Premessa.
Nel novembre 1954 a Napoli, nel teatro San Ferdinando si tenne il congresso nazionale del Movimento Giovanile del PNM che vide la vittoria della segreteria uscente, mentre l'opposizione che aveva nel gruppo romano il suo fulcro, di cui era leader Carlo Alberto D'Elia, fu sconfitta.
Poco dopo due anni la segreteria gettò la spugna ed indicò il successore proprio in un esponente della opposizione e la storia del Movimento Giovanile, almeno per alcuni anni cambiò.
(Precisazione storica dell'Ingegnere Domenico Giglio, letteralmente ed affettuosamente obbligato a scriverla dallo Staff ).
Un problema tuttora insoluto dal PNM
Per una
politica interclassista, bisogna rendersi conto che il moto risorgimentale
passa dalla rivoluzione borghese alla rivoluzione proletaria – Ci occorre non
più la nostalgia del Re sul cavallo bianco, ma la fiduciosa speranza del Re
pensoso e operante fra i concreti problemi del Suo popolo.
Enunciare
e perseguire una politica giovanile, una politica per i giovani, è postulato
comune a tutti i movimenti che si pongano, sia pure democraticamente, su
posizioni rivoluzionarie rispetto allo Stato.
Il
Partito Nazionale Monarchico è certo un movimento rivoluzionario, in quanto propugna
un mutamento istituzionale ed una revisione costituzionale unitamente al rinnovamento
dei valori, oggi obliterali, tradizionali della Nazione.
Il P.N.M.,
però, è forse l’unico partito che non svolga una politica giovanile, né questo
deve sorprendere, se si tengano presenti
alcune sue manchevolezze, di cui dovremo emendarlo.
Il
giovani vivono di grandi ideali, e la Monarchia è un ideale altissimo, in verità;
ma gli ideali che muovono le grandi masse ed, alla loro testa, la gioventù sia lavoratrice che intellettuale non appartengono mai alla specie delle
nostalgie, perché i popoli camminano sempre avanti, col progresso e con la Storia.
E, dunque,
in senso decisamente avveniristico va impostata ogni politica del
genere, tenendo a tal fine presente la necessità di guardare le azioni contingenti da un più elevato piano speculativo e teorico.
genere, tenendo a tal fine presente la necessità di guardare le azioni contingenti da un più elevato piano speculativo e teorico.
Si tratta
di comprendere che, in nome dello stesso ideale liberale, la rivoluzione borghese di ieri diventa la rivoluzione proletaria, e che l’amore per la
libertà non subisce arresti, ed oggi scopre nuovi orizzonti per dare tuia dignità ed un volto alle masse popolari, solo teoricamente libere ed in parità di diritti.
Bisogna
credere in una Monarchia che - seguendo ed, anzi, favorendo, questa evoluzione del Risorgimento - assuma compiti nuovi (ma analoghi a quelli del
passato) nella vita del popolo italiano, e garantisca non solo le libertà spirituali, ma anche quella fondamentale dal bisogno, inserendosi moderatrice ed arbitra nel processo di chiarificazione politico-sociale, così come sempre assolse tale compito fra gli italiani, repubblicani e monarchici, in una Italia giovane ed in formazione.
passato) nella vita del popolo italiano, e garantisca non solo le libertà spirituali, ma anche quella fondamentale dal bisogno, inserendosi moderatrice ed arbitra nel processo di chiarificazione politico-sociale, così come sempre assolse tale compito fra gli italiani, repubblicani e monarchici, in una Italia giovane ed in formazione.
Proiettiamo
nel futuro la funzione della Monarchia, richiamando dai nostalgici sospiri, la figura del Re, non più sui cavalli bianchi ma fra i concreti
problemi del suo popolo; avremo affermato la vitalità dei nostri principi, e non per
l’anno 1954, ma per la Storia.
Questa è
l’impostazione di cui difettiamo. ..
A questo
punto ci si potrà rispondere: E cosa ha fatto il Movimento Giovanile del
P.N.M., che di queste ansie e di questi interessi dovrebbe essere l’interprete
più entusiasta e fedele, per sensibilizzare gli esponenti del Partito in questo
campo, o per farsi propugnatore esso stesso di una efficace azione politica nel
senso desiderato?
Il
Movimento Giovanile o, meglio, i suoi eterni dirigenti non ha fatto mai nulla è
vero, ed hanno dimostrato, al Congresso Nazionale Giovanile, un tale
disinteresse in materia da non autorizzare previsioni rosee per il futuro.
Ma il
discorso, iniziato in clima non idoneo a Napoli, lo proseguiremo fintantoché le
nostre idee e le nostre concezioni non avranno avuto ragione dei personalismi e
del loro intollerabile nullismo politico.
Questa
situazione, però, non può e non deve arrestare l’opera di chiarificazione ideologica e sociale del nostro Partito, al quale quindi, s’impone una svolta
anche per quanto concerne i problemi della gioventù.
In
particolare riteniamo che si debba affermare l’estensione dei fini educatori dello Stato, il quale deve provvedere anche all’istruzione dei giovani operai
ed artigiani, giacché gli oneri derivanti ai privati dalle vigenti norme
sull’apprendistato sono eccessivamente gravi, ed a tutto danno dei lavoratori
che non vengono assunti per il peso antieconomico di cui finiscono per gravare
l’azienda.
La mano
d’opera italiana è in preoccupante invecchiamento, mentre l’artigianato è in
piena crisi per mancanza assoluta di giovani apprendisti. Questi sono problemi
non solo delle classi popolari, non solo dei giovani: sono problemi dell’industria
e dell’artigianato italiani, sono problemi nazionali.
Ed il
nostro Partito — così come per la sua qualifica nazionale non può più esimersi
dal prendere posizione — è per le medesime ragioni il più qualificato a coalizzare datori e lavoratori, categorie opposte e singoli, nell’interesse del
Paese.
Ma questa
particolare funzione va assunta non solo nel campo del lavoro, ma anche in quello dello studio.
La scuola
italiana, infatti, indirizza ogni anno falangi di giovani alle Università, inasprendo vieppiù la paurosa situazione di disagio che nel Paese determina un
numero elevatissimo di laureati disoccupati e senza speranza d’assorbimento,
cui vanno sommati gli innumerevoli laureati soggetti per fame a forme di
sottoccupazione.
La
rivalutazione dei titoli di istruzione tecnica s’impone come spontaneo calmiere
al sovraffollamento degli Atenei, e così la limitazione dei concorsi cui
partecipare col titolo di laurea. E’ necessario educare gli italiani a
considerare cosa non disonorevole la mancanza della laurea e, insieme, cosa
molto onorevole un titolo tecnico che qualifichi per un brillante avvenire. Le
Università, dal canto loro, non si dovrebbero limitare a sfornare dottori, ma dovrebbero
offrire anche un minimo di pratica professionale, della quale spesso i giovani
nella vita si mostrano così sprovvisti.
Ed è in
questo campo, ancora ima volta, che la nostra azione politica e propagandistica
può aprire gli occhi alla cecità dei nostri alti capitalisti, per far loro comprendere
l’utilità per tutti e l’interesse proprio per poter contare su una classe dirigente
più preparata e selezionata, conscia dei propri doveri verso una società che ha
saputo educarli. Questo all’estero non è una favola, è la realtà di grandi fondazioni
scientifiche comprendenti intere Università.
Anche per
la gioventù delle campagne, infine, sarebbe doveroso che lo Stato propagandasse
e diffondesse l’istruzione agraria, sia per il conseguimento di licenze inferiori
che per corsi d’istruzione più, diciamo così, elementari: oggi l’agricoltura è impostata
scientificamente, ed i contadini devono sapere ciò che occorre alla terra e conoscere
le loro macchine.
Troppo
dovremmo dire, e lo spazio ci manca.
Ma a
Milano siamo certi di smuovere le acque fattesi stagnanti, siamo certi di segnare
un nuovo indirizzo. E per questo ci batteremo senza esitazioni, certi come
siamo di essere gli interpreti delle aspirazioni, consce od inconsce, degli
italiani e, soprattutto, dei giovani italiani.
Credono
per loro Patria e per il Re, sì; ma anche per il loro avvenire e per un domani
di giustizia e di libertà.
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