Alcuni mesi fa moriva un distinto
signore, che acquistava ogni mattina il suo amato quotidiano: Il Giornale, e ci
teneva a dire che l’aveva acquistato sin dal primo numero.
Un giorno incontrai
questo signore che si chiamava Gian Giacomo Guglielmi, e facemmo amicizia. Il
suo modo di fare era quello di un nobile, vestiva elegantemente, e parlava con
proprietà di linguaggio. Mi raccontò, che durante gli anni cinquanta
a Bari, aveva conosciuto lo scrittore Carlo Delcroix e ne era rimasto
affascinato.
Nel periodo della loro conoscenza il Signor Gugliemi si trovava a
Bari per fare propaganda politica per il Partito Monarchico, di cui Delcroix fu
eletto deputato per una legislatura. Lo scrittore aveva un carisma particolare
nel parlare alla gente, sapeva convincere ed era bello ascoltarlo.
Delcroix
era nato a Firenze nel 1896, da Giuseppe Delcroix e da Ida Corbi, era un eroe della Grande Guerra, e si era meritato la Medaglia d’argento al
V.M. Il signor Guglielmi mi raccontò che Delcroix, nel 1915, era studente
alla Facoltà di Legge a Firenze, e come molti giovani di allora, lasciati i
banchi dell’università, partì volontario per il fronte. Il suo corpo era quello
dei Bersaglieri.
Alcuni giorni fa trovai un articolo del “Giornale “,
intitolato – Un soldato del Re - che fu pubblicato alla morte di Delcroix,
avvenuta il 25 ottobre del 1977. Nello scritto si diceva: “Si distinse nei
combattimenti sul Col di Lana e nella Marmolada. Promosso sottotenente dei
bersaglieri, nel febbraio del 1917 fu comandato ad istruire nel lancio
delle bombe a mano un reparto di arditi, nelle immediate retrovie del fronte.
Appena un mese dopo, nello spericolato recupero di alcuni ordigni inesplosi una
bomba gli scoppiò tra le mani, asportandogliele entrambe e accecandolo”.
Carlo
Delcroix non si perse d’animo, si trovò a combattere tra la vita e la morte e
ne uscì vincitore. Il suo corpo era come un campo di guerra disseminato da
schegge, senza le mani, e senza poter più vedere. Quello che trionfava nel suo
corpo martoriato era la volontà di tornare a servire il suo Re e la sua patria.
Uno dei massimi scrittori, Franco Accame scrisse un particolare in più su
quanto gli accadde in quell’esplosione. “Delcroix era alla mensa ufficiali
quando fu avvisato che un bersagliere, recandosi imprudentemente nel campo di
tiro, era saltato in aria per una bomba.
Il poligono per la caduta di neve non
era stato sgombrato dalle bombe inesplose. Egli si recò sul luogo con gli altri
ufficiali e soldati; constatata la morte dell’infelice, fece allontanare i
presenti, dispensò la squadra di servizio per non esporla a rischi gravi, e
volontariamente, con calma, si mise di persona a liberare la zona dagli ordigni
inesplosi”.
Quello che accadde dopo fu opera del destino che sta nelle mani di
Dio. Si avvicinò al soldato morto, gli liberò il viso dalla neve, e quella fu
l’ultima immagine che vide. L’esplosione fu violentissima, lo privò della
vista, e delle mani e lo riempì di schegge. L’ordigno esploso fu talmente
devastante che per mesi le condizioni del militare furono disperate e si
temette che morisse. Il buon Dio volle che gli fosse risparmiata la vita.
Non
si perse di coraggio e dedicò la sua vita a quelli che soffrivano, rimasto
cieco il suo cuore si aprì ad altre luci. Anche nella seconda guerra mondiale
la sua opera fu di un soldato che volle essere vicino a Casa Savoia, nei
momenti più difficili. La sua lealtà a Casa Savoia fu totale, e lo dimostrò nei
suoi libri, purtroppo poco conosciuti e non più ristampati.
Ebbe l’onore
d’essere citato più volte nei Cantos di Ezra Pound, anche dopo la fine della
guerra. Nel 1959 s’incontrarono nella Riviera Ligure, dove Delcroix era in
villeggiatura. Lo scrittore americano innamorato di Mussolini aveva passato
tredici anni rinchiuso a Washington in un manicomio criminale, e questa fu la
terribile vendetta perpetrata nei confronti di un poeta che aveva scelto il suo
pensiero.
Alla fine della guerra, Delcroix si era dovuto nascondere a
Roma, presso i frati di S.Andrea delle Fratte. Gli avevano sequestrato tra gli
oggetti personali, le mani di legno.
Trovo giusto ricordare questo eroe, in un
Paese che spesso dimentica coloro che hanno donato la vita per la Patria.
di Emilio Del Bel Belluz
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