di Emilio Del Bel Belluz
Ripresi con solerzia
l’attività di pescatore, da solo, perché Ludovico non s’era presentato da
alcuni giorni e senza darmi preavviso. Mi rammaricai anche perché lo avevo già
considerato un fedele collaboratore. La sua compagnia mi rasserenava, e anche a
mia moglie era simpatico, e lo vedeva come una persona affidabile. Ludovico si
trovava a passare un periodo piuttosto triste, causato dalla solitudine in cui
viveva, anche se da parte mia avevo cercato di confortarlo, di considerarlo un
camerata a cui, però, avrei potuto dare ancora molto di più. Dopo aver passato
la mattina a pescare senza una gran fortuna, mi avviai verso casa, con quel
poco di pesce che avevo catturato. Però avevo pescato una grossa trota che dopo
averla pulita, l’avrei consegnata ad Elena perché la cucinasse. Da lontano
scorsi il camino che fumava della mia casa, stava bruciando della legna di
acacia, che al mattino avevo accatastato vicino alla stufa. Quella legna che
bruciava era quella che il fiume mi aveva donato, lasciandomela proprio davanti
alla riva, dove s’era creata un’insenatura. In quel momento sentii il suono
delle campane che annunciavano il mezzogiorno. Quanto amavo quei dodici
rintocchi, mi davano un senso di liberazione e per tanti pescatori e contadini
erano l’invito a staccare dalle loro occupazioni e di andare a pranzo. Il
vecchio campanaro Angelo era sempre puntuale, non mancava mai di suonare quelle
campane che avevano anche annunciato festosamente la fine della Grande Guerra.
Avevano suonato con allegria anche nel giorno del mio matrimonio, rimasto
indimenticabile. Quando giunsi davanti
alla porta di casa, Elena mi era venuta incontro con allegria, e da quando
aspettava una nuova creatura i lineamenti del suo volto erano diventati più
dolci. Quando mi vide, mi chiese subito perché Ludovico non era con me. Allora
mi propose di andare a casa sua a chiamarlo perché venisse a mangiare da noi.
Aveva preparato un ottimo pranzetto che avrebbe arricchito con la trota. Non entrai neanche in casa, lasciai il pesce
a Elena e mi incamminai. Non avevo molta
strada da percorrere per arrivare alla casa di Ludovico, e se avessi preso
quella scorciatoia che conoscevo bene, sarei arrivato in un lampo. Durante la mia strada incontrai alcune
persone che mi salutarono allegramente, pensai che fossero felici perché
stavano raggiungendo la loro abitazione per pranzare. Erano contadini con il
volto madido di sudore e sorreggevano la falce che avevano adoperato per ore
sotto un sole cocente. Giunsi in prossimità della casa di Ludovico e mi
meravigliai che le imposte fossero ancora chiuse. Pensai sia che fosse andato
via senza avvertirmi, sia che gli fosse successo un malore. Bussai e gridai di
aprire, e non sentendo nulla raddoppiai la mia forza, bussando come se avessi
dovuto buttare giù la porta. Quando stavo per andarmene, sentii la sua voce che
diceva che sarebbe uscito. Attesi ancora e nel frattempo un giovane che passava
lungo il canale, sentendo le mie urla, si fermò pensando che fosse accaduta una
disgrazia. Questo era un ragazzo che non avevo mai visto prima, aveva con sé
una canna e alcuni pesci che aveva catturato. Il ragazzo si presentò e, nel
frattempo, venne alla porta ad aprire Ludovico.
Il suo volto era pallido come quello di un morto, mi fece entrare in
casa, e mi accorsi che alcune bottiglie di vino vuote erano sopra il tavolo.
Ludovico non mi disse nulla, perché comprese che non ci voleva molto a capire
cosa gli fosse accaduto. Mi confidò, senza molti giri di parole, la sua
scontentezza che rasentava la disperazione per essere tornato in patria con una
gamba mutilata, e per la paura del domani.
Lo invitai ad andare a lavarsi e togliersi i vestiti che puzzavano di
vino, come pure tutta la stanza. Aprii le finestre per far entrare l’aria, la
sua casa era disadorna e necessitava di pulizie a fondo. Me la ricordavo
diversa, ma erano passati molti anni. La sua famiglia non c’era più, vidi le
foto appese ai muri dei genitori e una di Ludovico con la divisa dei carlisti,
e ciò mi emozionò. Per un attimo pensai
che una soluzione per lui poteva essere quella di trovare una persona che lo
amasse e l’aiutasse ad uscire dalla crisi esistenziale che stava vivendo. Alla
fine era un bravo ragazzo che dalla vita aveva ricevuto poco e meritava tutta
la mia comprensione. Quando tornò
sembrava già diverso, e l’odore del vino era in qualche modo sparito. Gli dissi
di fare presto a vestirsi perché l’avevamo invitato a pranzo. Ludovico si mise
una camicia di quando era soldato in Spagna. Dopo una mezzora eravamo seduti a
tavola. I bambini avevano già mangiato, solo Genoveffa e Elena avevano voluto
aspettarci. Il pranzo preparato con dovizia da Elena soddisfò tutti. Non
accennai a quello che era capitato a Ludovico. Alla fine del pranzo eravamo
tutti più sereni. La giornata era splendida, il sole scaldava anche gli animi
ed era giunta l’ora di riprendere il lavoro. Quello che mi entusiasmò, fu il
vedere Ludovico salire in barca con un’espressione meno triste. Mentre calavamo
le reti, mi rivolse tantissime domande sui segreti del fiume Livenza e sulle
sue varietà di pesci. Lasciava trasparire una grande volontà di apprendere e
ciò mi consolava enormemente. Quando raggiungemmo l’altra riva, decisi di
portalo a bere un caffè in un’osteria a poca distanza da dove avevamo
attraccato la barca. Uno scrittore aveva detto che nella vita si può sbagliare
tante volte, ma se si comprende l’errore, è difficile che ci si possa ricadere.
Dissi, in modo fraterno, a Ludovico che lo avrei aiutato a rialzarsi dalla
situazione in cui si trovava, ma doveva pure lui fare la sua parte. Prima di
tutto era necessario che ricominciasse ad avere fiducia in sé stesso e nelle
sue capacità. La sua vita non era finita, gli sarei stato accanto ma spettava a
lui il decidere tra il bene ed il male. Ludovico abbassò la testa, divenne
rosso in volto: le mie parole lo avevano imbarazzato. In qualche modo doveva
accettare la sua menomazione, e la pesca gli poteva essere utile per ritornare
ad una nuova vita. Remava velocemente, grazie alla forza possente delle sue
braccia. Quando giungemmo vicini all’osteria gli battei una pacca incoraggiante
e fraterna sulla spalla. Ludovico mi sorrise, apprezzando il mio gesto.
Entrammo e la moglie dell’oste si avvicinò con un boccale di vino rosso tra le
mani, ma Ludovico ordinò solo una tazza di caffè. Prima del tramonto
s’avviarono verso la barca. Gli consigliai di trovarsi una ragazza a cui donare
il suo amore, e forse, in tempi non lontani, anche lui avrebbe potuto godere
della gioia di avere una sua famiglia. Questa volta mi sorrise, ma disse che
difficilmente avrebbe trovato qualcuna che lo amasse con la sua menomazione.
Gli raccontai allora di una persona che avevo conosciuto, e che era relegata in
una sedia a rotelle. Costui, che doveva
avere oltre cinquant’ anni, disse che aveva perduto in un incidente sul lavoro
le gambe, ma aveva ritrovato la testa. La sua vita era cambiata in meglio,
poteva fare tante cose che prima si sognava, come leggere dei libri che gli
permettevano di andare in qualsiasi posto. Aveva anche un lavoro soddisfacente
e pure una meravigliosa famiglia.
Ludovico non aggiunse nulla, sembrava che stesse meditando sulla storia
appena sentita. Camminando a passo veloce, giungemmo a casa.
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