di Giuseppe Galasso
LO STORICO CONTRO LA RIVALUTAZIONE
DELLA LORO DOMINAZIONE
Il primo che incontriate per strada
o altrove può farvi dotte lezioni sui cento e cento primati del Regno delle Due
Sicilie, sulla rapina delle ricchezze meridionali dopo il 1860
Che il largo moto di rivalutazione
e di fantasiosa nostalgia del Mezzogiorno borbonico portasse a riflessi
politici era nella logica di questi fenomeni, ripetuta e verificata in tanti
casi in Italia e fuori d’Italia. Per il Mezzogiorno, ciò appariva, anzi, più
facile data la rapidissima diffusione di quella rivalutazione e nostalgia, per
cui alcuni vi hanno trovato il fortunato appiglio per libri e scritture di
scarsissimo o nessun peso storico e culturale, e tuttavia portati dall’onda
della moda in materia a tirature e vendite da capogiro. Le clamorose fortune di
questa pseudo-letteratura storica, se hanno potenziato il moto di opinione da
cui essa è nata, hanno fatto torto, peraltro, alle, invero poche, opere che
sulle stesse note di rivalutazione e nostalgia hanno dato (da Zitara a Di
Fiore) contributi discutibili o poco accettabili, ma sono state scritte con ben
altro scrupolo e serietà. Questa è, però, una legge comune dell’economia, che
non risparmia nessun altro campo. Ovunque la moneta cattiva espelle la moneta
buona.
Il risultato è che oggi il primo
che incontriate per istrada o altrove può farvi dotte lezioni sui cento e cento
primati del Regno delle Due Sicilie, sulla rapina delle ricchezze meridionali
dopo il 1860. E ancora sul felice stato e sulla lieta vita del Mezzogiorno
prima del 1860, sulla deliberata politica di dipendenza coloniale e
sfruttamento in cui l’Italia unita tuttora mantiene il Mezzogiorno, e su altre
simili presunte «verità», lontane dalla «storia ufficiale». Tutto ciò farebbe
pensare a quella quindicina e più di generazioni di meridionali susseguitesi
dal 1860 in poi come segregate dalla vita civile e istituzionale dello Stato e
della società italiana. Si sa, però, che non è così. Si sa che l’integrazione
dei meridionali nell’Italia unita, come per gli altri italiani, è stata
profonda, rompendo un isolamento storico che, nel caso di varie parti del
Mezzogiorno, durava da secoli. Mezza diplomazia italiana è stata fatta di
meridionali. I due migliori capi di Stato Maggiore dell’Esercito – Pollio e Diaz
– erano napoletani. Già da dopo la prima guerra mondiale la burocrazia italiana
ha cominciato a essere fatta per lo più di meridionali. Quattro presidenti
della Repubblica su 12 (De Nicola, Leone, Napolitano, Mattarella), vari capi di
governo (da Crispi a D’Alema), innumerevoli ministri, vari e potenti capi di
partito sono stati meridionali. Sulle cattedre universitarie e
nell’insegnamento la parte dei meridionali si è fatta sempre più ampia.
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