di Domenico Giglio
Continuando, anche se per sommi capi, l'esame dei rapporti fra Casa Savoia e l'Italia, va ricordato che con Umberto I si arriva alla trasformazione della monarchia in governo parlamentare.
Lo stesso Sovrano e la consorte Margherita prima regina d'Italia in quanto Vittorio Emanuele Il era rimasto vedovo nel 1855 della regina Maria Adelaide quando era ancora Re di Sardegna, si sono impegnati in una serie di viaggi nelle più importanti località della penisola per conoscere meglio le città ed i cittadini del regno. I compiti di entrambi erano diversi: il Re era particolarmente attento ai problemi delle forze armate e della politica estera per mettere al sicuro l'Italia da eventuali rivalse austriache, la Regina era invece impegnata a sostenere la cultura, l'arte, le tradizioni locali tanto da scuotere i convincimenti di antichi intellettuali repubblicani. Con le sue vacanze in Cadore ed in Val d'Aosta ha fatto conoscere non solo agli italiani, ma anche agli stranieri la bellezza delle nostre località montane come pure con i suoi soggiorni a Venezia ed in altre città d'arte ha testimoniato non come appiattimento o piemontesizzazione, ma come somma se non moltiplicazione dei valori delle diverse realtà storiche in una prospettiva nazionale e non più angusta e provinciale.
Ma di Umberto I si vuole ricordare solo la pesante repressione del Bava Beccaris dimenticando che in un regime parlamentare la responsabilità di quella azione andava assegnata al governo in carica, governo che godeva della fiducia delle Camere e non direttamente al Re.
Il Re, che aveva combattuto a Custoza nel 1866, si era recato a rischio della propria vita tra i terremotati a Casamicciola e tra i cole-rosi a Napoli per poi essere assassinato la sera de 29 luglio 1900 da un anarchico dopo aver assistito a Monza ad un saggio ginnico dei "Liberi e Forti" cui avevano partecipato fra i tanti anche atleti trentini zona ancora irredenta.
Di Vittorio Emanuele III, asceso al trono in così tragica circostanza, non si ricorda né il primo messaggio agli italiani nel quale, pur così duramente colpito nel suo affetto di figlio, vi sono solo parole di fede e di speranza nel destino dell'Italia ed anche sembra ignorarsi l'ascesa econornica, politica e sociale come pure l'accresciuto prestigio dell'Italia durante il primo quinquennio del suo regno ed il prestigio internazionale del sovrano stesso confermato dalla fondazione dell'Istituto Internazionale dell'Agricoltura, progenitore della attuale FAO.
Il Re è stato molto apprezzato e richiesto quale arbitro chiamato a dirimere controversie di confine fra vari stati. Nella guerra vittoriosa del 1915-1918 che ha consentito il completamento dell'unità nazionale con l'annessione di Trento e Trieste Vittorio Emanuele è rimasto in prima linea per tutta la durata de conflitto incurante dei pericoli cui si esponeva. E' per questo piuttosto strano che venticinque anni dopo si sia voluto considerare questo sovrano un vile quando, nell'intento di assicurare la continuità dello Stato, si è trasferito con il governo da Roma a Brindisi. Purtroppo il Re, rispettoso della volontà del parlamento e degli organi costituzionali dello Stato non ha potuto rifiutare la sua firma anche a leggi che certo non condivideva.
Accanto a Lui una donna di eccezionale bontà e carità, la regina Elena che con tutta la esemplare famiglia sono stati un punto di riferimento per tutto il popolo che ne ha tratto motivi di elevazione e di miglioramento. La Sovrana si è sempre dedicata a molteplici opere di assistenza accorrendo ovunque si fossero manifestate necessità di intervento per le tante calamità naturali che hanno spesso funestato la vita di molte regioni.
Dopo l'8 settembre 1943 il Re è stato fatto oggetto di accuse e di attacchi specialmente da parte di chi aveva invece la vera, maggiore responsabilità per gli accadimenti italiani dal 1922 fino all'armistizio e che così riusciva a scaricare sul sovrano anche le proprie colpe. A questo punto per la pacificazione degli animi Vittorio Emanuele III decideva di uscire di scena nominando il figlio Umberto Luogotenente Generale del Regno. Il 9 maggio 1946 abdicava e si recava esule in Egitto accolto con tutti gli onori da Re Faruk e da tutte le autorità del paese africano. Il 28 dicembre 1947 ad Alessandria d'Egitto ha chiuso la sua esistenza ed in quella città riposa ancor oggi nella Chiesa di Santa Caterina.
Il nuovo ed ultimo sovrano di Casa Savoia,
Umberto II, nei due anni di luogotenenza e nell'unico mese effettivo di regno ha saputo mostrare non comuni doti di equilibrio, di imparzialità, di superiore visione dei problemi meritandosi la stima ed il rispetto anche dell'ala repubblicana dei politici italiani del tempo. Con loro ha mantenuto anche dal Portogallo rapporti di reciproca considerazione specialmente in anni in cui si è realizzata la ricostruzione materiale dell'Italia e nei lunghi anni dell'esilio Umberto Il è stato sempre vicino agli italiani nelle ore felici, e specialmente in quelle tristi, dalle alluvioni ai terremoti, agli attentati che hanno spesso sconvolto il territorio nazionale.
Ha rivolto sempre parole di speranza e di fede nell'avvenire della patria che, come scrisse nel messaggio d'addio del 13 giugno 1946, l'avrebbe potuto "contare sempre su di lui come sul più devoto dei suoi figli". La Patria e cioè l'Italia e non le sorti della monarchia, come invece si è insinuato e si è scritto da più parti, sono sempre stati in vetta ai pensieri non solo di Umberto II, ma anche di Vittorio Emanuele III. Quest'ultimo infatti, già in esilio, il 1° gennaio 1947 ha scritto sul suo diario "viva l'Italia, ora più che mai!".
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