L'ultimo pretendente al
trono russo: "Maria Gabriella di Savoia ha ragione Le spoglie di Vittorio
Emanuele III devono riposare nella Penisola. Sono parte della storia del
Paese"
di Fausto Biloslavo - Lun, 27/07/2015
Sua Altezza Imperiale, il
Granduca George Mikhailovich Romanoff, erede al trono di tutte le Russie, è
nato in esilio a Madrid. A 34 anni vive a Bruxelles e va spesso in visita
ufficiale nell'ex impero, ma ama l'Italia. Nel nostro Paese, che conosce bene,
ha incontrato Rebecca, la sua fidanzata, difesa da un inattaccabile scudo di
riservatezza.
Come ci si sente ad essere
l'erede al trono dello Zar?
«Discendere da una famiglia
dal passato così ricco di storia e gloria come i Romanoff è un onore. Mi rendo
conto di come il nome che porto rievochi nelle mente delle persone di qualsiasi
nazionalità e cultura qualcosa di forte. Per qualche motivo nell'immaginario
collettivo la Russia ed i Romanoff sono avvolti da un'aurea di charme e
mistero».
C'è spazio nella Russia di
oggi per un ruolo, anche simbolico, dello zarismo?
«Nelle società moderne la
politica è vista come un fatto “tecnico”, mentre nei confronti di un re si
prova un sentimento diverso, come se egli incarnasse in tutto e per tutto lo
Stato. Per questo arrivo a dire che in qualunque Paese si può ipotizzare un
ritorno della forma monarchica, ovviamente con dei connotati molto diversi da
quelli dell'assolutismo. E quando vado in Russia rimango sempre molto toccato
dalle manifestazioni di affetto e nostalgia della gente comune nei confronti
della Casa imperiale. Oggi, naturalmente, la monarchia deve inserirsi nel
moderno contesto socio-economico-culturale in cui il re, attraverso un processo
di identificazione, garantisce l'unità del popolo, del Paese e lo rappresenta
nel contesto internazionale. In Russia, come in tutte le nazioni ex monarchiche
c'è chi sostiene che la presenza di una rinnovata monarchia possa offrire dei
vantaggi al Paese. Come ovvio sono decisioni che deve prendere il popolo e noi
non abbiamo mai preteso nulla, ma se i cittadini ritenessero opportuno un
ritorno della monarchia non mi tirerei indietro».
Il Giornale ha pubblicato la
lettera della principessa Maria Gabriella di Savoia per riportare in Italia le
spoglie del re «soldato», Vittorio Emanuele III, sepolto in Egitto. Cosa ne
pensa?
«Sono assolutamente
d'accordo. Un re è parte della storia di un Paese e della sua memoria
collettiva, che rappresenta il tassello più importante di una società e del suo
sviluppo. Non bisogna mai cancellare la storia perché riflette ciò che siamo».
Lei viene spesso
privatamente in Italia. Cosa le piace del nostro Paese?
«Tutto! Fin dalle prime
volte sono rimasto affascinato dalle bellezze della Penisola. E mi è persino
difficile dire con certezza quale sia la parte che preferisco. L'Italia è bella
tutta: dal nord al sud. Ed è bella la gente, la cultura, il modo di vivere, la
cucina. Vado spesso a Roma dove non perdo occasione per visitare il Pantheon
(con le tombe dei re d'Italia, ndr) , un monumento incredibile. Anzi, mi
consenta di salutare proprio le Guardie d'onore del Pantheon, che mi hanno
ricevuto con un affetto ed un calore indimenticabili».
Quali località italiane
frequenta?
«Quando sono a Roma adoro
andare in giro perdendomi nei vicoletti e scoprire qualche nuovo ristorantino
sfizioso o una fontana mai vista. Roma è una città che riesce a stupirti
sempre, anche quando pensi di conoscerla benissimo. Ormai me la cavo bene pure
con l'italiano, una lingua così melodica che a parlarla sembra di cantare.
Adoro la capitale ma vado ovunque: da Genova a Milano, da Napoli alla
Sicilia... Non frequento un posto in particolare, ma luoghi dove ho amici o
sono spinto da qualche motivazione professionale oppure, semplicemente, vengo
invitato per uno specifico evento. Ogni scusa è buona».
Lei descrive solo un'Italia
idilliaca...
«Purtroppo rispetto a
qualche anno fa vedo che gli effetti della crisi sono sempre più tangibili in
tutte le città italiane e ciò mi rattrista. L'aumento spropositato delle tasse
a cui consegue la vendita del patrimonio storico, culturale ed economico di un
Paese porta inesorabilmente a svendere anche la propria identità».
L'Italia sembra più attenta
di altri Paesi verso la Russia. Possiamo avere un ruolo di ponte con Mosca?
«Storicamente la vicinanza
tra i nostri Paesi è forte. Basta pensare che il cuore del Cremlino a Mosca,
così come i palazzi imperiali di San Pietroburgo sono stati costruiti dagli
italiani. La vostra è una nazione con un enorme vantaggio rispetto ad altre:
per quanto le sue proporzioni siano piccole, se le si paragona alle dimensioni
dei nuovi attori globali, i famosi Brics, è un concentrato di manifattura e
manodopera incredibile. Il vostro tessuto produttivo non finisce mai di stupire
per l'inventiva, la capacità di immaginare, di creare prodotti che ovunque nel
mondo vengono riconosciuti ed apprezzati. Il Made in Italy è qualcosa che
nessuno riesce a copiare ed è ciò che tutti, soprattutto i russi, desiderano.
Anche dal punto di vista religioso le nostre due confessioni attraversano un
periodo di intenso dialogo. Ho avuto l'onore di essere ricevuto in udienza dal
precedente Pontefice e noto con piacere che anche Papa Francesco è molto aperto
verso la nostra confessione ortodossa».
Ma di mezzo ci sono le sanzioni
alla Russia per la crisi in Ucraina...
«L'attuale situazione
politica ha reso le relazioni molto difficili e purtroppo i singoli Stati Ue
non possono decidere autonomamente della propria politica estera, ma devono
attenersi alla volontà dell'Europa. Un'impasse che speriamo si riesca a
superare presto, perché pregiudica gravemente le vostre imprese. Non
dimentichiamo che la Ue importa il 35% del suo fabbisogno energetico dalla
Russia e l'Europa ha visto in un solo anno il livello delle sue esportazioni
verso Mosca crollare da 120 miliardi di euro a poco più di 100. L'Europa
dovrebbe valutare attentamente quali passi seguire, perché la Russia confina
direttamente con le vostre frontiere ma anche con quelle di importanti Paesi
asiatici. E forse sarebbe più saggio mantenere delle relazioni diplomaticamente
distese con il mio Paese per evitare che si volti a cercare partnership più
strette con nazioni come la Cina, che non sono i suoi naturali alleati».
Le sembra possibile una
soluzione tipo Alto Adige per la crisi del Donbass, la regione orientale
dell'Ucraina, filorussa, che non vuole saperne di Kiev?
«La pace deve tenere conto
delle realtà geopolitiche e del rispetto delle minoranze linguistiche. Per
questo sono favorevole al coinvolgimento degli osservatori internazionali nella
questione, che potrebbe in effetti risolversi con un modello simile a quello
altoatesino».
Cosa pensa del presidente
Putin, che molti chiamano il nuovo Zar?
«Un uomo preparato, saggio
ed esperto, che sa come gestire uno Stato così grande e difficile come il
nostro. Certamente non è uno Zar, visto che è stato eletto in modo democratico
e il suo autoritarismo non è dissimile da quello di altri leader
internazionali. Non era un compito facile, ma ha saputo traghettare il Paese dalla
fase post comunista all'attuale contesto globale. La Casa imperiale supporta il
presidente in tutto ciò che contribuisce al recupero delle tradizioni, alla
conservazione del patrimonio storico, a rafforzare il benessere del Paese.
Ovviamente su certi temi specifici non sempre sposiamo appieno le idee del
presidente, ma, come le dicevo, io non faccio politica».
Da una parte gli americani
pianificano l'invio di truppe e carri armati nei Paesi baltici. Dall'altra il
Cremlino annuncia nuovi missili nucleari. Rischiamo qualcosa di peggio della
guerra fredda?
«Le guerre “vecchio stile”
sono superate. Oggi si fanno a colpi di economia, ma non creda che siano
conflitti meno cruenti. Quanto all'annuncio dei nuovi missili nucleari è
corretto dire che si tratta, appunto, solo di un annuncio. E comunque si
troverebbero sul territorio nazionale russo, mentre gli Usa vogliono mandare
carri armati e truppe sul territorio di uno Stato sovrano di un altro
continente. Sarebbe come se la Russia inviasse soldati in America centrale».
In Crimea e nel Donbass
abbiamo visto il ritorno dei cosacchi e delle bandiere con il volto dell'ultimo
Zar. Come spiega questo revival?
«Senza dubbio tra i
cosacchi, in Crimea e tra le milizie nel sud-est dell'Ucraina ci sono dei
convinti monarchici, ma a volte i simboli imperiali vengono utilizzati dalle
organizzazioni più disparate, persino da comunisti e nazionalisti radicali. Ciò
avviene perché le bandiere imperiali simboleggiano la forza e la grandezza di
un tempo. Da sempre nei momenti di crisi si attinge al simbolismo del passato
più glorioso. Lo faceva anche Mussolini inneggiando ai fasti di Giulio Cesare».
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