NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 10 novembre 2020

L'Italia non è in guerra ma ha urgenza di un governo vero

di Aldo A. Mola


Il governo s-mascherato

Il governo ha gettato la maschera. La infligge agli italiani, quando ancora si permettono di parlare o persino di pensare. Tra un po' la dovranno “indossare” anche nel sonno. Ma non è questo il solo obiettivo del governo di Sua Emergenza Conte, Zingaretti e compagnia cantante. Il suo intento ultimo è di imporre tappi negli orecchi e benda sugli occhi. Al villan non far sapere, non far vedere e, soprattutto, non farli parlare... Dopo la mascherina e la benda verrà la mordacchia. Così gli italiani potranno essere rosolati come Giordano Bruno senza che se ne odano gemiti e urla.

L’esecutivo si è s-mascherato con l'accordo di maggioranza per campare sino al 2023. Il suo fine dichiarato è rimanere al potere sino alla scadenza naturale della legislatura. Un traguardo lontanissimo. Le conseguenze sarebbero devastanti. Vediamone alcune.

Ho il Potere assoluto...

In primo luogo questo governo scalcinato, litigioso e inconcludente vuole perpetuare il pieno controllo del Potere con tutti gli strumenti ordinari e straordinari: decreti-legge, decreti del presidente del consiglio dei ministri (screditati ma reiterati alla faccia di tutti i costituzionalisti), richiesta di poteri speciali, imposizione del voto di fiducia quando la maggioranza, sfarinata, è pericolante. Esso, insomma, usa tutti i ben noti trucchi del mestiere.

Per reggere, questa coalizione, che esiste solo per esercitare il Potere, ha bisogno che il paese stia in ginocchio, prono, chiuso in casa. Di lì i tanti espedienti attivati da un mese a questa parte. Dopo aver imposto il rinvio delle elezioni regionali e comunali e il loro accorpamento al 20 settembre, l'Italia stava così bene (a detta del governo) da permettersi di andare alle urne senza pericolo alcuno. Conte ha fatto il 20 settembre quel che fecero Sánchez con la superflua festa dell'8 marzo in Spagna e Macron col primo turno delle amministrative in Francia: eventi acceleratori del contagio. Lo scorso marzo si poteva concedere che anche i capi di governo e di stato fossero un po' imprevidenti e persino fessi. Il 20 settembre no. Tanto più che Conte Giuseppe e la sua beneamata Azzolina Lucia avevano assicurato l'apertura delle Scuole il 14 precedente in piena sicurezza (altra asinata, veduti i fatti e la realtà odierna).

In sintesi, questo governo – Cinque stelle, Democràt, Liberi/uguali e, va detto, Italia Viva, che viene percepita come connivente – non ha solo mancato di provvedere tra maggio e ottobre ma ha insistito negli errori anche nell'autunno. Un giorno dopo l'altro. Improvvisando. Con l'acqua alla gola. Rinviando. Promettendo. Polemizzando con le Regioni e i Comuni, chiudendo gli occhi dinnanzi alla realtà. E adesso pretende di rimanere in carica per altri due lunghissimi anni e mezzo...

Permanendo al Potere, questo governo, in combutta con Protezione civile e Commissari vari, continuerà a nominare centinaia di esperti usa e getta, ad allestire sontuose quanto inutili sfilate di perdigiorno (come accadde a Villa Pamphili) senza alcun effetto pratico se non lo sperpero di pubblico denaro (mica paga di tasca sua...). Vera e propria distrazione di massa, a reti unificate e con il plauso di giornalisti debitamente chiusi fuori, costretti a origliare e a scrivere articoli del tutto inutili (e poi non ci si lamenti se i quotidiani perdono copie).

“Tagliati” e attovagliati

Nel frattempo la congrega al governo dilata a macchia d'olio il contagio più pericoloso: attira gli insetti vaganti come carta moschicida. Giorno dopo giorno invischia quanti si aggregano un po' per convenienza, un po' per rassegnazione, un po' per cinismo e, quel che è peggio, per tragica mancanza di alternativa a breve e medio termine. Conta che le legittime proteste, represse in modi sempre più duri, si spengano da sé.

Così facendo questa sgangherata coalizione governativa spera di far credere di essere maggioranza nel Paese. Riesce a far dimenticare quello che oggi nessuno più ricorda. Il 20 settembre Beppe Grillo e quanti gli si sono accodati (Zingaretti, etc. etc.) hanno ottenuto quel che volevano. Approvando il loro “taglio” gli italiani hanno confermato  che 330 parlamentari sono in esubero. Per fare il loro mestiere bastano 200 senatori e 400 deputati. Il resto alle ortiche. È improponibile che queste Camere rimangano in funzione sino al 2023. Sono stati i loro stessi membri a sancirlo approvando la legge poi confermata dagli italiani con il referendum. Tempo è venuto di trarne le conclusioni. Il varo della legge che impone il taglio dei parlamentari vincola anche chi l’ha firmata: il Capo dello Stato. Non solo. Tutti ricordano bene che nelle settimane antecedenti il referendum Zingaretti implorava i suoi soci in ditta, i Cinque Stelle, di varare un abbozzo di legge elettorale almeno in una delle due Camere prima del 20 settembre. Sono passati due mesi da quei piagnistei ma la riforma della legge elettorale è finita in un cono d'ombra: per il semplice motivo che questa “maggioranza” (che somma il favore del 35% degli italiani) non vuole andare alle urne, né domani né mai. L'attuale composizione delle Camere non trova alcun riscontro nei sondaggi sugli orientamenti politici degli italiani. Sopravvive. Ma è un morto che cammina. Fino a quando? “Tagliata” da se stessa, si “attovaglia” ogni giorno di più. Solo quando gliel'hanno detto il presidente Fico ha fatto sbarazzare alla svelta la “mensa” di Montecitorio.

 

La legislatura è nata nel peggiore dei modi. Dal suo esordio, nel 2018, non sono passati neppure tre anni, tumultuosi. Azzannati alla gola dalla pandemia, scoperto che, malgrado le pacchiane dichiarazioni di Conte, Borrelli, ecc. ecc., il governo non era affatto pronto a febbraio-marzo e ha fatto pochissimo tra maggio e ottobre, gli italiani hanno perso memoria di come iniziò questa drammatica avventura. In allora qualcuno, smarrito il senno,  minacciò persino di incriminare il presidente della Repubblica. Dopo quasi due mesi venne varata una maggioranza sulla base di un “contratto di governo” dai contenuti incostituzionali. “In alto” si finse di non vedere. Fu un errore. Quel “contratto” rimane agli atti. Poi venne Dieci mesi la sbandata dell'agosto 2019 e una soluzione manifestamente provvisoria. Ma all'italiana, dove il provvisorio dura, come i tetti di amianto che nessuno si scrolla di dosso perché non è possibile convocare le assemblee di condominio che dovrebbero deliberarne la rimozione.

Questa è l'Italia: un garbuglio di reati, omissioni e di abusi di potere. L'Italia del Conte I, del Conte II, di maggioranze raffazzonate tra partiti dichiaratemente nemici.

Ma quale mai “unità”? E il MES?

Sic stantibus rebus gli appelli all'“unità” sono aria fritta. La decisione dell’attuale maggioranza di tirare a campare sino al 2023 ha calato la saracinesca sul “volemose bene”. O di qui, o di là. Nulla sarebbe, se non fosse che le conseguenze dell'inettitudine del governo attuale e, per ricaduta, di tante amministrazioni regionali e comunali (le province sono fantasmi) colpiscono tragicamente i cittadini, a cominciare dal blocco dei ricoveri e degli interventi (a volte anche urgentissimi) per chi non è in lista di attesa come contagiato covid-19: uno status che è ormai macabra “assicurazione all'assistenza” (persino domiciliare) nell'Italia odierna.

Questa è l'Italia che non ha chiesto e non chiede il MES per non far frinire i grilli. È l'Italia che “fa da sé” e aspetta chissà quale miracoloso “ricostituente europeo” tra uno o due anni e nel frattempo soffoca la produzione, promette risarcimenti (“ristori” è un termine davvero sciocco) e nel frattempo sfora, sfora, sfora e indebita le generazioni venture. Come stupirsi che il 35% di giovani non studia e non lavora? Attende la manna dal cielo. Esattamente come fanno il governo e i parlamentari che lo sorreggono (che però la manna se la garantiscono sin che restano in carica, sia pure decurtata del pizzo dovuto ai rispettivi “capi bastone”).

Se questo Parlamento di 330 componenti “in esubero” rimanesse in carica fino al 2023, esso eleggerebbe un Capo dello Stato screditato e indebolito ab origine dal voto di Camere non più rappresentative del Paese.

L'Italia l'è malata , ma non è in guerra...

Per allontanare il redde rationem da settimane il governo (e non esso solo, purtroppo) dice che il Paese è “in guerra”. Piano con le parole e basta con le metafore su tunnel, treni in corsa e chissà quali altre astruserie da poetucoli ginnasiali. San Tommaso d'Aquino insegnò che alle parole corrispondono “cose”. Vico aggiunse: verum et factum conventurtur. Orbene, l'Italia non è affatto “in guerra”. La guerra è una realtà giuridica e fattuale ben precisa. Come la maggior parte dei paesi del pianeta, l'Italia è alle prese con una forma di “influenza” più grave di altre precedenti. Ma non è “in guerra”. Alcuni Stati hanno adottato certi rimedi; taluni ne hanno scelti altri. Il governo italiano non ha adottato nessuna strategia. Vive di espedienti. Il covid-19 non ci ha dichiarato guerra. Circola, qui come in tutti i continenti. Dire che siamo sotto attacco nemico è un espediente è furbesco. Crea allarme, semina il panico, ma non risolve nulla. Cerca d’imporre sottomissione. Ma a chi? Al batterio? O, più prosaicamente, chi “governa” chiede all'opposizione di smettere di disturbare il manovratore e ai cittadini di stare a casa, fare due passi nell'“ora d'aria” e aspettare Natale (anche “senza denari”...)?

Fingiamo per un momento di prendere sul serio quel che tanti predicano dall'alto dei Palazzi. Che cosa se ne dovrebbe dedurre? Secondo chi usa la retorica bellicistica in guerra non si può mettere in discussione l’esecutivo. Sarebbe immorale, un tradimento della patria: quando Annibale è alle porte bisogna sacrificarsi (altro termine retorico abusato dalla narrazione sulla pandemia). Credere, obbedire, combattere. Una vecchia solfa. A chi la racconta, chiunque sia e da qualunque Colle lo faccia, è bene allora ricordare la storia delle guerre fatte dall'Italia nei suoi ormai lunghi 160 anni dall'Unità.

Obtorto collo, il 20-21 maggio 1915 le Camere votarono l'intervento dell'Italia  contro l'impero austro-ungarico. A parte il Re, il presidente del Consiglio, Antonio Salandra, il ministro degli Esteri, Sonnino, e l'ambasciatore che il 26 aprile 1915 aveva firmato a Londra l’accordo segreto, né i ministri né i parlamentari né i cittadini sapevano a quali condizioni l'Italia scendeva in guerra. Lo appresero quando i bolschevichi di Lenin irruppero nel Palazzo d'Inverno, trovarono nella cassaforte il testo e lo pubblicarono. Per molte settimane i giornali italiani tacquero, perché alcune condizioni erano francamente imbarazzanti, a cominciare dall'esclusione della Santa Sede dal futuro congresso di pace.

La stragrande maggioranza dei parlamentari era contraria all'intervento. I cittadini non vennero presi in alcuna considerazione. Le piazze erano piene di sedicenti interventisti, spesso ragazzotti spinti da insegnanti che ripetevano a memoria Carducci ma nulla sapevano di capitale finanziario, grande industria, strategia militare e lotta per il controllo delle risorse. Sulla scienza prevalse la chiacchiera. Nei caffè e nei “circoli dell'unione” una miriade di vaniloquenti dissertavano su come l'Italia in un battibaleno sarebbe arrivata a Lubiana, Zagabria, Vienna e poi chissà sino dove. Un po' come poi accadde nel 1941-1942 quando tanti armigeri sognarono di arrivare come niente fosse dalla pianura sarmatica a Vladivostok.

E adesso siamo qua. In guerra? Contro chi? Dov’è il nemico? Sopra o sotto le scarpe e i panni? Entro o fuori le mascherine? Lungo le dita o sotto le unghie laccate ma non sempre nettate? In interiore homine (e anche in faemina) habitat virus, come ovunque... In assenza di rimedi veri (il vaccino? quando? per quanti?) e nel frastuono di virologi, epidemiologi, clinici più o meno attendibili, comitati vari e ministri speranzosi, stiamo come in trincea: imbavagliarsi, lavarsi le mani (e non solo), stare a distanza dall'alito altrui e… fare gli scongiuri.

Il governo che perde la guerra se ne va

Quel Parlamento del 1915, la cui storia va ricordata quale effettivamente fu, subì, trangugiò e attese il suo giorno. In pochi mesi capì di aver preso una cantonata spaventosa. Per fare la guerra occorrono strategia, uomini e armi. Il Comandante Supremo aveva il piano ma mancava di ufficiali, sottufficiali, truppe e, peggio ancora, di artiglieria, fucili, munizioni, magazzini, vestiti per l'inverno; e, ciò che più conta, non aveva il consenso del Paese. Il ministro della Guerra, Domenico Grandi, lo aveva avvertito sin dal 1914. Perciò venne silurato. Nel giugno 1916, all'indomani dell'offensiva austro-ungarica di primavera la Camera sfiduciò Antonio Salandra che aveva voluto l'intervento in odio contro Giolitti e nell'illusione di “passare alla storia”. Finì in un ripostiglio. Gli subentrò Paolo Boselli, decano della Camera, a capo di una coalizione variegata, comprendente anche ex neutralisti. Ma anche lui ebbe i giorni contati. Venne sfiduciato il 25 ottobre 1917, il giorno dopo l'inizio dell'offensiva austro-germanica sull'Isonzo, di cui a Roma nessuno sapeva ancora  niente. Il nuovo governo, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, ebbe il benestare di Giolitti, che parlò alla Camera invitando all'unità vera. Il socialista Filippo Turati disse che anche per il suo partito la Patria era sul Piave. Quello fu un barlume di unione nazionale. Non questa di Conte-Zingaretti e Leu, che dall'opposizione pretendono silenzio e carta bianca.

I governi che in guerra non funzionano o che la perdono vanno sostituiti, come accadde anche il 25 luglio 1943.

In attesa che la storia sia magistra vitae, constatiamo che l'Italia ha bisogno di un esecutivo vero, all'altezza dell'emergenza e di quanto verrà a breve: l'impoverimento di massa e il collasso del sistema sanitario, anche per cocciuto rifiuto di un prestito di portata modesta qual è il MES, che avrebbe giovato a rimetterlo in sesto. È stato approntato un progetto per chiederlo? O esso giace in qualche misterioso cassetto, come l'accordo di Londra del 1915 e i verbali del Comitato tecnico scientifico troppo a lungo secretati?

Aria, luce, pulizia. Chiarezza e trasparenza. Stanco di predicozzi, il Paese ha diritto di essere informato e di decidere il proprio futuro. Non c'è altra via: elezioni prima possibile di una nuova Costituente.


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