NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 19 novembre 2023

Saggi storici sulla tradizione monarchica - II

 

2) TEODORICO E LA ROMANIZZAZIONE DEI BARBARI.

Il regno di Odoacre non doveva però essere lungo e ben presto venne messo in pericolo dall'invasione dei goti. Il loro re, Teodorico degli Amali, figlio di Teodemiro capo degli ostrogoti; aveva vissuto lungo tempo alla corte imperiale di Costantinopoli quale ostaggio, dopo che l'imperatore Zenone in cambio della, pace aveva concesso la Mesia come pacifica sede di quei barbari nomadi, e a quella corte aveva imparato a conoscere l'animo e gli usi bizantini, nei loro segreti

enelle loro debolezze.

Nell'autunno del 488, Teodorico a capo di un grande esercito mosse verso l'Italia, ove giunse nel luglio dell'anno seguente; subito la lotta fra Teodorico e Odoacre, volse a favore del primo, che aiutato infine dai visigoti di Alarico II riuscì a battere Odoacre sull'Adda obbligandolo a rifugiarsi nelle mura di Ravenna, ove resistette per tre anni. Nel febbraio del 493, Odoacre si arrese, chiedendo almeno di aver salva la vita, ma Teodorico lo uccise, forse a tradimento come vuole lo storico Procopio.

Il regno di Teodorico, che si distinse nettamente da quello di ogni altro capo germanico, ebbe aspetto giuridico simile a quello di Odoacre. Anche egli si considerò re soltanto nei riguardi dei suoi barbari e delegato dell'imperatore bizantino per il governo d'Italia, «Il mio regno — egli scrisse umilmente all'imperatore Anastasio I — è un'imitazione del vostro». E secondo queste teorie egli si regolò non facendo

 

coniare monete col suo nome e legiferando per mezzo di edicta vale­voli solo per l'Italia; infatti al solo Imperatore spettava di imprimere l’effige sulle monete ed emanare leggi valevoli per tutto l'Impero.

Benché barbaro, Teodorico comprese la grande forza morale che si sprigionava dal concetto della romanità e benché ariano, cioè segua­ce di un'eresia orientale che aveva molti credenti fra le popolazioni di origine gota, nei primi anni del suo regno visse pacificamente con le popolazioni cattoliche avendo anche rapporti con il Sommo Pontefice che a Roma, con la sua alta autorità suppliva in parte all'abbandono in cui la città eterna era lasciata dall'Imperatore lontano; suoi ministri furono i romani Cassiodoro e Boezio uomini imbevuti di cultura clas­sica che in senso romano indirizzarono tutta la sua politica. Teodorico andò anche a Roma, dove ricevuto da Papa Simmaco pregò sulla tomba di S. Pietra, parlò al popolo e fece restaurare il palazzo imperiale sul Palatino.

Le sue leggi, riunite nel cosiddetto Editto di Teodorico, ci fornisco­no un quadro preciso della sua politica tutta volta a romanizzare l'ele­mento barbarico ed a colmare i solchi esistenti fra popoli e costumi tanto diversi, politica squisitamente conservatrice, tendente a sal­vaguardare la civiltà romana, ponendola al riparo delle spade gotiche.

Questo atteggiamento saggio del re barbara, fu però compromes­so dagli ultimi anni di regno, nei quali divenne dispotico e crudele; per reazione a un editto che l'Imperatore Giustino emanò nel 523, con­tro gli eretici, fra i quali erano compresi anche gli ariani suoi correli­gionari, Teodorico iniziò una politica di repressione contro l'elemento romano e cattolico. Vietò ai romani l'uso degli anni e ingiustamente fece mettere a morte il console Albino ed il suo magister offtciorum Manlio Anicio Torquato Severino Boezio che ne aveva preso le difese; vittima del suo furore fu anche Quinto Aurelio Simmaco, capo del Se­nato e suocero di Boezio.

Nel 525, obbligò il papa Giovanni I a recarsi a Costantinopoli per intervenire in favore degli ariani presso l'Imperatore, minacciando di distruggere i cattolici in Italia. Il Papa partì accompagnato da tre vescovi e da quattro patrizi romani e fu ricevuto solennemente a Costantinopoli; egli non potette però chiedere all'imperatore Giustino concessioni che ripugnavano alla sua coscienza e l'esito della sua mis­sione non soddisfece il barbaro Teodorico che, rientrato il Pontefice a Ravenna, lo fece gettare in una prigione ove pochi giorni dopo, que­sti morì per gli strapazzi e i maltrattamenti sofferti.

Il 30 agosto del 526 morì Teodorico; la tradizione popolare ha cir­condato la sua fine di leggende strane e terribili. Secondo alcuni fu rapito da un cavallo diabolico che lo precipitò nel vulcano dello Strom­boli, altri narrano che fosse colpito da violenta febbre, sembrandogli che la testa di un pesce smisurato, servito alla sua tavola, si tramutas­se in quella del Senatore Simmaco che egli aveva fatto crudelmente uccidere.

Queste leggende, che ci danno una misura dell'orrore suscitato dagli ultimi atti di questo Re, che pure aveva avuto dei meriti, leando il suo nome ad opere migliori, si propagarono nel medio evo e furono riportate da molti autori, anche illustri, ma tutti riconobbero che senza le atrocità che ne macchiarono gli ultimi anni, Teodorico avrebbe potuto conquistare la fama di grande sovrano e di insigne legislatore e politico.

Il suo successore Atalarico, che regnò otto anni, sotto la reggen­za della madre Amalasunta, figlia di Teodorico, morì nel 534 consunto dai vizi e la superstite Amalasunta, nel tentativo di salvare la monar­chia dal crollo, sposò il suo ambizioso cugino Teodato che così diven­ne re. Dopo qualche tempo, Amalasunta venne allontanata dalla corte e relegata in un'isoletta del lago di Bolsena, ove fu misteriosamente strangolata, vittima forse di alcuni principi goti e del suo stesso sposo.

In oriente, era intanto salito al trono Giustiniano, nipote dell'im­peratore Giustino, che nell'intento di riconquistare l'Italia, mosse guerra a Teodato per vendicare la morte di Amalasunta. La guerra fu lunghissima e sanguinosa e fu condotta dai generali bizantini Be­lisario e Narsete; attraverso varie vicende, Belisario riuscì ad entrare in Roma nel 536 e, in seguito, a far prigionieri in Ravenna Vitige, che era succeduto a Teodato, con la moglie Matasunta, ma nel 546 il re goto Totila conquistava Roma dopo un lungo assedio. Dopo un anno Belisario ritolse Roma ai goti e tornato a Costantinopoli fu sostituito da Narsete, che al suo arrivo trovò i Goti nuovamente padro­ni della città eterna; con diverse battaglie i barbari furono piegati dal generale bizantino; nella battaglia di Tagina trovò la morte Totila (luglio 552), ed in quella del monte Lattaro, il suo successore Teia. (marzo 553). Narsete entrato in Roma, vi edificava la Basilica dei Santi Apostoli, a perpetuo ricordo della cacciata dei Goti dall'Italia.

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