di Cristina Siccardi
L’articolo
Riportiamo in patria i Re d’Italia della scorsa settimana ha destato un vivo
interesse da parte di molte persone, le quali hanno portato alla luce alcune
significative considerazioni che è ora opportuno presentare in maniera
documentata.
Innanzitutto è da evidenziare il
fatto che l’Istituto monarchico, nonostante il comunismo abbia fatto di tutto
non solo per affossarne la memoria, ma per infangarlo, anche attraverso una
campagna anti-Savoia studiata ad hoc, continua a suscitare interesse in chi,
seppur giovane, è sconfortato di fronte al vilipendio e alla dissipazione dei
valori della vita, della famiglia, della patria, del Cristianesimo, quei valori
di cui la monarchia sabauda è stata interprete attraverso diverse figure esemplari,
come furono i suoi 6 beati (Beato Umberto III conte di Savoia; Beato Bonifacio
di Savoia, Monaco certosino e arcivescovo di Canterbury; Beata Margherita di
Savoia, Marchesa del Monferrato, monaca domenicana; Beato Amedeo IX di Savoia,
Duca di Savoia, Terziario francescano; Beata Ludovica di Savoia; Beata Maria
Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie), i suoi Venerabili riconosciuti
tali dalla Chiesa, le sue donne e i suoi uomini morti in concetto di santità e
quei suoi membri estranei agli interessi rivoluzionari e liberali.
Il senso civico e il senso
cristiano si fondono, quindi, in chi desidera il rimpatrio delle salme di
Vittorio Emanuele III e della Regina Elena e pertanto ha visto, nell’appello
accorato di Maria Gabriella di Savoia, oltre ad una legittima richiesta, anche
una corale esigenza italiana, tanto più che l’Italia è l’unico Paese in Europa
che ancora mantiene all’estero le salme dei propri Sovrani Capi dello Stato.
Nel 1981, infatti, il Governo
greco, subito dopo la morte a Madrid della Regina Federica, autorizzò il
rimpatrio della salma e la sepoltura nella Tomba Reale di Tatoi; in Albania
(2011), Montenegro (1989) e Serbia (2013) i Governi hanno fatto rientrare, con
gli onori militari dovuti al loro rango, le salme degli ultimi Re – Zog di
Albania, Nicola del Montenegro e Pietro di Jugoslavia – e delle loro consorti,
organizzando solenni cerimonie presiedute dai rispettivi Presidenti della
Repubblica; nel 1989 il Governo austriaco organizzò, con il cerimoniale in
vigore durante la Monarchia, il funerale dell’ultima Imperatrice Zita; lo
stesso cerimoniale è stato adottato nel 2011 per il funerale dell’Arciduca Otto
d’Asburgo.
Entrambe le cerimonie funebri
sono avvenute alla presenza dei Presidenti della Repubblica austriaca in carica
in quegli anni. La salma dell’ultimo Imperatore, il Beato Carlo I (marito di
Zita e padre di Otto), è ancora a Madeira non per volontà del Governo
austriaco, bensì per l’opposizione al trasferimento delle autorità dell’Isola,
della Chiesa locale e della popolazione. Inoltre in Russia i resti dello Zar
Nicola II e della sua Famiglia sono stati sepolti, nel 1998, con tutti gli
onori a San Pietroburgo e la Chiesa Ortodossa russa li ha canonizzati nel 2000;
mentre nel 1965, il Presidente egiziano Nasser fece subito rientrare al Cairo e
seppellire con gli onori del caso la salma di Re Farouk.
Alcuni, nel leggere l’articolo
precedente, sono rimasti stupiti nell’apprendere le difficili condizioni
economiche in cui versarono Vittorio Emanuele III, la Regina Elena ed Umberto
II, ma questa è realtà storica testimoniata e verificata. Allo stesso tempo è
necessario ricordare la donazione di cui si fece interprete Vittorio Emanuele
III, quando decise di offrire allo Stato italiano la sua straordinaria raccolta
di monete italiane (Corpus Nummorum Italicorum), la più importante collezione
numismatica al mondo: era il 9 maggio 1946 quando scrisse una lettera al
Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, subito dopo l’abdicazione e prima
di imbarcarsi per Alessandria d’Egitto.
Il 16 maggio ricevette questo
telegramma:
«S.M. Vittorio Emanuele
Alessandria d’Egitto
Ho letto al Consiglio dei
Ministri la lettera con la quale V.M. annunciava la cessione della raccolta
numismatica allo Stato italiano.
Il Consiglio dei Ministri il
quale sa apprezzare tutto il valore del dono per la storia del nostro Paese mi
ha incaricato di esprimere a V.M. la gratitudine del Governo.
Adempiendo a tale gradito
incarico la prego di accogliere i sensi del mio profondo ossequio.
Alcide De Gasperi».
Le ultime due casse di monete che
Vittorio Emanuele III aveva trattenuto per completarne la catalogazione
(allegando alla sua lettera di donazione una nota nella quale scriveva di
trattenerle per tale ragione) furono donate, nel febbraio 1983, da Re Umberto
II allo Stato italiano. Il Presidente del Consiglio dell’epoca, il Senatore
Amintore Fanfani, fece stimare, proprio in quegli stessi giorni, la collezione
completa: risultò del valore di 100 miliardi di Lire.
Ad eseguire la consegna delle due
casse, per mandato dello Stesso Umberto II, fu il Marchese Fausto Solaro del
Borgo, scomparso il 9 luglio scorso (due giorni dopo la scomparsa di un altro
grande gentiluomo dell’Italia retta ed onesta: il Marchese Luigi Coda Nunziante
di San Ferdinando), devoto collaboratore e fedele amico di Re Umberto, il quale
fece un’altra storica e, in questo caso anche devozionale, donazione: la Sacra
Sindone.
L’annuncio della donazione alla
Santa Sede nella persona del regnante Pontefice Giovanni Paolo II venne data il
25 marzo 1983, sette giorni dopo che il Re era spirato a Ginevra (18 marzo
1983), dall’avvocato Armando Radice, il quale lesse il seguente comunicato:
«In data 23 marzo, il marchese
Fausto Solaro del Borgo ha consegnato a sua eminenza reverendissima il
cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato di Sua Santità, una lettera
degli esecutori testamentari di Sua Maestà Umberto II, Sua Maestà Simeone di
Bulgaria e Sua Altezza Reale il Langravio Maurizio d’Assia, con la quale lo
pregavano di informare Sua Santità Giovanni Paolo II che il defunto Sovrano
aveva disposto tra le sue ultime volontà che la Santa Sindone conservata nel
Duomo di Torino venisse offerta in piena proprietà al Sommo Pontefice (…)»,
ritenendo, come è scritto nel documento di donazione dello stesso Umberto II,
«doveroso per il futuro garantire definitivamente l’affidamento alla Chiesa di
una delle reliquie più insigni della Passione di Nostro Signore (…) Unitamente
alla Santa Sindone dovrà essere donato quanto pertinente al culto della
Medesima, conservato nella Reale Cappella del Duomo di Torino ed,
eventualmente, risultante di mia proprietà» (cfr. Maria Gabriella di Savoia, La
Sindone nei secoli nella collezione di Umberto II, Gribaudi, Torino 1998, pp.
11-15).
Fra le carte autografe di Umberto
II si rinvenne questa preghiera, che risale alla fine del 1933 e fu tratta da
un’orazione formulata dal Beato Pio IX: «Signore, che nella Santissima Sindone,
entro la quale il Vostro corpo adorabile, deposto dalla croce, venne avvolto…
Fateci la grazia che nel giorno della Resurrezione siamo fatti partecipi di
quella gloria, nella quale Voi regnate eternamente».
Queste memorie appartengono alla
nostra storia, alla nostra identità, al nostro essere italiani.
Cristina
Siccardi
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