Convegno a Vicoforte con il Principe Ajmone
di Aldo A. Mola
Un innovativo convegno di
studi...
Sabato 7 ottobre 2023 il principe Aimone di
Savoia presenzia in Vicoforte (Cuneo) a un convegno di studi sul “L'estate di
Vittorio Emanuele III: 25 luglio-19 ottobre 1943”.
In poche settimane l'Italia voltò pagina. La
svolta fu decisa personalmente dal Re. Da tempo privo di sostegno di politici
ante-fascisti e, meno ancora, di gerarchi come Galeazzo Ciano, invano sondati
dal ministro della Real Casa Pietro d'Acquarone per imprimere una piega diversa
al corso della storia, confidando in militari fedelissimi, a cominciare dai
Carabinieri, il 25 luglio Vittorio Emanuele III esercitò i poteri della Corona,
mai intaccati. Sostituì al governo Benito Mussolini con il Maresciallo Pietro
Badoglio, che, su sua direttiva, smantellò il regime fascista e puntò a portare
l'Italia al di fuori della guerra. Con la “resa senza condizioni” (3
settembre), dettata dagli anglo-americani a nome delle Nazioni Unite, l'Italia
perse la piena sovranità. Però con il trasferimento da Roma a Brindisi (9
settembre) il Re salvò la continuità dello Stato. In gran parte occupata dai
tedeschi e per l'altra sottoposta agli anglo-americani, l'Italia rimase divisa
tra Repubblica sociale italiana, proclamata da Benito Mussolini, policentrica e
vassalla della Germania, e il Regno, unico potere riconosciuto legittimo dalle
Nazioni Unite, ormai avviate alla vittoria.
Cobelligerante
dal 13 ottobre, il governo di Vittorio Emanuele III riorganizzò le Forze
armate, impegnate nella lotta di liberazione, e l'amministrazione pubblica, ma
non ebbe la collaborazione dei partiti, in massima parte avversi al re e alla
monarchia. Sottoposta a pesanti bombardamenti, invasa e bersaglio di rivalse
estere antiche e nuove, l'Italia faticò a imboccare la via della riscossa ma
risalì la china e, a parte la tragica amputazione sul versante orientale,
mantenne quasi tutti i confini conseguiti con le guerre per l'indipendenza.
Grazie all'iniziativa di Vittorio Emanuele III la sua sorte fu ben diversa da
quella riservata dai vincitori alla Germania e ai suoi satelliti nell'Europa
orientale, per decenni sottoposti all'Unione
sovietica, con il consenso dei partiti comunisti, a cominciare da quello
italiano.
Dal luglio 1943 al maggio 1945 il Paese visse i tempi più tragici dall'unità.
Nel
convegno del 7 ottobre (in programma dalle 10 alle 19 a Casa Regina Montis
Regalis di Vicoforte, accesso libero) ne parlano, documenti alla mano, storici
di diverso orientamento, uniti nella ricerca della verità dei fatti attraverso
le carte d'archivio: Giuseppe Catenacci, presidente onorario dell'Associazione
ex Allievi della Nunziatella, il col. Carlo Cadorna, figlio del generale
Raffaele, comandante del Corpo Volontari della Libertà, i generali Tullio Del
Sette, già comandante dei Carabinieri, e Antonio Zerrillo, Aldo Ricci, p.
sovrintendente dell'Archivio Centrale dello Stato, i docenti Raffaella Canovi,
GianPaolo Ferraioli, Rossana Mondoni con Daniele Comero, Massimo Nardini, Tito
Lucrezio Rizzo, già Consigliere della Presidenza della Repubblica, Gianpaolo
Romanato, Giorgio Sangiorgi. Con Gianni Rabbia presiedono Alessandro Mella e
Gianni S. Cuttica.
Il
convegno è promosso dall’Associazione di studi storici Giovanni Giolitti e
dall'Associazione di studi sul Saluzzese, presieduta da Attilio Mola, con la
adesione di enti e istituti.
La
scelta di Vicoforte non è casuale. Nel suo Santuario dal 2017 riposano le
spoglie di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena, traslate per iniziativa
della principessa Maria Gabriella di Savoia, propiziata dal presidente della
Repubblica Sergio Mattarella.
...e un volume sul lungo
Regno di Vittorio Emanuele III...
A margine del convegno viene presentato un
volume sul lungo regno di Vittorio Emanuele III. Esso raccoglie gli Atti dei
convegni di studi svolti a Vicoforte il 9 ottobre 2021 su “Il Re Soldato per il
Milite Ignoto: la riscossa della monarchia statutaria (1919-1921)” e il 1° ottobre
2022 su “La crisi politica italiana del 1922”, a prosecuzione del percorso
intrapreso con il convegno “Da Caporetto alla Vittoria” (Saluzzo, 2017-2018) e
con quelli su “Il lungo regno di Vittorio Emanuele III”, scandito in “L'età
vittorioemanuelina/giolittiana,1900-1921” (Vicoforte,28-29 settembre
2018), “Corona e regime: gli anni del
consenso, 1922-1937” (Vicoforte 8 ottobre 2019) e “Gli anni delle tempeste:
meditazioni, ricordi e congedo, 1938-1946” (Vicoforte, 10 ottobre 2020).
Nei loro contributi gli autori sintetizzano
e innovano opere pubblicate in saggi e volumi. La serie dei convegni focalizza
specifici “momenti” della prima metà del Novecento e, al tempo stesso, supera
la segmentazione del lungo periodo in “eventi” che vanno collocati nella
visione complessiva dello Stato. I “centenari” e/o i “periodi” via via
individuati non sono tributo convenzionale a una data o a “episodi” ma fanno
percepire la genesi e i capisaldi dello Stato (corona, parlamento, politica
estera, forze armate, movimenti e
partiti politici, vita culturale, dinamica economica e sociale...).
All'inizio del Novecento, aperto dal regicidio, il regno d'Italia contava appena quarant'anni dalla proclamazione e solo da trenta aveva annesso Roma, coronamento del progetto enunciato nel marzo 1861 da Camillo Cavour ma anche causa della sua drastica “condanna”, anzi “scomunica”, da parte di Pio IX. All'opposto di quanto recentemente affermato da Ernesto Galli della Loggia, non vi fu affatto una “conventio ad excludendum” dei cattolici dalla direzione dello Stato (“Corriere della Sera”, 21 settembre 2023, p.32). Contrariamente a quanto proposto da molti ecclesiastici di prestigio, come Luigi Tosti, abate d Montecassino, e il teologo Carlo Passaglia, deputato di Montecchio e autore della “Petizione a Pio IX e ai Vescovi” sottoscritta da novemila sacerdoti fautori dell'immediata conciliazione tra la Chiesa e il Regno d'Italia il pontefice provocò la secessione dei cattolici dalla vita politica nazionale. A quella lacerazione altre se ne aggiunsero. Mentre Giuseppe Garibaldi, “primo massone d'Italia” e da tanti democratici optarono per “Italia e Vittorio Emanuele”, la soluzione sabauda fu rifiutata dai repubblicani intransigenti, numericamente esigui e tuttavia influenti in ambenti settari, e dai socialisti che in tutte le loro componenti rifiutarono le sollecitazioni ad assumere responsabilità di governo più volte avanzate, anche dal liberal-democratico Giovanni Giolitti.
L'ampio ventaglio di temi messi a fuoco nel
volume evidenzia la centralità della monarchia statutaria nel regno d'Italia e,
di conseguenza, della condotta del Re. Dopo il decennio di fine Ottocento, nel
cui corso si susseguirono una decina di governi talora di brevissima durata
(l'ultimo ministero presieduto dal marchese Antonio Starrabba di Rudinì resse
solo quattro settimane), il regime parve trovare stabilità con la coalizione
presieduta dal democratico bresciano Giuseppe Zanardelli, subentrato
all'ottantenne Giuseppe Saracco, presidente del Senato. La “svolta liberale” di
inizio secolo si sostanziò nella fiducia accordata al nuovo governo da parte
della Camera eletta nel giugno 1900, mentre presidente del Consiglio era il
generale Luigi Pelloux, già ministro della Guerra (1892-1893), e poi a quello
dal novembre 1903 presieduto da Giolitti.
Il regio decreto 14 novembre 1901, n. 466
sulle “materie da sottoporsi al Consiglio dei ministri” chiarì che il suo
presidente rappresentava il gabinetto, manteneva l'unità d'indirizzo politico e
amministrativo di tutti i ministeri e curava l'adempimento “degli impegni presi
dal governo nel discorso della Corona, nelle sue relazioni con il Parlamento e
nelle manifestazioni fatte al paese”. Precisò che il ministro degli Esteri
conferiva col presidente del Consiglio su tutte le note e comunicazioni che
impegnassero la politica del governo nei rapporti con quelli esteri. Dal 1892
al 1922 nessun presidente del Consiglio fu titolare degli Esteri, a differenza
di quanto era accaduto con Camillo Cavour e Francesco Crispi (ma solo nel
1889-1891) e avvenne poi con Benito Mussolini che assunse Esteri e Interno. Il
regio decreto del 1901 non rafforzò né la camera elettiva né il governo ma il
presidente del Consiglio, interlocutore privilegiato del sovrano. Fu un passo
avanti verso la futura legge istitutiva del “capo del governo” (24 dicembre
1925, n. 2263). A differenza di quanto solitamente viene detto, questa non
intaccò affatto le prerogative statuarie del re. Essa infatti sancì: “Il Capo
del governo è nominato e revocato dal Re ed è responsabile verso il Re
dell'indirizzo generale politico del governo”.
L'evoluzione del regime monarchico conferì
maggior peso alla dirigenza politica. Erano gli anni delle riflessioni di
Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels sulle élites e sui partiti.
Proprio per la preminenza delle “personalità” chiamate a reggere le sorti del
Paese la storiografia parve chiamata a dedicare speciale attenzione ai profili
politico-istituzionali del Re, dei suoi più stretti collaboratori (a cominciare
dai ministri della Real Casa e dai suoi primi aiutanti di campo), dei
presidenti del Consiglio e dei maggiorenti delle Camere. A lungo furono invece
privilegiati altri temi, prevalentemente socio-economici. Le “dottrine
politiche” prevalsero sull'azione di chi esercitò il potere, la
rappresentazione travalicò i “fatti”. Alcuni dei dodici presidenti che
si susseguirono alla guida dei venti ministeri alternatisi tra il 1900 e il
1922 ancora attendono biografie esaustive. Nell'ordine si alternarono, talora
per brevi periodi, Saracco, Zanardelli, Giolitti, Alessandro (Sandrino) Fortis
(due ministeri), Sidney Sonnino, Giolitti, Sonnino, Luigi Luzzatti, Giolitti,
Salandra, Paolo Boselli, Vittorio Emanuele Orlando, Francesco Saverio Nitti
(due governi consecutivi), Giolitti, Ivanoe Bonomi e Luigi Facta (due ministeri
per un insieme di otto mesi): una ridda di ministri e sottosegretari che
conduce a riflettere sulla centralità del Re nel regime statutario configurato
quale “triangolo scaleno”, come documentato in saggi compresi nel volume.
Mancano biografie scientifiche di personalità eminenti (inclusi ministri di
vaste vedute ma al governo per breve periodo, Leone Wollemborg), volutamente
rimaste al di fuori del governo (Ettore Ferrari) ma non delle istituzioni (è il
caso di Ernesto Nathan, che tentò l'elezione alla Camera e fu sindaco di Roma
con il sostegno personale del Re e del presidente Giolitti).
Al tempo stesso vi era e vi è motivo di porre al centro dell'attenzione forma e sostanza dei poteri apicali dello Stato, immutati dalla promulgazione della Carta Albertina al 1944. Essi furono esercitati dal Re come e quando ritenne di doverlo fare: in specie il 27-30 ottobre 1922 quando incaricò Mussolini di formare il governo, il 25 luglio 1943 quando lo revocò e il 3-8 settembre quando, in nome del governo da lui nominato, il generale Giuseppe Castellano sottoscrisse a Cassibile la resa incondizionata dell'Italia agli anglo-americani operanti in nome delle Nazioni Unite. Con quell'atto Vittorio Emanuele III garantì la continuità dello Stato d'Italia al di là della sconfitta militare.
...il Re isolato.
Usciti da mezzo secolo di opposizione, gli
esponenti di movimenti e partiti pregiudizialmente anti-statutari (ma anche
molti “democratici”) non gli riconobbero alcun merito, rifiutarono di
collaborare con il governo e posero imperiosamente la questione istituzionale.
Il “lungo regno” di Vittorio Emanuele III formalmente si protrasse sino
all'annuncio del trasferimento al figlio Umberto di Piemonte di tutte le prerogative
regie, nessuna esclusa (12 aprile 1944), all'insediamento del principe a
Luogotenente del regno (5 giugno), all'abdicazione del sovrano e alla sua
partenza “per l'estero”, non “in esilio” (9 maggio 1946).
Secondo la narrazione subito prevalsa e
tuttora perdurante, sino al governo presieduto da Ferruccio Parri, già
comandante delle formazioni partigiane “Giustizia e Libertà” (giugno 1945),
l'Italia non aveva conosciuto alcuna vera democrazia. Tale affermazione fu
confutata da Benedetto Croce, già stigmatizzato da Palmiro Togliatti al rientro
dell'Unione sovietica di Stalin. A quel modo il filosofo si consegnò a sua
volta all'emarginazione politica. La guida culturale ed “etica” dei decenni
seguenti non furono più le sue opere ma i “Quaderni del carcere” di Antonio
Gramsci, fortunosamente fatti pervenire a Togliatti da Piero Sraffa, figlio di
un illustre docente universitario iniziato a una loggia del Grande Oriente
d'Italia.
Senza pretesa di prevalere sui luoghi comuni
stratificati nella narrazione mediatica e nella manualistica scolastica, gli
atti dei convegni di studio raccolti in volume documentano, rettificano e
offrono motivo di riflessione innovativa. L'Italia che ne emerge risulta quale
venne ideata e realizzata dal Risorgimento: protagonista a pieno titolo di una
storia dell'Europa che nel 1914 imboccò la discesa agl'inferi con l'inizio
della nuova guerra dei trent'anni, conclusa nel 1945 con la sua lunga e
tutt'oggi perdurante eclissi politico-diplomatico-militare. In tale ambito Vittorio
Emanuele III emerge quale protagonista della grande storia. Rimane in attesa di
essere pienamente compreso.
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