Nella mia vita ci sono state esperienze positive che mi hanno dato sempre la felicità in
momenti in cui ero convinto d’averla perduta. Quando ero studente alla facoltà
di legge a Trieste avevo ritrovato la gioia in un plico che mia madre mi aveva
tenuto nascosto, perché se mi avesse detto che il postino mi aveva recapitato
un pacco giunto dalla dimora del Re, mi sarei precipitata a casa senza
attendere la fine delle lezioni.
Una notizia simile mi avrebbe distolto da ogni cosa. Per me Umberto II era il mio Sovrano, che avevo amato ancora di più, quando seppi che era stato costretto all’esilio da uno Stato che nulla aveva a che fare con la democrazia. “I Re non si mandano mai via”, aveva detto la maestra Cristina nel libro di Guareschi.
Anche nel film avevo amato la figura di quella brava maestra che aveva insegnato a leggere e a scrivere a tutto il paese. Una donna, che chiese che sopra la sua bara, vi fosse la bandiera del Re Umberto II. Con questo racconto Guareschi aveva commosso milioni di persone. Sin da piccolo mi rifugiavo nella lettura di racconti che parlavano del mio Re. Quel plico conteneva un libro che il Re mi aveva inviato dal suo esilio, all’interno la sua firma fatta con lo stesso colore con cui mi aveva dedicato una sua foto.
Ho sempre considerato questi suoi doni i più belli ed emozionanti della mia vita. Ero solo un povero studente che sognava di far tornare il Re dall’esilio, affinché potesse ritrovare la sua terra, la sua bella Italia. Un Re che aveva dedicato la sua vita per questa patria così ingrata e capace solo di infangare quel casato che aveva fatto l’Unità d’Italia. Il libro che mi inviò era stato scritto dal Ministro della Real Casa, Falcone Lucifero.
Raccoglieva anche delle lettere che gli italiani gli avevano scritto. Molti italiani chiedevano al Re un aiuto, e il sovrano cercava di fare il possibile. Era un Re che si sentiva vicino al suo popolo, anche se dimorava a tanti chilometri di distanza. Non mi soffermo sulla sofferenza che il Re ha patito durante l’esilio perché non credo che ce ne possa essere una più grande di questa. Lontano dalla patria che lo aveva visto nascere.
Mi vengono in mente i versi di una canzone di Sergio Endrigo: “Vorrei essere come un albero che sa dove nasce e dove muore”. Leggendo quel libro scoprii una notizia che mi sorprese molto. Una lettera che era stata inviata da un mottense al Re, nella quale lo ringraziava per gli aiuti economici ricevuti durante l’alluvione. Infatti il 4 novembre 1966, Motta di Livenza fu sommersa dalle acque dopo la rottura degli argini. Allora aveva solo sette anni e ricordo la disperazione dei miei genitori che perdevano ogni loro avere. Avevamo un negozio di alimentari ben avviato, una casa, e l’acqua invase ogni cosa. Per Motta di Livenza fu un doloroso momento e molti da quella crisi non riuscirono più a risollevarsi.
Il Re d’Italia tramite il suo ministro Falcone Lucifero aveva aiutato economicamente alcune famiglie.
Gli sarebbe tanto piaciuto accorrere personalmente a confortare queste persone. Questo atto di grande umanità non fu divulgato alla gente del paese, io dopo anni, venuto a conoscenza del fatto, informai i giornali e lo scrissi anche su un libro. Per me era ammirevole la figura di questo sovrano che volle condividere il dolore della gente colpita per questa calamità naturale. Un fatto analogo, successe nel dicembre del 1959, a Fréjus in Francia. Il settimanale Gente dello stesso periodo riportava una foto in cui appariva Re Umberto in compagnia del suo fedele Ministro che fanno visita ai luoghi dove avvenne l’alluvione.
Sotto la foto vi era scritto : “Umberto di Savoia, accompagnato dal marchese Falcone Lucifero Ministro della Real Casa si reca in visita ai sinistrati italiani della grande alluvione che ha travolto, la settimana scorsa, la cittadina della Costa Azzurra. Umberto, che era reduce da una visita alla tomba di sua madre Elena di Savoia a Montpellier, ha recato ai nostri connazionali un aiuto materiale e parole di conforto”. Anche in momenti così difficili, il dolore veniva alleviato dalla figura del sovrano.
Anche il mio paese, Motta di Livenza, avrebbe potuto essere visitato dal suo Re, Mi sono immaginato la tristezza del sovrano che non ha potuto essere presente. L’Italia non è mai stato in grado di riconoscere gli alti valori e la ricchezza morale di questo suo Re. La città di Motta e la cittadina di Fréjus non potranno mai dimenticare la testimonianza d’affetto manifestata da Re Umberto II.
La storia di un popolo è anche quella di onorare chi nel momento del dolore ha aiutato gli italiani a sopportare il peso della croce. Ho tra le mani quel libro che mi è così caro e il rileggerlo mi rende sempre felice come se fosse la prima volta. Mi consola questa citazione di un filosofo greco che dice: “Colui il quale soffre l’ingiustizia è meno infelice di colui il quale commette l’ingiustizia”.
Una notizia simile mi avrebbe distolto da ogni cosa. Per me Umberto II era il mio Sovrano, che avevo amato ancora di più, quando seppi che era stato costretto all’esilio da uno Stato che nulla aveva a che fare con la democrazia. “I Re non si mandano mai via”, aveva detto la maestra Cristina nel libro di Guareschi.
Anche nel film avevo amato la figura di quella brava maestra che aveva insegnato a leggere e a scrivere a tutto il paese. Una donna, che chiese che sopra la sua bara, vi fosse la bandiera del Re Umberto II. Con questo racconto Guareschi aveva commosso milioni di persone. Sin da piccolo mi rifugiavo nella lettura di racconti che parlavano del mio Re. Quel plico conteneva un libro che il Re mi aveva inviato dal suo esilio, all’interno la sua firma fatta con lo stesso colore con cui mi aveva dedicato una sua foto.
Ho sempre considerato questi suoi doni i più belli ed emozionanti della mia vita. Ero solo un povero studente che sognava di far tornare il Re dall’esilio, affinché potesse ritrovare la sua terra, la sua bella Italia. Un Re che aveva dedicato la sua vita per questa patria così ingrata e capace solo di infangare quel casato che aveva fatto l’Unità d’Italia. Il libro che mi inviò era stato scritto dal Ministro della Real Casa, Falcone Lucifero.
Raccoglieva anche delle lettere che gli italiani gli avevano scritto. Molti italiani chiedevano al Re un aiuto, e il sovrano cercava di fare il possibile. Era un Re che si sentiva vicino al suo popolo, anche se dimorava a tanti chilometri di distanza. Non mi soffermo sulla sofferenza che il Re ha patito durante l’esilio perché non credo che ce ne possa essere una più grande di questa. Lontano dalla patria che lo aveva visto nascere.
Mi vengono in mente i versi di una canzone di Sergio Endrigo: “Vorrei essere come un albero che sa dove nasce e dove muore”. Leggendo quel libro scoprii una notizia che mi sorprese molto. Una lettera che era stata inviata da un mottense al Re, nella quale lo ringraziava per gli aiuti economici ricevuti durante l’alluvione. Infatti il 4 novembre 1966, Motta di Livenza fu sommersa dalle acque dopo la rottura degli argini. Allora aveva solo sette anni e ricordo la disperazione dei miei genitori che perdevano ogni loro avere. Avevamo un negozio di alimentari ben avviato, una casa, e l’acqua invase ogni cosa. Per Motta di Livenza fu un doloroso momento e molti da quella crisi non riuscirono più a risollevarsi.
Il Re d’Italia tramite il suo ministro Falcone Lucifero aveva aiutato economicamente alcune famiglie.
Gli sarebbe tanto piaciuto accorrere personalmente a confortare queste persone. Questo atto di grande umanità non fu divulgato alla gente del paese, io dopo anni, venuto a conoscenza del fatto, informai i giornali e lo scrissi anche su un libro. Per me era ammirevole la figura di questo sovrano che volle condividere il dolore della gente colpita per questa calamità naturale. Un fatto analogo, successe nel dicembre del 1959, a Fréjus in Francia. Il settimanale Gente dello stesso periodo riportava una foto in cui appariva Re Umberto in compagnia del suo fedele Ministro che fanno visita ai luoghi dove avvenne l’alluvione.
Sotto la foto vi era scritto : “Umberto di Savoia, accompagnato dal marchese Falcone Lucifero Ministro della Real Casa si reca in visita ai sinistrati italiani della grande alluvione che ha travolto, la settimana scorsa, la cittadina della Costa Azzurra. Umberto, che era reduce da una visita alla tomba di sua madre Elena di Savoia a Montpellier, ha recato ai nostri connazionali un aiuto materiale e parole di conforto”. Anche in momenti così difficili, il dolore veniva alleviato dalla figura del sovrano.
Anche il mio paese, Motta di Livenza, avrebbe potuto essere visitato dal suo Re, Mi sono immaginato la tristezza del sovrano che non ha potuto essere presente. L’Italia non è mai stato in grado di riconoscere gli alti valori e la ricchezza morale di questo suo Re. La città di Motta e la cittadina di Fréjus non potranno mai dimenticare la testimonianza d’affetto manifestata da Re Umberto II.
La storia di un popolo è anche quella di onorare chi nel momento del dolore ha aiutato gli italiani a sopportare il peso della croce. Ho tra le mani quel libro che mi è così caro e il rileggerlo mi rende sempre felice come se fosse la prima volta. Mi consola questa citazione di un filosofo greco che dice: “Colui il quale soffre l’ingiustizia è meno infelice di colui il quale commette l’ingiustizia”.
Nessun commento:
Posta un commento