di Emilio del Bel Belluz
La notizia della morte di S.A.R. Vittorio Emanuele IV, Principe di Napoli mi colse all’improvviso, mi trovavo in un ufficio postale a chiedere se il libro che gli avevo spedito fosse arrivato. Improvvisamente squillò il telefono, e il mio amico Ado mi comunicava la scomparsa di S.A.R. Vittorio Emanuele di Savoia. Pensai subito alla strana coincidenza. Il libro è un romanzo che ho scritto e che riguarda la fedeltà di un giovane italiano verso i valori di riferimento di un tempo. Il volume è stato dedicato al Principe. Da qualche giorno avevo saputo che era ricoverato in ospedale a Ginevra. Nel mio cuore avevo deciso di fargli una sorpresa per il suo Genetliaco e quello della moglie, la principessa Marina di Savoia. La mia speranza era quella che il libro potesse arrivare a destinazione per questo evento. All’interno vi avevo posto degli articoli scritti sul “ Piave “, e dedicati a Casa Savoia. Alcuni mesi fa gli avevo mandato un santino che un caro amico aveva stampato: era dedicato a San Leopoldo Mandic’ e alla Regina Elena. Avevo saputo che lo aveva ricevuto, e mi sembrava d’aver fatto una cosa bella. Nella parte dedicata a San Leopoldo vi avevo riportato delle parole a lui tanto care: “ Fede abbiate fede. Dio è medico e medicina.”. Speravo che leggendole, la malattia che stava affrontando, venisse alleviata. Nel mio cuore nutrivo il pensiero che il santino di San Leopoldo e della Regina Elena gli fosse di compagnia e che lo avesse collocato sul comodino. Con la tristezza nel cuore volli recitare una preghiera, come di solito si fa per le persone care che ci vengono a mancare. Seppi che aveva vicino a sé la moglie e il figlio S.A.R. Principe Emanuele Filiberto di Savoia. La morte è più dolce per le persone che hanno la fortuna d’avere vicino la famiglia. Quarantuno anni fa moriva sempre a Ginevra, il Re d’Italia suo padre, e il dolore che provai, lo ricordo come se fosse oggi. Il destino volle che il cielo sotto cui morirono, fosse svizzero. La notizia della morte del figlio di Re Umberto II fu data alla televisione e mi aspettavo dei commenti consoni ad una persona la cui famiglia fece l’unità d’Italia, e la cui storia fu millenaria. Quello che vidi invece mi fece male, da italiano e da monarchico: il Principe fu fatto vedere con le manette ai polsi, nonostante fosse stata dimostrata la sua innocenza per i reati a lui imputati e per cui lo Stato italiano aveva pagato migliaia d’euro di risarcimento. Tale somma fu poi devoluta in beneficenza, a dimostrazione del suo cuore buono. Un’ altra cosa che mi rattristò è che non si facesse cenno al suo titolo di Principe. Constatai che la parola rispetto non apparteneva più a questo Paese. Il mancato riconoscimento del suo titolo l’ho considerato una grande offesa fatta a quelli che hanno mantenuto la fedeltà a Casa Savoia negli anni. Uno dei più grandi maestri del Diritto, l’avvocato e giurista Francesco Carnelutti diceva che: “ L’Italia è la culla del diritto, e la tomba delle giustizia”. Dai media, invece, risultò che l’Italia fosse diventata la culla dell’odio e del fango. La morte di un Savoia non poteva essere trattata in questo modo ignominioso. Anche i giornali che si considerano conservatori, quali il Giornale diede a un suo articolo il titolo: “ L’ultimo “non Re d’Italia” e il quotidiano Libero s’è espresso così: “ La nuova erede al trono che non c’è” . Quello che mi fece più male è essere stati feriti dal fuoco che si intendeva amico. Il mio pensiero andò ai grandi giornalisti di una volta e a cosa avrebbero scritto. Credo che il grande Indro Montanelli non avrebbe mai permesso una cosa simile, come pure i compianti scrittori Mario Cervi e Giorgio Torelli. Pensai allo scrittore Giovannino Guareschi che avrebbe preso la sua penna e si sarebbe scagliato contro quello che è accaduto. La vita di Giovannino Guareschi fu sempre fedele e leale a Casa di Casa Savoia. Di sicuro si sarebbe battuto a spada tratta. I tempi cambiano in peggio, e tutti siamo diventati dei giudici irriverenti ed irrispettosi. Successivamente pensai al periodo storico che cambiò la vita di Sua Maestà Vittorio Emanuele IV. L’Italia aveva appena ultimato il referendum che doveva scegliere tra la repubblica e la Monarchia. Vinse la repubblica con uno scarto minimo, ma come si venne a conoscenza ci furono dei brogli elettorali. Il Re Umberto II decise che non si spargesse del sangue per Casa Savoia, si pensi che a Napoli ci furono ben 9 morti tra i monarchici. Pertanto il Principe, da bambino, dovette imbarcasi da Napoli con la sua mamma e le sue sorelle, nel 1946. Quel bambino che fin poco prima aveva giocato con i suoi amici, ignaro di quello che stava accadendo, se ne andava in esilio. Una parola che il suo vocabolario non contemplava, ma che era come un sigillo che lo avrebbe segnato per sempre. Da quel giorno rimase in esilio per 57 anni, un periodo che segnò tutta la sua esistenza. L’esilio fu una delle pene più terribili imposta dalla repubblica democratica italiana a tutti i discendenti maschi di Casa Savoia che cessò solo nel 2003. Ma i mezzi di comunicazione non hanno mai sottolineato questo aspetto della sua vita. La Chiesa non ha mosso un dito per omaggiare il Re Umberto II che donò la Sacra Sindone al Papa. Il Principe Emanuele Filiberto, dopo la morte del padre, è stato intervistato alla televisione e ha pronunciato delle parole molto commoventi sulla figura del genitore che lasciavano trasparire il grande affetto che lo univa a Lui. Lo considerava come la persona più importante, come un maestro, come un confidente al quale rivolgersi nei momenti difficili della sua vita. Era una quercia alla quale ci si aggrappa nelle tante tempeste dell’esistenza. Ma ora sarebbe rimasto solo, senza un timone che indirizzasse il suo percorso umano. La vita di S.A.R. Vittorio Emanuele Filiberto è stata come quella del padre, vissuta nell’impossibilità di poter andare nella terra dei propri avi. Il cielo dove era nato non aveva gli stessi colori della patria, dove la sua famiglia era nata e vissuta. Ricordo che lo vidi in Francia durante una commemorazione della morte del nonno Re Umberto II. Era vicino al padre e salutava dando la mano a tutte le persone che erano venute. Un’ immagine che mi fece capire l’amore e la pazienza che aveva per il suo Paese. Quella volta mi sarebbe piaciuto dirgli di salire con noi in pullman e venire in Italia. Quel suo volto così sereno non l’ho mai dimenticato. La morte di S.A.R. Vittorio Emanuele di Savoia mi ha fatto veramente male. Dal terrazzo della mia casa ho esposto la bandiera dei Savoia a mezz’asta: volevo ricordare la mia immutata fedeltà verso Casa Savoia. Garriva al vento: un saluto a chi se n’é andato. L’altra sera mi venne in mente un quadro che ho nella mia casa. Ritrae dei filari di meravigliosi pioppi che costeggiano il fiume, donando ombra al viandante. In questa terra così bella è raffigurato anche un vecchio pescatore che aveva adagiato la lenza nel corso d’acqua, speranzoso di catturare qualche preda. La scena è molto emozionante e mi fece pensare alla passione per la pesca che aveva la regina Elena. Da cattolico pensai che il Principe avrà raggiunto la sua famiglia, abbracciato suo padre e sua mamma, ma si sarà visto anche con la Regina Elena che gli avrà proposto di accompagnarla a pescare tra la quiete dei pioppi e il mormorio del fluire delle acque. Con la morte di S.A.R. Vittorio Emanuele IV si chiude un capitolo importante della storia italiana e grande ed impegnativa è l’eredità spirituale che rimarrà a suo figlio S.A.R. il Principe Emanuele Filiberto Duca di Savoia e Principe di Venezia.
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