di Emilio Del Bel Belluz
Il circo lo aveva sempre attratto, come gli piacevano le giostre che arrivavano a Sequals, ma grande e grosso com’ era, non aveva mai potuto gareggiare. La giostra che girava non aveva un seggiolino adatto alla sua misura. Allora si era abituato a guardare gli altri che giravano, cercando di buttare giù il premio che era attaccato al palo. C’era un gioco dove era imbattibile, si trattava dei tiri con il guantone, vi metteva tutta la sua potenza ed era capace di fargli fare alcuni giri senza difficoltà. Raccontava queste cose a Rosalba con le poche parole che aveva imparato e con i gesti: la faceva sorridere. La vita presentava anche dei momenti giocosi e bisogna approfittarne. Carnera portò Rosalba al circo e non essendo alta come lui, aveva scelto un posto tra le prime fila, da cui sarebbe riuscita a vedere tutto. L’uomo che uscì per primo era il padrone del circo, un ometto piccolo e grasso, che parlava troppo veloce perché lo si capisse. Carnera si accorse che l’uomo lo stava osservando, e se ne stupì. Lo spettacolo comprendeva delle esibizioni con dei leoni e degli elefanti; a Primo e Rosalba piacquero molto gli acrobati che sembravano che volassero nel cielo come uccelli. Le rappresentazioni li aveva soddisfatti. Quando uscirono, il proprietario, quell’uomo piccoletto che aveva presenziato allo spettacolo, si avvicinò a Primo e gli parlò con la sua solita velocità. Carnera in quei mesi aveva incominciato a parlare il francese, ma non era in grado di comprenderlo se qualcuno parlava troppo velocemente. Rosalba disse che l’uomo aveva proposto a Carnera di lavorare nel circo, come lottatore. Avrebbe fatto la parte di chi è dotato di una forza erculea e diventa per cui imbattibile. Quelli che volevano sfidarlo, in caso di vittoria, si sarebbero guadagnati mille franchi. Rosalba aveva detto che il suo amico era un italiano di Sequals, che lavorava nella falegnameria dello zio. L’uomo chiese a Carnera di pensarci su, avrebbe avuto alcuni giorni prima di decidere. Per lavorare al circo avrebbe avuto un compenso con vitto e alloggio gratis. Quella sera mentre andava a casa con Rosalba le disse che forse non sarebbe stato male se avesse accettato il nuovo lavoro, dallo zio guadagnava poco e non era sufficiente per mandare dei soldi a casa. Rosalba non disse nulla, ma in cuor suo le sarebbe dispiaciuto se Primo fosse andato via, ma nello stesso tempo, gli voleva troppo bene per fargli rinunciare a una possibilità di guadagno. La vita in quei tempi era troppo difficile per tutti. L’indomani mattina Primo si recò da solo a parlare con il proprietario del circo, avrebbe accettato di lavorare a condizione che potesse mangiare fino a sazietà. La fame non lo abbandonava mai, dalla zia si mangiava bene ma non era sufficiente per un giovane tutto muscoli che pesava 120 chili. L’uomo accettò le sue condizioni e poi chiamò il nano, Antonio che lavorava con lui, e che era d’origine italiana. Nello spettacolo aveva il ruolo di clown e faceva sorridere gli spettatori. Antonio fraternizzò subito con Carnera. Da alcuni anni si trovava in Francia, era scappato da casa per unirsi al circo. In quel mondo aveva trovato una sua dimensione dignitosa, non gli importava se la natura lo aveva creato in questo modo, lui era fatto per essere felice e con il circo ci era riuscito. In questo mondo, Primo avrebbe lavorato con il suo numero che lo rappresentava come un lottatore. Al di fuori delle esibizioni avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione del circo e ad altre incombenze; non sarebbe stata una vita facile. Gli sarebbe stata data una carovana dove dormire, con un letto più grande, e avrebbe mangiato in compagnia degli altri circensi. L’uomo del circo era stato molto chiaro, non voleva che ci fossero, in seguito, delle incomprensioni. C’erano altri italiani, oltre ad Antonio, che l’avrebbero fatto sentire meno lontano dalla sua patria. La vita che lo aspettava non sarebbe stata facile, ma lavorando sodo, i risultati si sarebbe visti. Primo sarebbe diventato l’attrazione principale del circo, perché la gente amava assistere alle sfide tra due colossi. La stessa sera ne parlò con lo zio, dicendogli che aveva trovato un posto di lavoro che gli avrebbe permesso di guadagnare qualcosa di più, perché i suoi familiari avevano bisogno di denaro. La mamma glielo aveva scritto in una lettera che aveva ricevuto in quei giorni. Lo zio non disse nulla, perché aveva compreso che non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. L’indomani mattina partì con il circo, aveva salutato Rosalba che era dispiaciuta della sua scelta, perché avrebbe posto fine al loro amore appena nato. La ragazza aveva sognato di farsi una vita con lui, lo amava perché le dava fiducia e la faceva sentire protetta. Aveva immaginato di sposarsi e d’avere dei figli che sarebbero diventati forti come il padre, ma, talvolta, i sogni muoiono all’alba. Davanti alla casa dove abitava si abbracciarono, non si sarebbero più rivisti, questo era certo, un bacio fu l’ultimo sigillo del loro amore. La sua casa ora diventava il circo, incominciava una nuova avventura e una nuova vita. Partì lo stesso giorno, e Primo lavorò sodo con gli altri per smontarne le strutture. Successivamente i suoi compagni di spettacolo incominciarono a conoscerlo e a capire che possedeva un cuore d’oro. Una delle prime cose che fece, fu quella di allenarsi come lottatore: ad insegnargli la tecnica e i trucchi del mestiere fu un vecchio atleta nella stessa disciplina che ora non si esibiva più, ma dava una mano al circo. Seppur vecchio aveva deciso che non avrebbe mai abbandonato il mondo dello spettacolo. Bastarono poche lezioni e Primo fu pronto per la prima sfida. La sarta del circo gli fece dei vestiti, che avrebbe dovuto indossare in scena. La donna non era molto alta, e chiese, pertanto, a Primo di sedersi per prendergli le misure, e dovette lavorare alacremente affinché tutto fosse pronto in tempo. Il direttore del circo aveva chiamato un fotografo, che immortalò il gigante in molte pose, e vennero stampati dei manifesti che propagandavano il numero del lottatore chiamato, Juan lo spagnolo. La sera dell’esordio il direttore era felice, da tanto tempo non erano presenti così tante persone. La gente voleva vedere la montagna di muscoli. Primo era diventato imbattibile, nonostante arrivassero sfidanti sempre più forti, da vari paesi della Francia. Nel paese di Béziers dovette fare due esibizioni aggiuntive, perché le persone non si stancavano mai nel vedere all’opera questo italiano. Un giornalista locale pubblicò una foto, mentre stava combattendo. Nonostante la sua abilità, anche a Carnera succedeva d’ incassare qualche colpo che faceva male. Alla sera le persone del circo mangiavano davanti a un fuoco, era bello stare insieme. Primo aveva migliorato la conoscenza del suo francese e, così, si sentiva meno isolato. Divenne amico inseparabile del nano Antonio, nelle loro chiacchierate condividevano i lori sogni per il futuro e si soffermavano a parlare della loro cara Italia. Aveva conosciuto delle ragazze del circo, ma nel suo cuore era rimasta Rosalba, lasciandola gli pareva d’essersi comportato male, ma la sua scelta era stata determinata dalle necessità. Con il circo Primo si doveva spostare di paese in paese, e dopo un anno rivedeva le persone conosciute l’anno prima ed era sempre una festa il ritrovarsi. Quando arrivava in un nuovo posto, cercava sempre la chiesa, perché era abituato ad assistere alla S. messa. La gente lo osservava, perché era alto e grosso, e lo riconosceva dai manifesti che erano stati affissi. Gli capitò pure una ragazza che amava disegnare e gli chiese di posare per lei. Primo era sempre stato una persona timida, però questa volta le domandò che gli fosse fatto dei ritratti anche per lui. La giovane accettò di buon grado, aveva la passione del disegno con la quale si guadagnava da vivere: si può dire che fosse nata con la matita in mano. Questo lo dimostrò subito, volle fare alcuni ritratti per sé stessa, e poi in un quaderno li fece per Carnera, che li avrebbe mandati alla sua famiglia. Il quadernetto nero aveva 20 pagine e le volle riempire tutte. La giovane si sentiva felice di poter fare qualcosa per un gigante che lavorava duramente per la famiglia. La disegnatrice era orfana di padre, caduto durante la Grande Guerra, e aveva ereditato da lui la passione della pittura. Le sembrava che dedicandosi a quest’arte, potesse in qualche modo far rivivere suo padre. Il papà era un pittore, aveva dipinto molti ritratti di personaggi francesi e tante delle sue opere erano esposte nei musei. Un giorno questa pittrice mostrò una tela di suo padre: si trattava di un ritratto di un generale francese, e Carnera lo apprezzò molto. La sera stessa la ragazza volle assistere ad una esibizione del gigante buono, e con la sua matita approfittò per fare ulteriori disegni, uno dei quali arrivò nelle mani del direttore del circo che lo volle acquistare, per inserirlo nei manifesti. Nei giorni che seguirono, Carnera volle scrivere una lettera a casa e nella busta vi mise il quadernetto con i disegni, sperando che arrivassero presto. La sua famiglia era la cosa più importante della vita, spesso pensava alla mamma e ai tanti sacrifici che stava facendo, per allevare i figli. Ogni tanto, alla sera, non riusciva a prendere sonno, non perché avesse fame, ma perché pensava a casa, e si domandava se la maestra era ancora viva. Il paese natio rimane sempre dentro al cuore, ogni piccolo avvenimento fa parte della propria vita e i momenti passati hanno il sapore di ciò che non tornerà, e potranno vivere solo nei nostri ricordi. Non aveva portato in Francia alcun libro e spesso riviveva i momenti belli della lettura in classe del libro Cuore. Apprezzava moltissimo la figura di Garrone, il gigante, figlio di un ferroviere, che aiutava gli altri, un paladino delle ingiustizie, fino a dimenticare sé stesso. In Francia, Primo si sentiva come Garrone. Il libro Cuore era stato il suo primo libro di lettura. Quella sera ricordò le pagine imparate a memoria, dedicate alla patria. “ Io amo l’Italia perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è italiano, perché è italiana la terra dove sono sepolti i morti che mia madre piange e che mio padre venera, perché la città dove sono nato, la lingua che parlo, i libri che m’educano, perché mio fratello, mia sorella, i miei compagni, e il grande popolo in mezzo a cui vivo, e la bella natura che mi circonda, e tutto ciò che vedo, che amo, che studio, che ammiro, è italiano. Oh tu non puoi ancora sentirlo intero quest’affetto! Lo sentirai quando sarai un uomo, quando ritornando da un viaggio lungo, dopo una lunga assenza, e affacciandoti una mattina al parapetto del bastimento, vedrai all’orizzonte le grandi montagne azzurre del tuo paese; lo sentirai allora nell’onda impetuosa di tenerezza che t’empirà gli occhi di lacrime e ti strapperà un grido dal cuore. Lo sentirai in qualche grande città lontana, nell’impulso dell’anima che ti spingerà tra la folla sconosciuta verso un operaio sconosciuto, dal quale avrai inteso, passandogli accanto, una parola della tua lingua. Lo sentirai nello sdegno doloroso e superbo che ti getterà il sangue alla fronte, quando udrai ingiuriare il tuo paese dalla bocca di uno straniero. Lo sentirai più violento e più altero il giorno in cui la minaccia d’un popolo nemico solleverà una tempesta di fuoco sulla tua patria, e vedrai fremere armi da ogni parte, i giovani a correre a legioni, i padri baciare i figli, dicendo: – Coraggio ! – e le madri dire addio ai giovanetti, gridando : – Vincete! – Lo sentirai come una gioia divina se avrai la fortuna di veder rientrare nella tua città i reggimenti diradati, stanchi, cenciosi, terribili, con lo splendore della vittoria negli occhi e le bandiere lacerate dalle palle, seguiti da un convoglio sterminato di valorosi che leveranno in alto le teste bendate e i moncherini, in mezzo a una folla pazza che li coprirà di fiori, di benedizioni e di baci. Tu comprenderai allora l’amor di patria, sentirai la patria allora, Enrico. Ella è una così grande e sacra cosa, che se un giorno io vedessi te tornar salvo da una battaglia combattuta per essa, salvo te, che sei la carne e l’anima mia, e sapessi che hai conservato la vita perché ti sei nascosto alla morte, io tuo padre, che t’accolgo con un grido di gioia quando torni dalla scuola, io t’accoglierei con un singhiozzo d’angoscia, e non potrei amarti mai più e morirei con quel pugnale nel cuore”. (Tuo padre)
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