NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 25 aprile 2025

Saggi storici sulla tradizione monarchica - XIV

 

L'ESPANSIONE COLONIALE.

Il successore di Vittorio Emanuele Il, Umberto I, sali al trono paterno riaffermando i motivi conduttori della politica di alleanza con gli ispiratori del risorgimento e delle libertà statuarie. Ormai il regno d'Italia era cosa compiuta, si trattava di rafforzarlo e soprattut

to di affrontare quei gravi problemi che i tempi ponevano all’ attenzione dei governi.


Il rapido svolgersi degli avvenimenti, non aveva dato tempo a vittorio Emanuele di maturare taluni aspetti del processo di unificazione durante il quale alla vecchia classe dirigente subalpina si era a poco a poco sostituito un coacervo di individui e di indirizzi i cui fini non sempre coincidevano con i dettami della politica sabauda, e l'astensione dei cattolici dalla vita politica togliendo al trono quello che avrebbe potuto rappresentare un valido sostegno, rafforzava la necessità di stringersi alle correnti moderate contro coloro che nel risorgimento avevano perseguito più un ideale rivoluzionario che una meta di potenziamento nazionale. Insomma necessitava una revisione di atteggiamenti, che non avevano più ragione di sussistere e che a lungo andare avrebbero potuto rivelarsi estremamente pericolosi, per portare l'Italia fuori dell'isolamento politico in cui si era ridotta. Questi fini furono raggiunti con la prima adesione alla Triplice Alleanza stretta fra Austria, Italia e Germania.

 

Opportuna sembrava anche un'espansione coloniale in Africa, anche per controbilanciare l'influenza francese nel Mediterraneo e nel 1885 l'Italia occupava il suo primo territorio africano: Massaua sul Mar Rosso; si tentò in seguito di approfittare dello stato di confusione

 

generatosi in Abissinia per la successione del Negus Giovanni e il ministro Crispi riuscì ad estendere l'occupazione all'altopiano di Keren e di Asmara e successivamente a firmare col potente Menelik il trattato di Uccialli con cui questo accettava il protettorato italiano; altre concessioni si ottennero da piccoli sovrani locali e nacque così la Colonia Eritrea, primo successo della politica coloniale italiana.

 

La situazione interna non era però tranquilla, i primi moti italiani a carattere socialista cominciavano a manifestarsi dove le condizioni di vita più disagiate favorivano il malcontento e la volontà di ribellione delle popolazioni incolte, facile preda della demagogia e della rivoluzione; in Sicilia sorsero i fasci dei lavoratori nella fine del 1893 ed il governo dovette ricorrere alla forza, altre manifestazione si ebbero in Italia e fino a Carrara; il sovversivismo socialista cominciava a fare i primi proseliti.

 

Intanto il subdolo Menelik tentava in Abissinia di sottrarsi ai patti giurati, ribellandosi al protettorato italiano; il contrasto diplomatico, alternato a scaramuccie scoppiò presto risolvendosi in una guerra Iniziata con l'occupazione del territorio dell'infido ras Mangascià, governatore di Tigré, che provocò entro l'anno, nel dicembre 1895 un assalto di Menelik con centomila guerrieri. Il 7 cadde la piccola colonna di duemila uomini del Maggiore Toselli massacrata sull’Amba Alagi, poi l'orda sommerse il piccolo presidio del forte di Makallè comandato dal Maggiore Galliano resistette quaranta giorni, riuscendo a salvare la situazione. Il governatore, generale Barattieri

 

che fino ad allora si era tenuto sulla difensiva

anche per le difficoltà pratiche che intralciavano le operazioni, spinto dal governo e dall'opinione pubblica italiana decise l'avanzata per incontrare il nemico ad Adua, il 1 marzo 1896; la battaglia fu un disastro per le truppe italiane sopraffatte dagli abissini: duemila furono

i prigionieri, più del doppio i morti.

         

 

In Italia il ministero Crispi che     l'impresa coloniale

aveva voluta e attuata, cadeva sotto il peso dell'indignazione pubblica.

 

 

 

 

Il marchese di Rudini successo al Crispi nel governo concluse la pace rinunciando al Tigre e al protettorato e restringendo il territorio italiano all'Eritrea.

 

La sconfitta militare peggiorava la situazione politica, dall'insuccesso traevano forza i partiti sovversivi che delle libertà statuarie si servivano nei tentativi di distruzione dello stato stesso; la rivoluzione si annidava ora nel nord e le paurose sommosse costrinsero il parlamento ad affidare il governo al generale Pelloux e a votare delle leggi restrittive delle libertà, ormai convertite in licenziosi tentativi di sovvertimento politico e sociale; pure le elezioni del 190o portavano il numero dei deputati socialisti da 16 a 33 e fra loro ve ne erano alcuni a cui l'immunità parlamentare apriva le porte delle galere in cui i loro delitti li avevano gettati.

 

Di fronte alla grave situazione poco potettero le buone intenzioni del Re impedito dai legami costituzionali a porre rimedio a tanti danni.;

 

la Monarchia aveva avvinto più forte a se gli animi dei cittadini, anche per opera della bella e affascinante Regina Margherita, ma i sovversivi rifugiati sotto le garanzie costituzionali potevano in pratica portare a compimento indisturbati i loro piani che provocavano un senso di smarrimento e di disagio nel paese.

 

Di questo stato di cose fu vittima Umberto I; già in passato aveva subito due attentati: uno a Napoli nei primi mesi di regno e uno a Roma nel 1897 e sempre era sfuggito al pugnale dei sicari. La terza volta la rivoltella dell'anarchico Gaetano Bresci gli fu fatale, troncando la sua vita a Monza il 29 luglio 1900; come non pochi dei suoi  avi, il Re Buono fu vittima della rivoluzione. (*)

 

Il successore e figlio di Umberto I, Vittorio Emanuele III non credette di reagire con energia all'ondata. rivoluzionaria che investiva la nazione; pensò che una politica più rigida avrebbe inasprito gli animi e le situazioni, e preferì non intralciare l'opera di inserimento delle     masse che i ministri, soprattutto il piemontese Giovanni Giolitti, andavano realizzando. Le riforme sociali proseguirono, anche se talvolta rappresentarono più che espressioni di umana comprensione per gli umili, dei pericolosi esperimenti politici che non raggiunsero il loro scopo di svuotare di contenuto le istanze delle sinistre socialiste.

 

Le migliorate condizioni generali della situazione interna e il prestigio estero, rafforzato dal rinnovo della triplice alleanza, permisero però il proseguimento dell'espansione coloniale, che la disfatta di Adua aveva tragicamente e bruscamente troncato. La breve guerra di tredici mesi, condotta dal settembre del 1911 all'ottobre del 1912 dall'Italia contro la Turchia si chiuse con il trattato di Losanna per il quale la Tripolitania e la Cirenaica passarono all'Italia, che dal canto suo promise di sgombrare le isole del Dodecanneso nel Mare Egeo che erano state occupate durante le operazioni belliche; in realtà anche per il sopravvenire della guerra mondiale, in cui la Turchia si trovò contro l'Italia, le isole Egee non vennero più abbandonate.

Si chiuse così il primo cinquantennio di vita del regno d'Italia festeggiato con solenni cerimonie e con la grande esposizione di Torino; molti problemi sembravano risolti e molti altri avviati a soluzione; la vittoria e la conquista libica rendevano gli animi fiduciosi in giorni migliori, mentre tutta l'Europa stava per essere travolta in una terribile tempesta.

 

(*) La morte di Umberto I commosse tutta l'Italia ed al grave lutto partecipò anche l'Episcopato che fece celebrare. ovunque solenni funerali. Famoso restò soprattutto l'atteggiamento del Vescovo di Cremona, monsignor Geremia Bonomelli che superando gli intralci posti dalla questione romana, ancora aperta, rese pubblica una preghiera composta in quella circostanza dalla Regina Margherita non «sottrarre al popolo religioso un esempio luminosissima di fede, di pietà e di fortezza cristiana, piuttosto singolare che raro». Il Cardinale Ferrari, Arcivescovo di Milano e parecchi Vescovi, accorsero a Monza, a benedire dire la Salma, che come quella di Vittorio Emanuele II fu tumulata con solennissima pompa nella Basilica del Pantheon, in un monumento costruito in in faccia a quello del Padre della Patria.

Nessun commento:

Posta un commento