Giunti
al termine dell'esposizione delle ragioni della Monarchia tradizionale, resta
da rispondere alla obiezione, tanto più insidiosa quando essa viene dai
conservatori ipocriti e privi di ideali superiori, sulla attualità di quanto
descritto e quindi sul senso di una battaglia che, richiamandosi alla
Tradizione, ne voglia restaurare valori ed isti tuti. È I' obiezione di chi fa
notare, magari fingendo di rammaricarsene, che "i tempi sono
mutati". A costoro potremmo accontentarci di rispondere orgogliosamente
con i versi di L. Thornas:"Le temps sera pour vous / l'éternité pour
moi".
Per
noi rispondono anche Donoso Cortés, il Principe di Canosa, Giambattista Vico,
insegnandoci che senza divino soccorso, senza religione, non può esservi
civiltà. Vico, soprattutto, ci mostra che l'adesione anche totalitaria
all'errore non lo rende legittimo; la storia è tracciata dall'intelletto
divino, che ci lascia però il libero arbitrio, dalla negazione della
Provvidenza e della libertà umana conseguono i disordini politici e civili,
che sono la pena del disordine spirituale. "Da due o tre secoli a questa
parte la città politica ha assunto nuovamente le caratteristiche della Bestia
rifiutandosi di riconoscere Cristo e la sua Chiesa, è nuovamente persecutrice,
sia apertamente che con sistemi camuffati.". Era prevista nelle Scritture
una "anti civiltà inimmaginabile perversa e apostata", ma è anche
previsto che "portae inferi non praevalebunt" e "l'avvento di Gesù
Cristo nella sua gloria verrà a coronare le lotte supreme e le supreme fedeltà
della sua Chiesa militante" (41 ).
Che i
tempi siano cosí oscuri ed il trionfo della Rivoluzione pressoché completo,
quindi non ci sgomenta affatto, ma è anzi un ul-teiore segno della bontà della
nostra battaglia, oltre che una fonte di merito ancor piú grande per noi che la
combattiamo. Noi, che abbiamo vegliato durante la lunga notte con la speranza
di poterci incontrare con quelli che verranno nel nuovo mattino (42).
La
Rivoluzione avanza, ma, come Lucifero, il primo rivoluzionario (43), può solo
distruggere, non costruire. Così con un processo inesorabile, come i Girondini
furono distrutti dai Giacobini, Kerensky fu spazzato via da Lenin, il mondo
moderno crolla autodistruggendosi. Nel campo del pensiero, ove la filosofia,
ripudiata la metafisica, è ridotta a penoso balbettio sulla possibilità della
sua stessa esistenza; mendicando un ruolo di coordinatrice dei risultati
scientifici, gli stessi figli della Rivoluzione ne mettono in crisi i
presupposti, così i "nuovi filosofi" denunciano il potere
rivoluzionario e riscoprono confusamente la sacralità tradizionale, così i
neo-pagani di "Nouvelle Ecole" in se stessi svelano fino in fondo le
aberrazioni di chi vuole s' rifiutare i miti egualitari ma, prigioniero del suo
rifiuto di Dio, ad essi sostituisce la manomissione della persona umana
attraverso la biopolitica. Nel campo scientifico, ove la "civiltà"
tecnologica è in crisi e sempre più è insistente la domanda se essa abbia
portato più male che bene e se non stia avvicinandoci alla catastrofe
definitiva. Tutta la Rivoluzione congiura a distruggere l'uomo fingendo di
servirlo.
L'aborto,
la droga, le perversioni di ogni genere sono i frutti di morte e di desolazione
di questa falsa libertà. Distruggere o trasformare radicalmente la natura
umana in odio al Creatore, ecco il fine ultimo della Rivoluzione. Se avremo
chiaro questo, avremo chiaro il senso della storia degli ultimi secoli. Il
mondo attuale, nella sua globalità, è molto più comprensibile a chi lo legga
attraverso una visione tradizionalista che ad uno abbagliato dagli ideali
rivoluzionari.
Oggi
la Rivoluzione si crede invincibile, ma i suoi figli ebbri di potere, che si
sentono nati solo per la felicità, sono richiamati alla loro condizione di
creature dall'esistenza della morte, come ha scritto Alexander Solzenicyn: "Se
l'uomo, come dichiara l'umanesimo, non fosse nato che per la felicità, non
sarebbe neppure nato per la morte. Ma corporalmente votato alla morte, il suo
compito su questa terra non ne diventa che più spirituale: non un rimpinzarsi
di quotidianità, non la ricerca dei migliori mezzi di acquisto, poi di gioiosa
spesa dei beni materiali, ma il compimento di un duro e permanente dovere, in
modo che tutto il cammino della nostra vita diventi l'esperienza di una
elevazione soprattutto spirituale. lasciare questa vita come creature più
elevate di quanto non vi siamo entrati. Ineluttabilmente, siamo indotti a
rivedere la scala dei valori che sono diffusi tra gli uomini e a stupirci di
tutto ciò che questa comporta oggi di erroneo...re (44).
"Siamo
al punto di rottura, - dice ancora Solzenicyn, - ad una svolta paragonabile a
quella tra Medioevo e Rinascimento, la libertà di fare il male ha ormai di
troppo superato la libertà di fare il bene."
Affrettare,
favorire, guidare questa svolta, ecco il compito dei contro-rivoluzionari
monarchici, consapevoli che il ritorno dell'universo della Tradizione è anche
il ritorno delle monarchie.
Resta
da sciogliere un falso dilemma di natura strategica: lavorare in tempi lunghi
o sperare nel "colpo" risolutore? Diceva don Sacchetti: "Cattolici,
preghiamo Iddio che la rivoluzione muoia domani, ma poi lavoriamo com'essa
dovesse vivere per sempre". La storia insegna che i "colpi"
risolutori, se non hanno alle spalle una classe dirigente
contro-rivoluzionaria di ricambio, consentono prima o dopo la ripresa del
processo rivoluzionario, o addirittura la facilitano. D'altra parte il crollo
della Rivoluzione difficilmente sarà incruento e sarà certo necessario un
periodo di "imbalsamazione" del corpo sociale per operare su di esso
a fini restauratori. Questo è l'insegnamento dei pensatori
contro-rivoluzionari. Ramiro de Maetzu scriveva: "Sotto la protezione del
fascio, del Somatén, della dittatura o del servizio sociale volontario, deve
prepararsi l'opera spirituale, attraverso la quale i popoli della terra
ritroveranno nella religione, nella famiglia, nello Stato e nella proprietà i
fondamenti stessi della civiltà" (46 ).
Charles
Maurras afferma che occorre "costituire uno stato d'animo monarchico. E
quando questo stato d'animo pubblico sarà formato, si scatenerà un colpo di
forza per stabilire la monarchia" (46).
Ma
ricordiamo sempre queste nobili parole di Francisco Elias de Tejada. "Le
imprese non si misurano col successo. Dio non abbandonerà i suoi. E nel
peggiore dei casi, se ci nega di vedere il trionfo col metro del successo, pur
sempre ci dona quella pace della coscienza del dovere compiuto, che si
sintetizza nel motto per cui caddero i nostri predecessori. 'Senza cedere'
".
La mia
speranza è solo che chi legge queste pagine ne tragga nuovo impulso a
combattere per Dio, la Patria, il Re, nel nome e nel ricordo di chi lottò e
mori sotto i simboli della Tradizione, dalle croci sugli scudi dei guerrieri
in Terrasanta, al Sacro Cuore dei nobili e dei contadini vandeani, nell'esempio
di chi si batté per la controrivoluzione, dai requetes carlisti ai camelots du
Roi.
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