NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 28 settembre 2012

Il partito Nazionale Monarchico - III Parte


L'IMPOSTAZIONE DELLA BATTAGLIA

Per merito del Partito Nazionale Monarchico l'impostazione della battaglia per la Monarchia affermò il diritto e il dovere di collocarsi sul terreno morale, giuridico, costituzionale: perché la ragione morale, giuridica, costituzionale assistono ugualmente l'interpretazione storica e la speranza nazionale.
Proprio perché si avverti e ispirò la ragione morale il Partito Nazionale Monarchico non soltanto fece appello all'opera di quanti convennero nella rivendicazione e nella azione, ma a quanti riconoscevano la realtà e la lealtà di premesse che sembravano - perché erano, perché sono indubitabili, anche se essi non convenivano nelle conseguenze che dalle premesse il Partito Nazionale Monarchico credette sin dalle prime ore - come crede tuttora - di poter trarre.

Scrivevo, su Italia Monarchica del 20 ottobre 1949: « Il dato obiettivo deve essere riconosciuto nella sua esattezza anche quando l'interpretazione possa e debba divergere per l'inserirsi nella disputa di elementi vari di natura storica e politica ».

In cospetto al referendum del 2 giugno per la determinazione, per la preparazione, per la esecuzione di esso (come anche per la sua interpretazione) il materiale morale al giudizio è imponente. Né si irrida alla ragione morale nella interpretazione del fatto storico e politico non solo per una ragione costante: che vale per tutti quelli che credono nella coscienza e non proclamano nell'alto della bocca l'imperativo morale; ma soprattutto per quelli che nell'ultimo conflitto si affidarono - o più esattamente dissero di affidare le loro speranze - alla forza delle grandi idee universali che, come la libertà, per le ragioni dello spirito contrastano la libertà della forza: come tale, bruta.
Né potranno irridere alla ragione morale coloro i quali credettero di addebitare alla espressione personale e concreta della Monarchia---il Monarca proprio la colpa morale di asserita mancata fedeltà agli impegni della Tradizione. Chiaro è, infatti, che se fosse stata vera la impostazione contro la Monarchia derivata dagli errori di un Sovrano - a parte la manifesta ed inammissibile e assurda sproporzione tra la causa e l'effetto - sarebbe ancor più da esigersi la valutazione morale ispiratrice di una determinazione che soltanto dalla ragione morale traeva la sua pretesa giustificazione. Né soprattutto avrebbe potuto e dovuto sottrarsi all'imperativo morale, nella considerazione del fatto storico, quel complesso politico che deriva o che- afferma derivare la sua impostazione politica e sociale da una premessa religiosa evidente essendo che non può non tendete - sempre - ad osservanza morale chi viva religiosamente.

Se cosi è (e cosi deve essere), nessuno il quale creda al dovere morale nella interpretazione politica, potrà non avvertire la iniquità di decisioni imposte in eccezionalità di condizioni contingenti a decidere per lungo destino - attraverso l'inabissamento di tutta una Storia; nella tregenda del turpiloquio e della leggenda - assenti innumerevoli interessati - interessati e autorizzati all'esame e alla decisione; confuse le opposte ragioni e i diversi pretesti: incompatibili addendi per mostruoso totale.

Né il Partito Nazionale Monarchico ignorò la osservazione che l'a ragione morale, che accusò quanto era accaduto, era ad un tempo morale politica giuri
dica, ma subito osservò che mentre taluni rilievi contro il fondamento della pretesa decisione istituzionale erano, esclusivamente, alla radice, morali, altri furono ad un tempo - e rimangono - alla radice, morali e politici e le stesse ragioni giuridiche e costituzionali, squisitamente tali, avevano, ed hanno, il conforto di verità morali e di realtà politiche.

Assunse il Partito Nazionale Monarchico essere malagevole scrivere tutto sul punto delle sofferte imposizioni che condussero al referendum. V'hanno poteri che non possono mendicare giustificazioni dalla impotenza e v'ha radice di sovranità che non può affidarsi alle fronde.

Ma la Monarchia italiana - pensò il Partito Nazionale Monarchico - proprio per la sua storia, proprio per il suo atto di nascita - ha potuto consentire ad un esame, al quale si era sottoposta quando i plebisciti lo consacravano.

Nessuno che conosca la storia e, per averne inteso gli insegnamenti del passato, non abbandoni l'esercizio del diritto ad influirla senza piegare alle realtà che si assumono fatali, poteva non sentire il disagio di fronte a giudizi storici affrettati e caotici, dove il caos era anche contraddizione.

La rivoluzione è dato di fatto (i diritti di rivoluzione essendo generalmente rivoluzione contro il diritto); comunque rivoluzione è rivoluzione: ma non tale sicuramente era stato quello che si era verificato in Italia, anche se la « papalina » non aveva sdegnato la confusione col « berretto frigìo » ! Sul terreno istituzionale nella prima ora convulsa si era proclamata la tregua istituzionale: e i Ministri, se non avevano giurato fedeltà al Re, dal Re avevano ricevuta la investitura! Esperimento sicuramente abnorme sotto il profilo costituzionale, ma non certo rivoluzionario e con forme perché rivoluzionarie indeterminate i

Pubblicava il settimanale del Partito Nazionale Monarchico (1): « L, quindi, evidente il disagio anche di intellettuale di fronte alla pretesa storica di definire responsabilità anche di natura personale, nei confronti di elementi estremamente complessi e di eventi verificatisi non nel chiuso dei confini di una Nazione ma nei confini del Mondo! Ecco, invece, che in Italia si è preteso di sentenziare in rito direttissimo in materia che esigeva istruttoria formale... »

Peggio, non si è deciso in libertà: se libertà non sia soltanto disponibilità fisica per la conclusione del voto, ma incontrastata possibilità di libera discussione. Se si è potuto votare in cabina, non una voce poté rivendicare la tesi monarchica su molte piazze e nei . grandi centri degli stabilimenti operai. Né si dica che fu la viltà dovunque ad eleggere il silenzio: fu la protervia ad imporlo.

In asserita tregua istituzionale fu sarabanda di offese: nei confronti del Capo dello Stato non osservato un minimo - nemmeno un minimo - nonché di rispetto (che la legge voleva nei non abrogati articoli del non abrogato Codice Penale, oggi rivissuti e fiorenti non più per la persona del Re «sacra ed inviolabile » ma per il Successore repubblicano pur passibile delle ipotesi dell'articolo 90), ma di pudicizia che la morale dei puritani - pronubi al « libero amore » nelle coabitazioni, anzi nelle convivenze intimissime  - avrebbe dovuto esigere: parlarono in allora i muri d'Italia lungo tutte le strade della Penisola senza calce! Ne arrossirono i cittadini che avessero dignità civile e senso morale.

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