NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 18 febbraio 2023

Capitolo XXXII: Il soldato carlista



Di Emilio del Bel Belluz

La notte l’avevo passata ritornando con la mente a quello che mi aveva raccontato Ludovico: l’esperienza che aveva avuto in terra straniera e il coraggio che aveva dimostrato, combattendo contro i rossi. Quando si é in guerra, la morte ti è sempre vicina; non sai mai se potrai arrivare fino a sera incolume. La guerra chiedeva soldati coraggiosi che non temevano di morire. Ludovico, poi, anche a scuola aveva dimostrato d’essere un ragazzo forte e robusto che si batteva per quello in cui credeva. Mi venne in mente che una volta aveva difeso una donna che il marito stava picchiando, si mise in mezzo e, sebbene l’uomo fosse più forte di lui, era riuscito a resistergli finché non erano arrivate delle persone a dividerli. Quel gesto di coraggio l’aveva compiuto perché non amava le ingiustizie: una donna non si doveva toccare neanche con un fiore. Ludovico in quei tempi era come un cavaliere senza macchia, un paladino della giustizia. Quel giorno non si era beato del suo gesto, si era ritrovato con il volto sanguinante, e un occhio tumefatto. Il suo coraggio era tale che non volle ricorrere alle cure del medico, ma semplicemente si fece medicare da una donna che aveva assistito al fatto. Costei era una vedova di guerra e lo aveva portato nella sua casa, dandogli qualcosa di forte da bere e medicandogli le brutte ferite che sanguinavano. La donna aveva molta stima di questo ragazzo che non aveva pensato a se stesso, ma al bene degli altri. Ludovico il giorno dopo era andato a scuola come se niente fosse, con il suo occhio nero e la sua ferita al labbro. I suoi compagni lo avevano accolto con ammirazione, ma per lui aveva fatto solo quello che il suo cuore gli dettò. La maestra lo aveva abbracciato e baciato per il suo coraggio e da quel giorno gli volle sempre un gran bene. Ludovico chiedendomi di poter lavorare con me, mi fece capire che non sapeva come tirare a campare. Sperava che i tempi duri potessero cambiare ed io ero l’unico che poteva offrirgli un lavoro diverso da quello della coltivazione della terra. Ribadii che non ci sarebbero stati molti guadagni e la pesca non sempre era redditizia. Il giorno dopo, alla mattina presto, era di nuovo al fiume, con il suo bastone e mi fece cenno che voleva raggiungermi. Ludovico si era vestito da lavoro, aveva una giubbotto militare che lo faceva sembrare un soldato di fanteria. Nonostante il periodo duro della guerra che lo aveva fiaccato nel corpo, il suo volto dimostrava meno anni della sua età. Gli chiesi se avesse fatto colazione, ma non mi rispose. Allora gli consegnai la merenda che Elena aveva preparato per lui: una focaccia appena sfornata e una boraccia di caffelatte. Ludovico mangiò con appetito seduto su un tronco. Lo osservavo mentre caricavo le reti sulla barca e le cassette per il pesce.  Elena mi aveva preparato un paniere con del cibo perché  sapeva che  avremmo fatto tardi. La mia buona Elena aveva preparato delle ottime pietanze che non sarebbero avanzate. Volle darmi pure una bottiglia di vino rosso. Dopo aver lasciato la riva con la barca, mi accorsi che Ludovico aveva preso da una tasca la sua pipa e l’aveva accesa. Era passato del tempo da quando avevo sentito il  profumo del tabacco piuttosto aspro ed intenso che si mescolava con quello del fiume.  Ludovico era felice, aveva ritrovato l’umore giusto che ci deve essere quando si va a pesca. Quando tiravo le reti sulla barca, vedevo i suoi occhi felici se tra le loro maglie s’era impigliato un grosso pesce.  Gli avevo insegnato come togliere il pesce dalla rete. La nebbia si era alzata e aveva lasciato il posto a un pallido sole. Nella cassetta  c’erano molte specie di pesci che guizzavano, avevamo catturato una bella carpa e alcune tinche. Faceva bella vista nel secchio vicino una trota dai colori stupendi che si dimenava alla ricerca della libertà. Per mezzogiorno avevamo già  fatto un buon lavoro e decidemmo di fermarsi a mangiare. Il fiume aveva  dei posti dove era più facile raggiungere la riva per fermarsi. Ludovico fu davvero contento di quella  pausa, non lo diceva ma si vedeva che era stanco. Quello che mi stupiva era che avesse imparato a muoversi con agilità, nonostante i postumi della ferita alla gamba. Voleva confermare che sarebbe riuscito a fare il pescatore, a prescindere. Mentre mangiavamo, gli chiesi di raccontarmi qualche episodio che gli era capitato in guerra.  Passò subito a raccontarmi la storia di un prete e si tolse  dalla  tasca una sua foto che lo raffigurava sorridente. Ludovico aveva acceso nuovamente la pipa, si era sdraiato sull’erba, e per qualche minuto non disse nulla. Avevo la foto in mano e sul retro vi aveva scritto a penna il nome del sacerdote: don Martin Martinez Pascual, e la data di morte a soli trentasei anni. Dopo alcune boccate di pipa, Ludovico si mise a sedere e iniziò il suo racconto. Don Martin era un prete che aveva sempre fatto il suo dovere di pastore, vicino alla povera gente e agli umili. Era nato in Spagna l’11 novembre del 1910. Fece parte della  Fratenità Operaia del Sacro Cuore di Gesù. Fu ordinato sacerdote nel 1935, l’anno prima della sua morte. Gli venne affidato un compito come educatore al Collegio San Josè di Murcia e insegnante di latino presso il Seminario maggiore di Fulgenzio di Murcia. Quando scoppiò la terribile Guerra Civile Spagnola, i soldati miliziani della repubblica avevano dato l’ordine di fucilare tutti i sacerdoti. Questo giovane prete decise di scappare. Non gli fu impossibile trovare un nascondiglio, ma accadde quello che mai avrebbe pensato. I miliziani della Repubblica presero il padre in ostaggio e l’avrebbero fucilato, perché questa era il metodo dei repubblicani. Il giovane prete allora si presentò spontaneamente alla prigione dove era rinchiuso il padre. I soldati del fronte popolare lo presero e lo rinchiusero in carcere. Il 18 agosto 1936 fu prelevato e fucilato assieme ad altri sacerdoti. Furono messi di spalle davanti al plotone d’esecuzione , ma lui si girò e quando gli chiesero quale fosse il suo ultimo desiderio, rispose: “ Non voglio altro che darvi la mia benedizione affinché Dio non vi imputi la follia che state per commettere”. Dopo aver impartito la sua benedizione, aggiunse : “ E ora lasciatemi gridare con tutte le mie forze: viva Cristo Re !”


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