Il primo atto; fu dunque, che condusse
all'armistizio italiano fu un moto dell’intelligenza e della sensibilità straordinariamente
acuta del nostro popolo «Se la guerra e perduta . tutti si dissero - è del
tutto inutile, anzi è dannoso continuare a combatterla. Ogni giorno vi sarà una distruzione dì più un bombardamento di più)
poi tutto il territorio sarà perduto: l'indipendenza
nazionale forse compromessa. Senza l'aiuto dei vincitori sarà impossibile
riprendersi e l'aiuto non vi sarà se noi persisteremo sino all'ultimo ad
appoggiare i tedeschi ».
I
più pronti a ragionare così furono i più alti gerarchi, sia perché erano nelle
condizioni più adatte per giudicare del danno arrecato dal- fascismo al paese,
sia perché essi si sentivano responsabili e speravano ora. Con un tempestivo rivolgimento,
di potersi salvare. Non passava ora che la radio di Londra non dicesse: «
Sappiamo che il popolo , italiano era, contrario ed è rimasto contrario alla
guerra. Liberatevi del fascismo prima che sia troppo tardi. Le Nazioni Unite
non attendono che questo vostro gesto, per accorrere a liberarvi ». Il discorso
dì Churchill che accusava « un uomo, un uomo solo dì aver condotto l'Italia
alla guerra » era del 30 novembre 1942. Poi vennero gli appelli congiunti di
Churchill e dì Roosevelt al popolo italiano.
Con quel tanto di ingenuità e di buona fede
che riposa sempre nel fondo dei popoli, gli italiani credettero alla sincerità
della propaganda britannica. Credettero alla parola dei governanti nemici. Immaginarono
che l'arrivo degli alleati segnasse la
fine del loro martirio e la riapertura
delle vie marittime e dei rifornimenti dall'America.
Ma
la intelligenza e la sensibili del popolo italiano non avrebbe potuto arrivare
ad una soluzione senza l’iniziativa del Re. La quale fu la prima e fu la Più decisa nel liberare il
paese dal fascismo. « Fin dal gennaio 1943 (poté egli dire più tardi (1) ad un
personaggio a lui vicino) io concretai definitivamente la decisione dì porre
fine al regime fascista, col revocare il capo, del governo Mussolini.
L'attuazione di questo provvedimento, resa più difficile dallo stato di guerra,
doveva essere minuziosamente preparata e condotta nel più assoluto segreto
mantenuto anche con le poche persone che vennero a parlarmi del malcontento del
paese. Lei è stato al corrente delle - mie decisioni e delle mie personali
direttive e Lei sa che soltanto queste, dal gennaio 1943 portarono al 25 luglio
successivo ».
I più vicini al Sovrano e i più fedeli furono
in tutto questo periodo il duca Acquarone e il generale Ambrosio, convinti da
tempo che la insensata guerra era perduta e che bisognava uscirne prima che
fosse troppo tardi: questa convinzione essi non nascondevano, né al Re, né
qualche volta, a Mussolini. Ma appena ne accennavano a Mussolini questi si
arrabbiava e replicava prontamente che bisognava marciare sino in fondo, con
l'alleato. Si potrebbe credere ad un movimento politico antimussoliniano più
progredito di quello militare. Sarebbe un errore. Se il Gran Consiglio non si
fosse riunito e non avesse avuto luogo la votazione contro Mussolini, questi
sarebbe stato deposto ugualmente e presso a poco nello stesso modo. Il Re
comprendeva bene quel che pensava il suo Ministro Duca Acquarone: cioè che per
deporre Mussolini occorreva arrestarlo: e il Re ordinò con ferma risoluzione
l'arresto, nella stessa ora che nominava il successore Badoglio.
Il
Re aveva veduto nei mesi che p recedettero il 25 luglio uomini politici delle
opposizioni: nessuno suggerì un Ministero politico, nessuno pensò ad una rottura
immediata con la Germania
in concomitanza con la deposizione di Mussolini. Tutti suggerirono un Governo
militare e tecnico, che assumesse la grave responsabilità della resa. E tutti
consigliarono il distacco. dal fascismo: ma nessuno diceva il modo del
distacco. E il modo fu trovato unicamente dal* Re con l’arresto di Mussolini.
Il prof. Concetto Marchesi che era allora il
portavoce dei comunisti dichiarava che il suo partito era pronto a collaborare
con la Monarchia. I
vari Ruini scrivevano nel loro giornale segreto “Ricostruzione”, che solo con
un’azione rapida è decisa « la
Monarchia si sarebbe salvata e avrebbe adempiuto alla sua
missione storica ». Il Re fece il dover suo egregiamente, ma a cose fatte, si
trovò che la Monarchia
non poteva più salvarsi...
Tra i punti esposti da Ambrosio a Mussolini
nell'assumere la sua alta carica (i febbraio) v'era quello del ritiro delle,
nostre divisioni dai Balcani. Mussolini si oppose e non certo perché indovinava
l'uso che intendeva farne lo Stato
Maggiore., ma perché nella sua incommensurabile stoltezza pensava sempre di
bilanciare in tal modo l'influenza tedesca in Europa. E intanto lasciava
esposte le nostre coste e soprattutto lasciava l'Italia nelle mani dei tedeschi
preparando i lugubri campi di concentramento in Polonia e in Germania per
centinaia di migliaia dei nostri soldati.
I militari vollero anche, a un certo momento.
tastare il polso dei gerarchi fascisti e il generale Castellano andò ad esporre
un suo piano a Cíano che era il pì u facìje alla critica della nostra politica
di guerra. Ci-ano ascoltò ma non si pronuncio che più tardi. Né gli uornìni
politici che andarono dal Re o si tennero in contatto coia Badoglio o con
Ambrosio, suggerirono o manifestarono mai alcun che dì concreto per eliminare
Mussolini. Vero è che il Re volle tacere fino all'ultimo (sino, pare, al 20
luglio), ma questo fu un suo grande merito. In una città come Roma non vi è
segreto, il più geloso, che non sia conosciuto da tutti entro una settimana
dalla sua rivelazione alla persona più fidata. Sollecitazioni e incoraggiamenti
al Re vennero da più parti: da Thaon di Revel a Zuppelli, Orlando, Bonomi,
Badoglio, Caviglia, Casati, Solerí, ma nessuno (esclusione fatta dei comunisti
pronti a partecipare al nuovo Governo) voleva assumersi la responsabilità di un
Ministero che avrebbe dovuto firmare la resa. Probabilmente alcuni speravano
che Mussolini, che aveva dichiarata la guerra ed era amico di Hitler, potesse
arrivare alla resa con più facilità di convincere i tedeschi a filar via
tranquìlli. Ma era un duplice errore. Ne i tedeschi erano disposti a portare la
guerra nel proprio territorio, ne gli anglosassoni desideravano trattare con
Mussolìni. Bisognava dunque liberarsi di Mussolini. Tutti quelli, che ora
parlano del 25 luglio come di un tentativo della Monarchia per salvare se
stessa., dimenticano il piccolo particolare che tutti erano d'accordo su tale
opportunità; che nessuno vedeva altro modo di uscire dalla guerra da quello di
deporre Mussolini dalla carica di Primo Ministro. D'altra parte nessuno,
escluso Badoglio, si offriva per coadiuvare il Sovrano nella nuova aspra prova.
Tutti suggerivano un ministero di transizione; di militari e di tecnici.
Poteva senza dubbio, tale suggerimento essere
dettato dall'onesto scrupolo di evitare che i tedeschi avessero motivo per un
Intervento, troppo brusco 'e immediato vedendo salire al potere gli avversari
di Mussolini; ma vi era anche il legittimo desiderio di risparmiare a sé e al proprio partito delle responsabilità,
troppo gravi e in fondo immeritate. Tutto giusto, tutto concesso ma il Re
restava solo nella sua decisione e nella sua responsabilità.
(1)
Vedi:
PAOLO MONZUI, Roma 1943, Migitoresi, pag. 109.
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