di Tommaso Francavilla
Ho smesso da tempo di avere fiducia nella Magistratura italiana, sempre
più pervasa da un delirio di onnipotenza tanto più inquietante in quanto
coniugato con un altissimo tasso di politicizzazione, ivi compresa la Corte
Costituzionale, nella quel quel delirio e quel tasso sono addirittura
istituzionalizzati e sistematici.Ma se dovessimo credere ancora a tale apparato
giudiziario, a fronte della sentenza di tale Suprema Corte che respinge i
ricorsi della Procura di Taranto contro le leggi cosiddette “salva-ILVA”
giudicandole pienamente costituzionali, dovremmo domandarci chi paga oggi i
danni gravissimi inferti attraverso i provvedimenti successivi a tali leggi
della suddetta Procura a carico non soltanto di una grande azienda, peraltro
realizzata dallo Stato e da questi venduta evidentemente con la garanzia di
poter continuare ad operare, ma anche dell’intera economia italiana, di cui
l’ILVA –producendo il 40% dell’acciaio nazionale- costituisce ( costituiva?) un
autentico pilastro, nonché di un intero territorio il cui reddito è in buona
parte connesso alla grande fabbrica tarantina, e di migliaia di lavoratori,
costretti alla Cassa Integrazione e con il futuro reso a grave repentaglio
dalle conseguenze inevitabili sull’azienda stessa di queste vicende. Tanto più
tale domanda è legittima ove si consideri che il secondo intervento legislativo
del Parlamento si è reso necessario perché, quasi a mò di ritorsione nei
confronti del primo che sanciva la ripresa della produzione nelle more della
realizzazione degli interventi di ambientalizzazione previsti da due AIA, il
suddetto delirio di onnipotenza si era spinto fino a sequestrare non già più
siti inquinanti, ma innocui prodotti finiti per il valore di un miliardo di
euro, di per sé sufficiente a stendere anche la più grande e florida delle
aziende per di più in una fase di crescita economica invece che dell’attuale
grave recessione, con pesanti conseguenze anche nei confronti di innocenti
clientele private di materiali ordinati e sovente anche pagati in assoluta buona
fede.
A ciò si aggiungano le gravi lacerazioni, con l’esplosione di
opposti sentimenti, inferte ad una comunità tarantina che soltanto pochi mesi
prima aveva votato alle Amministrative sconfessando platealmente tutti i
movimenti catastrofistici che se ne erano auto-assegnata la rappresentanza, per
cavalcare i quali si era impavidamente paracadutato, per lucrarne
un’improbabile riesumazione, l’ultimo Segretario del fulgido Partito di
Pecoraro Scanio, che ci ha riprovato anche alle recentissime politiche, riscuotendone
analogo, cocente insuccesso. Due convergenti responsi democratici- quelli delle
Amministrative e delle Politiche- che non possono certo essere surrogati da un
fantomatico Referendum in cui molto probabilmente voteranno le solite minoranze
fanatizzate, a gloria delle vanità dei soliti magniloquenti portavoce di sé
stessi, professionisti o aspiranti tali del catastrofismo oscurantista. Mentre
non si può sottacere il silenziamento della politica tarantina, su cui incombe
l’annuncio reiterato quanto datato di imminenti provvedimenti giudiziario in
cui qualche malpensante potrebbe immaginare un sapore vagamente intimidatorio.
Questa di Taranto è in sostanza una brutta ed emblematica
storia di mala-giustizia, in cui il delirio di onnipotenza di cui sopra ha rasentato
l’eversione. Speriamo questa volta che l’argine opposto dalla Suprema Corte,
giudicata infallibile quando conviene alla sinistra, faccia scuola.
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