NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 1 settembre 2012

La Monarchia Sabauda ed i problemi sociali - Parte X


X - LA GUERRA, IL DOPOGUERRA E IL FASCISMO

La guerra, pur arrestando il pacifico sviluppo del Paese, non interruppe l'attività legislativa a favore dei lavoratori.

Gli infortuni agricoli furono regolati, in modo completo e soddisfacente per tutti i lavoratori dei campi, dalla legge n. 1450 del 23 aprile 1917, tuttora vigente.

L'assicurazione obbligatoria di invalidità e vecchiaia fu estesa a tutti gli operai degli stabilimenti ausiliari con il decreto luogotenenziale 11.11-1917, n. 1907.

Nell'immediato dopoguerra furono realizzati altri fondamentali progressi.

Il R.D.L. 21-4-19~19, n. 603. estese l'assicurazione obbligatoria di invalidità e vecchiaia a tutti i lavoratori subordinati; seguiranno altri numerosi provvedimenti legislativi in materia, che modificheranno la legge originaria, ma ai quali la tirannia dello spazio non consente di accennare.

Ricordiamo infine il D.L.L. 19-10-1919, n. 2214, con il quale si istituì l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, poi modificato da successive disposizioni di legge.

Dal punto di vista politico, gli anni del -dopoguerra furono anche più determinanti per l'avvenire d'Italia della stessa guerra, della quale tuttavia devono ritenersi una dolorosa conseguenza. La nostra Patria fu attraversata da ondate di violenza, dovute sia agli uomini e alle organizzazioni di sinistra, eccitati dai successi socialisti nelle elezioni del 1919 e 1921: rispettivamente 138 e 122 deputati, e dal trionfo bolscevico in Russia, sia dagli uomini e dalle organizzazioni fasciste, sostenute dalla passione degli ex combattenti e dall'approvazione dei ceti conservatori, dalla simpatia dei nazionalisti e dalle speranze anti-monarchiche dei repubblicani storici.

L'uomo più adatto a risolvere l'intricata e pericolosissima situazione parve al Re il vecchio ma sempre validissimo on. Giovanni Giolitti.

Caduto il ministero Bonomi il 17 febbraio 1922, per il voto contrario della Camera dei deputati, fallito un tentativo di Giolitti di ottenere l'appoggio dei popolari, per il veto posto dall'on. Sturzo, si costituì il 25 febbraio l'effimero ministero Facta, privo di forza e di volontà, frutto del compromesso.

Fallito ancora, dopo la crisi del ministero Facta, un secondo tentativo di Giolitti, sempre per l'intransigenza del «leader» popolare, reso impossibile dagli stessi popolari un ministero Orlando di pacificazione nazionale, il Re giudicò favorevolmente il tentativo dell'on. Bonomi per un governo che si valesse della partecipazione o almeno dell'appoggio socialista. «E quando l'ex Presidente del Consiglio riferì al Re il suo insuccesso, questi ne fu sinceramente rammaricato, poiché contava molto sul nuovo e sperato atteggiamento dei socialisti e lo esortò a ritentare la prova... Ma l'estremo tentativo bonomiano fallisce e vengono frustrate le speranze del Re che da oltre 20 anni agogna chiamare le masse operaie alla responsabilità del potere » (33).

I socialisti non ebbero né il coraggio, né l'intelligenza di un atto che, non solo avrebbe consolidato lo Stato monarchico democratico, ma quasi certamente impedito l'ascesa al potere del fascismo, con tutte le funeste conseguenze che da questa derivarono, ultima in ordine di tempo, ma non di importanza, la caduta della Monarchia, evento fatale al progresso politico e sociale d'Italia nel secondo dopoguerra e negli anni che seguiranno, fino a quando non verrà ristabilita, per volontà di popolo, l'istituzione monarchica.

Il potere andò invece ai fascisti, non per colpa del Sovrano, ma per la cecità dei socialisti, per la paura di rinnovamento dei ceti conservatori, rappresentati dalle forze liberali, dimentiche della luminosa tradizione risorgimentale di libertà e di progresso, dell'insegnamento di Camillo Cavour, per l'appoggio di quegli stessi popolari che s'erano opposti a Giolitti, per sincero entusiasmo di popolo che non poteva prevedere la ruina alla quale il fascismo, attraverso la dittatura, ci avrebbe condotti.

Il fascismo dovette pagare, soprattutto nei primi anni, non piccolo prezzo alle forze economiche che ne avevano sostenuto lo, sviluppo e l'ascesa.

«Certo non doveva essere facile persuadere i lavoratori che il fascismo lottasse per la giustizia sociale ed intendesse anche eventualmente mettersi contro il ceto capitalistico, dal momento che la politica a cui essi avevano assistito si era tutta svolta in favore proprio di quel ceto. Ecco, infatti, come riassumeva questa politica Massimo Rocca il quale diceva che suo errore era di "far coincidere l'economia produttiva con la borghesia industriale e agraria, e questa ultima con l'alta borghesia bancaria e speculatrice, in modo che la Patria diventi un suo monopolio economico" » (34).

Le dimensioni della nostra trattazione non consentono la citazione di una serie di provvedimenti del governo fascista, secondo più autori, dimostrativi della simpatia reciproca, nonostante l'origine socialista di Mussolini, fra il giovane partito e gli ambienti dell'alta finanza e della grande industria. Senza pretendere di contestare tale giudizio, osserveremo che ogni medaglia ha il suo rovescio e la privatizzazione dei telefoni, ad es., portata da molti polemisti come una delle prove del connubio del fascismo con i capitalisti, fu anche, come gli studi dimostrano, la premessa di un più ordinato, vasto ed economico sviluppo di questo mezzo di comunicazione: operazione quindi vantaggiosa per i capitalisti, ma non meno per la collettività (35).

Il quadro sociale, neii primi tempi del fascismo, fu tutt'altro che roseo: i salari non seguivano l'aumento del costo della vita; diminuivano le imposte dirette, ma aumentavano quelle indirette. Scoppiarono allora le ultime agitazioni operaie promosse dai sindacati non fascisti e ciò convinse il fascismo della necessità di eliminare ogni concorrenza anche in tale campo, per giungere al sindacato, unico.

La legge 3 aprile 1926, n. 563, stabilì che il riconoscimento della personalità giuridica pubblica sarebbe stato accordato a quel sindacato che raccogliesse almeno il decimo dei lavoratori della categoria per la quale l'associazione era costituita; era però richiesta “la buona condotta politica e morale dal punto di vista nazionale”, il che significò l'esclusione dall'organizzazione sindacale giuridicamente riconosciuta di tutte le associazioni non fasciste, e quindi la fine della libertà sindacale.

Qualche mese più tardi, il regolamento sindacale del 10 luglio diede inizio all'ordinamento corporativo: le corporazioni riunivano « le organizzazioni sindacali nazionali dei vari fattori della produzione, datori di lavoro, lavoratori intellettuali e manuali, per un determinato ramo della produzione o per una o più determinate categorie di imprese » (art. 42 del decreto).

L'ordinamento corporativo fu ancora solennemente riaffermato nella « Carta del lavoro », approvata dal Gran Consiglio del fascismo il 21 aprile 1927, in occasione della celebrazione del Natale di Roma, e divenne una delle basi fondamentali del nuovo Stato.

Se l’ordinamento corporativo significò il tramonto della libertà sindacale e praticamente la soggezione dei lavoratori ai più potenti rappresentanti dei ceti padronali, l'applicazione della «Carta del lavoro» non poteva non recare alcuni vantaggi ai lavoratori, «perché i nuovi contratti collettivi dovevano garantire la giornata di otto ore, le vacanze pagate, una relativa stabilità di occupazione, una mercede contrattualmente fissata, l'adozione delle Casse mutue di malattia ed il preavviso obbligatorio di licenziamento accompagnato dal pagamento di una indennità proporzionata alla anzianità nell'azienda» (36).

Un giudizio politico e morale sul fascismo non può che essere altamente negativo, perché si reggeva sulla negazione della libertà e sulla violenza, interruppe lo  sviluppo democratico del nostro popolo, con effetti che ancora oggi ben sentiamo. Troppo si fondava sul sentimento, a spese della ragione, e nella sua rovina finì sventuratamente con il trascinare la Monarchia stessa che, durante il ventennio, aveva avuto una funzione oscura ma essenziale di freno, sì da impedire al fascismo gli orrori di altre dittature consorelle.

Un giudizio sulla politica economica del fascismo non può essere altrettanto negativo, perché ad essa si deve riconoscere il merito di aver contribuito in qualche modo allo sviluppo dell'industria e dell'agricoltura italiana, mentre non si possono rimproverare gli investimenti africani che avrebbero dovuto consentire lo stabilirsi in quelle terre di tante famiglie costrette alla povertà nella poca e non sempre ricca terra di casa nostra. Condannabile invece l'autarchia economica, quando non dettata dalla necessità, perché il governo fascista finì con l'impoverire il nostro Paese, costringendolo a produrre anche ciò che poteva fabbricare solo ad alto prezzo e con risultati spesso scadenti.

Il governo fascista, pur con tutti i suoi errori, seminò però su un terreno fertile: era quello già fecondato durante i precedenti governi democratici della Monarchia. Uniamo questo concetto allo altro, anch'esso vero, di un sincero interesse del fascismo, o almeno di una parte attiva del movimento, ai problemi dei lavoratori, la cui simpatia doveva conciliarsi, e non ci meraviglieremo se, nonostante la mancanza di libertà e di controlli, la nostra legislazione sociale ebbe importanti sviluppi, indubbiamente più notevoli di quelli realizzati finora dalla repubblica del 1946.

Già s'è accennato ai fondamenti giuridici del nuovo ordinamento sindacale fascista, ai suoi aspetti negativi ed ai riflessi positivi. Ecco ora un quadro dei principali provvedimenti nel campo delle assicurazioni sociali.

L'assicurazione obbligatoria delle malattie professionali venne introdotta con il R. D. 15 maggio 1929, n. 988, entrato in vigore il 10 gennaio 1934, dopo la pubblicazione del relativo regolamento approvato con R. D. 5 ottobre 1933 n. 1565. Le, leggi relative alla assicurazione contro gli infortuni del lavoro industriale e contro le malattie professionali furono unificate nella legge 17 agosto 1935, n. 1765, ancora vigente, mentre, come già accennato, l'assicurazione contro gli infortuni agricoli è ancora disciplinata dalla legge del 1917.

La «Carta del lavoro» diede nuovo impulso alla costituzione di organismi mutualistici di malattia, promuovendo la cosiddetta mutualità professionale o sindacale. Ricordiamo nel settore industriale: il contratto collettivo nazionale 6 marzo 1930, avente lo scopo di fornire un contributo tecnico nella formazione di organismi mutualistici industriali; il R. D. L. 6 settembre 1934, n. 1619, convertito nella legge 14 gennaio 1935, n. 123, costitutivo della «Federazione delle mutue di malattia dell'industria»; il contratto collettivo nazionale 11> luglio 1936, istitutivo della Mutua provinciale per gli impiegati; il contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939, istitutivo della Mutua provinciale per gli operai; i quattro contratti collettivi nazionali stipulati nel 1939 e nel 1941, per l'estensione dell'assicurazione ai capi operai, assistenti ed aiuto assistenti, ai componenti il nucleo familiare degli operai e degli impiegati. Nel settore agricolo: convenzione 10-7-1929, tra le due confederazioni dell'agricoltura: dei datori di lavoro e dei prestatori d'opera, per la costituzione di Mutue provinciali di malattia facenti capo ad una Federazione nazionale con scopi di coordinamento, studi e propaganda; riconoscimento giuridico di questa Federazione, con R. D. 23 ottobre 1930, n. 1567; una serie di contratti collettivi nazionali, stipulati tra il 16 ottobre 1935 e il 28 novembre 1939, per l'effettiva costituzione di Mutue in tutte le provincie, per l'assistenza ai braccianti, salariati, compartecipanti, maestranze specializzate, coloni e mezzadri; R. D. 14 luglio 1937, n. 1485, e 4 dicembre 1939, n. 221, per la trasformazione delle Mutue provinciali da enti autonomi in uffici periferici della Federazione. Nel settore del commercio: R. D. 24 ottobre 1929, n. 2608. che riconosceva giuridicamente la Cassa nazionale malattie per gli addetti al commercio, alla quale vennero successivamente affidate diverse categorie di lavoratori. Nel settore del credito, assicurazione e servizi tributari: R. D. 1 novembre 1938, n. 2001, che accordava il riconoscimento giuridico, all'INFALACAST.

Alla mutualità sindacale fece seguito l'assicurazione generale di malattia, introdotta con la legge 1l gennaio 1943, n. 138, creatrice dell'INAM, Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie, in cui avrebbero dovuto essere assorbiti tutti gli organismi mutualistici dei vari settori economici. Attualmente tale, fusione è avvenuta solo in parte: gli assistiti dall'INAM, a circa 10 anni dalla fine della guerra, ammontavano a 16, milioni. Si attende sempre la attuazione di una completa riforma della Previdenza sociale.

Trascuriamo, per brevità, di accennare ai numerosi provvedimenti modificativi della legge sull'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia e su quella contro la disoccupazione involontaria. Ricordiamo soltanto che l'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi fu introdotta con R. D. L. 27 ottobre 1927, n. 2055.

Oltre ai provvedimenti assicurativi, vi furono disposizioni legislative concernenti particolari limitazioni al lavoro delle donne e dei fanciulli: legge 16 aprile 1934, n. 653, e R. D. 22 marzo 1934, n, 654, oggi modificato e integrato dalla legge 26 agosto 1950, n. 860. La giornata lavorativa di otto ore fu introdotta dal R. D. L. 15 marzo 1923, n. 682, riguardante gli impiegati in generale e gli operai dell'agricoltura e del commercio (inizialmente anche gli operai della industria), seguito dal R. D. L. 29 maggio 1937, n. 1768, per gli operai dell'industria.

Il nuovo Codice civile, promulgato nel 1942, dedicò il libro V, «Del lavoro», in particolare il titolo I, «Della disciplina delle attività professionali», e il titolo II, «Del lavoro nell'impresa», alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, di mezzadria, di colonia parziaria e di soccida.

La sconfitta militare travolse il fascismo che, soprattutto per una previsione errata del suo «duce», volle il nostro intervento, a fianco della Germania, molto prima che fosse completata la nostra preparazione militare (37); la sconfitta non poteva evidentemente annullare i progressi sociali conseguiti tra la prima e la seconda guerra mondiale, progressi che appartengono in buona parte ai non molti fatti positivi ereditati dal fascismo, ma che, è bene riaffermarlo, si inquadrano nella gloriosa tradizione sociale della Monarchia sabauda.


(33) MARIO VIANA: «La Monarchia e il fascismo - L'angoscioso dramma di Vittorio Emanuele III », Marviana, Roma, 1954, pagina 211.

(34) FRANCO CATALANO: «Le corporazioni fasciste e la classe lavoratrice dal 1925 al 1929», in «Nuova Rivista Storica», Roma, gennaio-aprile 1959, pag. 35.

(35) VINCENZO PICH: «I telefoni in Italia fino alle convenzioni del 1925 », in « Selezionando - notiziario STIPEL », anno X, n. 2, 3, 4, febbraio – marzo - aprile 1959.

(36) FRANCO CATALANO, opera citata, pag. 54.



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