlarono e Croce le rivelò i sentimenti degli italiani sul fascismo e le accennò alla necessità di un intervento del sovrano. Avrebbe poi ricordato Croce: «avendomi (la principessa ndr) domandato che si pensasse della monarchia, io non le tacqui l'intera verità, ma tuttavia le dissi che non credevo che lo spirito monarchico fosse spento in Italia, esso covava sotto la cenere e sarebbe divampato se il re avesse fatto qualche gesto risoluto».Lì, preferibilmente, ma anche in un mezzanino che si era fatta allestire al Quirinale e nell'abitazione di Sofia, la Principessa, lontana da occhi e orecchie indiscrete, incontrò esponenti dell'antifascismo e personalità invise al regime. Dapprima furono uomini del vecchio mondo liberale - da Ivanoe Bonomi a Vittorio Emanuele Orlando, da Luigi Einaudi a Alberto Bergamini - e delle gerarchie militari, da Pietro Badoglio a Vittorio Ambrosio, ma anche prelati dall'allora monsignor Montini a monsignor Pietro Barbieri. Per non dire degli intellettuali, da Paolo Monelli a Massimo Bontempelli, da Ugo Ojetti a Pietro Paolo Trompeo fino a Trilussa, al secolo Carlo Alberto Salustri, che ribattezzò il laboratorio «Il rifugio della favola» e che, in occasione della prima visita, scrisse, sull'album dei visitatori, un sonetto su La fine del filosofo dove si legge: «Oggi, quelo che conta so' li muscoli:/ co' la raggione nun se fa un bajocco...».
I diari inediti e le carte di Sofia Jaccarino, che in vita fu assai riservata, sono stati utilizzati da Luciano Regolo per la stesura di un bel libro dal titolo Così combattevamo il Duce (Kogoi, Roma, pagg. 276, euro 16) che chiarisce l'impegno antifascista dell'ultima regina d'Italia. Il volume, gustosissimo per taglio e scrittura, è importante perché rivela particolari inediti. Da esso si ricava la conferma che, già nel 1938, Maria José, insieme al marito, a Badoglio e a Graziani, fu protagonista di un tentativo di colpo di Stato che avrebbe dovuto portare all'arresto di Mussolini, all'abdicazione di Vittorio Emanuele III, alla rinunzia al trono di Umberto e alla costituzione di un governo guidato da un antifascista milanese, Carlo Aphel, legale di fiducia degli Agnelli. Il progetto rientrò poi perché il successo di Mussolini alla Conferenza di Monaco lo aveva reso improponibile.
Da quel momento iniziarono gli anni del maggiore impegno cospirativo di Maria José aiutata e affiancata dalla Jaccarino e da altre signore della nobiltà a cominciare dalla contessa Giuliana Benzoni, nipote di Ferdinando Martini. Si sussurrò, all'epoca, in ambienti della corte, di «congiura delle dame». Non si trattava di velleitarismo da salotto, ma di vera e propria attività politico-cospirativa che coinvolgeva personalità di vario orientamento. Azionisti come Francesco Flora e Carlo Antoni, come pure lo scrittore comunista Elio Vittorini entrarono nella rete dei suoi contatti. In particolare Antoni, di idee repubblicane, divenne una specie di consigliere politico. All'interno del libro di Regolo è riprodotto un suo memoriale inedito, che narra il suo rapporto con la principessa, che egli trovò «molto aperta e franca». Dal memoriale emerge che Antoni teneva informato dei suoi colloqui uno dei capi del Partito d'azione, Federico Comandini, il quale a sua volta ne riferiva a Ugo La Malfa. Sempre dal memoriale si ha notizia di un passo compito dai comunisti nel 1943, attraverso il latinista Concetto Marchesi, per offrire collaborazione col re «purché questi facesse il colpo di Stato». Ecco quanto scrive Antoni: «il 26 maggio, dettai alla Principessa, che era raggiante, la proposta dei comunisti che ella incaricò di trasmettere. I comunisti si impegnavano a una leale collaborazione fino a che la crisi del Paese fosse completamente superata e chiedevano di partecipare al governo con un solo loro rappresentante». Antoni parlò anche a Maria José della «necessità che il Re, compiuto il colpo di Stato, si ritirasse» e, di fronte alle obiezioni di lei, ammise che un'abdicazione immediata sarebbe stata per il re «una troppo amara confessione delle proprie colpe» e suggerì la luogotenenza (poi fatta propria da Enrico De Nicola). In quello stesso periodo circolarono voci negli ambienti diplomatici alleati sull'ipotesi di una reggenza di Maria José secondo lo schema dell'abortito progetto di golpe del 1938.
Nelle ultime e convulse fasi della vita del regime l'attività della principessa divenne sempre più intensa e, con l'appoggio del Vaticano e di uomini del mondo cattolico come Guido Gonella, si indirizzò non solo verso il golpe ma anche verso la ricerca di una via di uscita dal conflitto, ormai perduto, che evitasse la resa incondizionata. Il piccolo laboratorio di Sofia Jaccarino e la sua abitazione furono l'epicentro dell'attività che Maria José, sempre d'accordo con Umberto (è questa una delle rivelazioni del libro di Regolo), cercò di portare avanti caparbiamente scontrandosi con le resistenze e la diffidenza di Vittorio Emanuele III e di ambienti della corte.
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