Ugo D'Andrea, senatore del PLI |
Nel
1914, in
presenza della prima guerra mondiale,
prese corpo in Italia un nazionalismo che non obbediva, rispetto all’irredentismo,
ai motivi di Matteo Renato Imbriani o di Cavallotti. Era un nuovo irredentismo
assai più realistico e più aderente ai fatti.
Ho
notato che non si cita mai, nel ricordo della prima guerra mondiale, il nome di
Rugero Fauro, che nei suoi «Scritti politici», pubblicati sull'«Idea
Nazionale», si richiamava sempre alla necessità di riconquistare le province Irredente, non solo perché esse ci venivano per diritto naturale, ma perché
andavano strappate all'usurpatore con la prova armata contro una nazione
straniera che ci opprimeva da secoli e teneva ancora alcune regioni della
Penisola in suo dominio.
Il
1911 fu l'annuncio della nuova epopea. Videro la luce in quell'anno libri
significativi come «L'ora di Tripoli» di Enrico Corradini, «Tunisí e Tripoli»
di Piero Castellini, «La terra promessa» di Giuseppe Piazza, mentre Giuseppe
Bevione sulla Stampa di Torino pubblicava alcune corrispondenze, in favore
della conquista, per ragioni di equilibrio nel Mediterraneo e nell'Adriatico.
Questo fu il carattere più proprio del Nazionalismo: l'ansia di assicurare
all'Italia le terre di oltremare, sulla sponda adriatica e su quella d'Africa.
Nascevano
in tutta la Penisola ,
tra il 1908 e il 1910, movimenti e giornali di tendenza nazionalista e
irredentista: il «Tricolore» a Torino, ove si era costituito un gruppo di
giovani attorno a Mario Viana, gruppo monarchico assai rigido nell'affermazione
del Principato e non indulgente verso una Monarchia socialista e pacifista.
Videro anche la luce «L'Italia all'estero» a Roma, «L'Italia nostra» a Torino,
«La Rassegna
contemporanea», la «Preparazione» del colonnello Barone (professore di economia
politica); il «Carroccio» con più sensibile impronta nazionalista, sempre a
Roma; «La grande Italia» a Milano; «La
Nave » a Napoli, in concomitanza con il dramma del grande
poeta pescarese e col motto «Arma la prora e salpa verso il mondo».
Si
pubblicava a Genova «L'Italia viva»; a Venezia «Il mare nostro»; a Firenze « La
prora ».
Contemporaneamente
usciva «La lupa» di Paolo Orano, che voleva conciliare nazionalismo e
sindacalismo, ed esplodeva il futurismo con la rivista «Poesia» di F. T.
Marinetti e il suo storico manifesto. Nato come movimento italo-francese per il
rinnovamento della poesia e dell'arte, il futurismo confluì nel nazionalismo e
proclamò la guerra «sola igiene del mondo». Un poema del milanese Paolo Buzzi
dal titolo «Aeroplani» era dedicato «a Trieste che riconquisteremo». Il passo
dal futurismo verso il patriottismo e l'irredentismo era stato breve e assai
rapido.
Tutti
i movimenti che confluivano nel nuovo pensiero della Nazione, come protagonista
della storia imminente, si riunirono a congresso nel dicembre 1910 a Firenze per tentate
di definire una dottrina e costituire un movimento politico.
Vi
erano uomini delle più diverse provenienze: venuti dal giornalismo, dalla
letteratura, dall'insegnamento, dal sindacalismo: così Giovanni Bertacchi,
Francesco Pastonchi e Arturo Colautti poeti; Giuseppe Piazza, Guelfo Civinini,
Maurizio Maraviglia, Diego Angeli, Goffredo Bellonci, Ezio Maria Gray, Luigi
Valli, Filippo Carli, Roberto Forges-Davanzati, Gualtiero Castellini, Paolo
Arcari, Alessandro Dudan, Alberto Caroncini scrittori. Senza dire dell'adesione
dei grandi come Pascoli, D'Annunzio, Alfredo Oriani, e dell'attiva
partecipazione dei maggiori, come Corradini, Federzoni e tutta la pleiade degli
scrittori dell'« Idea Nazionale » e, più tardi, di « Politica » diretta da
Alfredo Rocco e Francesco Coppola, i quali furono tra gli uomini di maggiore
ingegno e più compiuta disciplina ideale del tempo loro.
La
guerra di Libia veniva decisa da Giolitti nella nuova temperie politica che i
piccoli giornali, di cui abbiamo dato notizia e pullulanti in tutta la Penisola , documentavano.
Tra essi non abbiamo ancora ricordato la «Terza Italia» di Roma, la «Giovane Italia»
di Ancona, il «Cacciatore delle Alpi» di Varese. E ancora la «Ragione» e la «Fede
nuova» che rispecchiavano gli ideali e i Principì della «Trento e Trieste » e
invitavano i giovani ad andare, oltre, le coste dell'Adriatico, quelle
dell'Albania e della Dalmazia.
Alcune
centinaia di giovani obbedivano infine al richiamo di Garibaldi e si riunivano
in camicia rossa a Grottammare: che doveva essere la nuova Quarto.
Uno
di essi, Emilio Ricci di Torremaggiore, dedicava dei versi a Ricciotti
Garibaldi:
«
Sognammo, amici! In rigidi
volumi
d'oblio sparsi,
di
bellicose immagini
l'alma
poté saziarsi,
innanzi
ai nuovi palpiti
ogni
altro amor languia! ».
Con
questo animo il giovane Ricci si immolava nella grande prova della guerra
mondiale, ormai prossima.
In
data 28 luglio, Di San Giuliano, ministro assai stimato dal Re Vittorio
Emanuele III, presentava un memoriale compilato nel riposo di Fiuggi, dove
sosteneva la necessità di prepararsi all'azione bellica, sia che si volesse
attuare la conquista, sia per convincere la Turchia a cedere.
Le
difficoltà però venivano crescendo in campo internazionale. Si era raggiunto un
accordo, dopo l'apparizione del cacciatorpediniere tedesco Panther ad Agadir,
tra Francesi e Tedeschi per il Marocco. Con esso si diede soddisfazione alla
Francia che, dal 1902 ci diceva che potevamo andare in Libia. Il governo di Parigi
si aspettava da noi in cambio l'appoggio, che gli fu dato alla Conferenza di
Algeciras, nella soluzione della questione del Marocco. Ma, una volta ottenuto
il Marocco dalla Germania, la Francia
non si attendeva più nulla da noi e cominciava a credere che anche la Libia potesse essere
francese in presenza di un'Italia che non si decideva da due lustri a riempire
quel vuoto. Il governo di Londra e quello di Pietroburgo si mostravano infedeli
agli accordi con Roma.
Il
15 settembre 1911 Di San Giuliano, rivolgendosi ai suoi collaboratori della
Consulta, disse: - «Notate il giorno e l'ora: in questo momento decidiamo, in
seguito all'accordo fra Francesi e Tedeschi per il Marocco, la guerra di Libia!
» - E, lo disse a dei collaboratori, a dei funzionari che si chiamavano Di
Scalea, Della Torretta, Bordonaro e condividevano con entusiasmo le direttive
politiche del Ministro.
Contemporaneamente
il 20 settembre, a Roma, si svolgeva il Congresso della « Trento e Trieste », e
si scioglieva, fra l'entusiasmo spontaneo dei convenuti, al grido di «A
Tripoli, a Tripoli ».
Il
24 settembre 1911, il governo decideva la guerra, il 26 inviava l'ultimatum.
Proprio quel giorno il maresciallo Conrad Capo di Stato Maggiore austriaco -
consigliava al suo Governo, di opporsi all'azione italiana. E, se Vienna non
poteva opporsi immediatamente, Conrad proponeva di fare i conti subito dopo,
appena l'esercito italiano fosse impegnato in Africa.
Il
29 settembre l'Italia si trovava di fronte alla grande realtà della guerra:
prima prova della nostra generazione, che doveva affrontarne ben altre.
Si
viveva in tutta Italia nell'atmosfera gioiosa del cinquantenario dell'Unità. A
Palermo, fin dal 1910, si era inaugurato monumento alla Libertà per ricordare
l'unione della Sicilia all'Italia. Nel 1911 tre esposizioni si tennero in
Italia: una a Torino delle industrie, una a Firenze per il ritratto, una a Roma
per le Belle Arti; nel 1910,
a Torino, si celebrarono i cento anni della nascita di
Cavour. A Roma il 28 marzo si inaugurava, con l’esposizione, il monumento al
Padre della Patria a Vittorio Emanuele II.
Fra
parentesi: questo monumento pare oggi pesare sullo stomaco di molta gente. Si
dice che è troppo bianco e che bisogna liberare l'Aracoeli, restituendo alla
piazza le sue antiche dimensioni. A noi il monumento piace, e lo difenderemo
come retaggio della generazione che ha conquistato Roma all'Italia.
Prevediamo
che fra qualche anno si scopra (cosa possibile perché non si vede l'ombra di
una manutenzione, né ordinaria né straordinaria del monumento) che esso
«minaccia di crollare e costituisce un pericolo per la pubblica incolumità».
Qualcuno potrebbe decidere allora di demolirlo per ricostruirlo altrove.
Penso
che quando le generazioni dei combattenti del '15-'18 saranno prossime a
spegnersi o spente addirittura (fisicamente, intendo, ma speriamo di
sopravvivere nei giovani!) penso che
qualcosa di simile potrebbe avvenire in Roma ad opera di Governi cattolici memori
del 1870 o di ministri socialisti che hanno sempre avversato la Monarchia. Ma questo
appartiene all'avvenire. Per ora ricordiamo che il 28 marzo 1911 era presente a
Piazza Venezia il Re. Egli disse, in quei giorni, ai sindaci di tutta Italia:
«In questo Convegno nazionale, irresistibile e fervido esce dai nostri petti il
giuramento di render l'Italia più libera, più felice, più rispettata nel mondo
».
Era
un accenno molto esplicito agli avvenimenti che si sarebbero verificati.
Intanto D'Annunziò, il grande cantore delle Laudi, abbandonava le antiche
ispirazioni sensuali e visive (che avevano arricchito la letteratura italiana
del Canto novo, del Piacere, della Nave e di innumeri altre opere): il poeta
che avrebbe voluto sostituire le Canzoni d'Oltremare con dieci navi forgiate in
acciaio, brandiva con le sue mani la fiaccola della poesia civile commessagli
dal Carducci. Le Canzoni furono pubblicate
sul « Corriere della Sera » dall'8 ottobre al 7 dicembre 1911.
Di
San Giuliano temendo che la guerra alla Turchia avesse gravi conseguenze nei
Balcani e portasse alla rottura di tutto l'equilibrio europeo, scriveva allora:
- «Vivo l'incubo di una conflagrazione europea come la Terra non ne ha mai vedute
di uguali ».
Quindi
la guerra già si avvertiva alla guisa dei movimenti tellurici, dei cicloni, dei
grandi cataclismi terrestri. Soltanto uomini eccelsi hanno il potere presagire
il futuro. L'Italia, con le sue forze più giovani, si lanciava incontro
all'avvenire per rivivere una età di grandezza quali aveva avute solo in tempi
assai lontani.
Nel
I volume dell'opera di Churchill, dedicata alla «Crisi mondiale» (opera che ha
maggior valore dell'altra, più vasta sulla seconda guerra) ho letto che il 24
luglio 1914 il Gabinetto inglese era riunito a discutere l'eterno problema
irlandese, il quale si trascinava da oltre un secolo.
Si
discuteva ormai soltanto della estensione di due Parrocchie, la parrocchia di
Felmenet e quella di Tyrou: dal loro tracciato sembrava ormai dipendere la pace
fra Inglesi e Irlandesi, e quindi la responsabilità di una ripresa della guerra
civile. La riunione stava per essere chiusa, in quel tardo pomeriggio, per la
stanchezza di tutti i convenuti, quando arrivò un dispaccio che fu consegnato a
Sir Edward Grev, Ministro degli Esteri. Questi, con flemma britannica, ma con
voce grave, lo lesse al Consiglio dei Ministri. Era il documento dell’ultimatum
dell'Austria alla Serbia: era l'annuncio della guerra mondiale.
In
Italia il Governo di Antonio Salandra succeduto il 28 marzo del '14 al Governo
Giolitti era cominciato male, con un episodio di guerra civile, spettacolo
spesso ricorrente in Italia: la settimana rossa, capeggiata da uomini che poi
si schierarono per l'intervento italiano a fianco della democrazia. Si erano
costituite delle repubblichette comunali, si erano piantati con secoli di
ritardo, gli alberi della libertà…
Sento
dire spesso da molti amici: « In Italia non ci sono pericoli, non succede mai niente».
E’ sono in grave errore. L’Italia è il
paese europeo più dedito alla guerra civile come è il più restio ad accettare i
grandi conflitti esterni per le fortune ed il prestigio della Nazione. Queste
sono verità e non mi accusate di abbandonarmi al pessimismo. Nella storia delle
“Rivoluzioni d’Italia” di Giuseppe Ferrari ( che fu recensita più di un secolo
fa da Ernesto Renan troviamo una dolorosa statistica: In circa un millennio ci
son state nella nostra penisola 7200 rivoluzioni con settecento massacri per
effetto della guerra civile”.
E’
questo forse il motivo per cui noi sentiamo più le contese intestine che i
conflitti fra Potenze. Il 1Maggio del 1914 vi furono gravi lotte tra Italiani e
Sloveni a Trieste e apparve chiaro che
la polizia austriaca difendeva gli Sloveni
contro gli Italiani in quella città interamente italiana.
La
nostra situazione era paradossale. Avevamo
due alleati, Austria e Germania ma un unico nemico contro il quale eravamo destinati
a combattere: l’alleato Austriaco.
Giuseppe
Garibaldi scrisse fin dal 1877
a un suo fedele: «Prepariamo
l'Italia, alla guerra inevitabile che
essa dovrà sostenere contro l'Austria, nella quale si tratterà di essere o non
essere per molti secoli». Questo era il pensiero di Garibaldi; con tutto ciò la Triplice ha potuto durare
dal 1882 al 1914 come un sistema di difesa dalla grossa pressione dei Francesi e
Inglesi nel Mediterraneo.
L'alleanza
di Roma con gli Imperi Centrali non era che una controassicurazione.
Ma
nello stesso tempo l'Italia sempre fertile di espedienti diplomatici, nel 1887
fece un patto con Francesi, Inglesi e Spagnoli per la sicurezza nel
Mediterraneo, così come nel 1909 il Re Vittorio Emanuele III firmò una
convenzione, in cinque punti, con lo zar Nicola II. La famosa Triplice restò
per noi soltanto uno schermo difensivo, mentre pensavamo a garantirci contro le
aspirazioni delle potenze marittime scese in Tunisia e in Egitto. La costante
marittima è fondamentale per noi. L'Italia ha una sola possibilità di alleanza:
quella con le potenze marittime, perché abbiamo 8.000 km . di coste da
difendere.
Noi
nel 1855 vincemmo, insieme con i Francesi e gli Inglesi, la guerra di Crimea
perché eravamo alleati con le potenze marittime; nel 1915-18 abbiamo vinto,
modificando il sistema delle alleanze, perché ci schierammo con le potenze
marittime. Abbiamo perduto la guerra 1940-45 perché abbiamo creduto di poter
rovesciare con un colpo di forza il predominio delle potenze marittime.
Il
24 luglio del 1914 si trovavano a Fiuggi, nel salotto del marchese Di San Giuliano,
Salandra e l'Ambasciatore tedesco Von Flotow. Dalla Consulta un funzionario
avvertì che era arrivato il testo dell'ultimatum di Vienna alla Serbia. Quel
funzionario dettava l'ultimatum al telefono; mentre un Segretario, nel salotto
di Di San Giuliano trascriveva e rileggeva, frase per frase, ai presenti. Tale
lettura - scrive Salandra nel suo libro sulla «Neutralità» - scolorocci in viso. L'Ambasciatore
tedesco esclamò: «Vraíment c'est un peu fort!».
La
guerra apparve a tutti inevitabile.
Salandra
ha lasciato due volumi (purtroppo non ha fatto altrettanto Sonnino) sulla
neutralità e sull'intervento. Egli descrive con molta esattezza gli obblighi
che noi avevamo e quelli che non avevano soprattutto in base all'articolo 7 del
Trattato della Triplice.
Ma
immediatamente, già nel momento in cui si prospettava il conflitto, la sua
opinione era ferma su quello che si sarebbe potuto e dovuto fare.
Egli
enuncia le molteplici ragioni della neutralità e poi dell'intervento a fianco
dell'Intesa.
Il
sentimento pubblico italiano sarebbe stato, in ogni caso, più che mai avverso
ad una solidarietà con l'Austria che ci spingesse a partecipare con il sangue
dei nostri soldati ad una guerra indetta da Vienna nel proprio esclusivo
interesse, come stava avvenendo. Salandra ricorda i motivi che imponevano
all'Italia di seguire una certa via: e non erano soltanto motivi sentimentali o
storici quali l'irredentismo e la tradizione del Risorgimento.
Il
sentimento pubblico tendeva ad una calma valutazione dei nostri vitali
interessi. La sopraffazione della Serbia, con o senza diminuzione territoriale,
il ridurla - come si voleva al vassallaggio. significava la definitiva egemonia
dell'Austria e per essa la trionfale invasione del germanesimo nella penisola
balcanica. Perduta per noi ogni possibilità di espansione, perduto
commercialmente e militarmente l'Adriatico. In Germania, è vero, prevaleva
nelle alte sfere della politica e della cultura il presentimento del tramonto e
dell'inevitablie sfacelo della duplice Monarchia, condannata ormai come un
organismo statale ibrido e decadente; ma i Tedeschi intendevano assicurarsene
direttamente o indirettamente il retaggio, attraverso costellazioni di minori
Stati asserviti all'Impero dominante e zone territoriali destinate alla più o
meno totale assimilazione da parte della razza superiore.
La prima parte è consultabile al seguente link:
http://monarchicinrete.blogspot.it/2015/06/la-grande-guerra-conferenza-di-ugo.html
http://monarchicinrete.blogspot.it/2015/06/la-grande-guerra-conferenza-di-ugo.html
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