di Emilio Del Bel Belluz
In paese era finalmente arrivata la nuova maestra. Il parroco fu il primo che la accolse, e la perpetua volle farla accomodare in canonica perché si potesse rinfrescare, dopo il lungo viaggio in treno. La perpetua venne sorpresa dai suoi modi gentili. Era la prima volta che si allontanava da casa per andare ad insegnare. La maestra Silvana, dopo il conseguimento del diploma magistrale, aveva insegnato a Brescello, il paese dove era nata venticinque anni fa. Silvana si sentiva davvero molto stanca, ma non osava chiedere di potersi ritirare.
La perpetua le faceva molte domande sul suo passato. Con molta fatica rispondeva, cercando d’essere molto precisa, e di non far trasparire la sua poca conoscenza della vita. Poi suonò alla porta Genoveffa che, nel frattempo, era stata avvertita dal sacrestano che in paese era giunta la nuova maestra. Genoveffa in quei giorni aveva messo in ordine la casa, e aveva fatto dipingere la stanza dove avrebbe dormito la maestra.
La camera era piuttosto grande, vi aveva collocato un tavolo con una sedia e un piccolo scaffale in legno di quercia che gli aveva fatto il falegname del paese con delle vecchie assi, avanzate da un precedente la lavoro. La perpetua andò ad aprire e la maestra appena la vide, le sorrise e ciò faceva ben sperare che tra loro due si potesse intessere un legame d’affetto. La giovane Silvana le strinse la mano e, poco dopo, preso il suo piccolo bagaglio che si era portata dal paese, si avviò con Genoveffa verso la sua casa. Per la strada Silvana confidò le sue aspettative da questa nuova esperienza di vita.
La maestra ringraziò Genoveffa per l’ospitalità offertale. Dopo che vide la sua stanza, con impeto, Silvana abbracciò Genoveffa per dimostrarle la sua riconoscenza. Per cena Genoveffa aveva preparato delle pietanze ricercate e mi aveva fatto recapitare degli assaggi tramite un ragazzo che si era offerto di farle il piacere. Quella sera Genoveffa non si sarebbe recata da Vittorio e questo la rammaricava. Da tempo ero abituato a vederla per l’ora di cena e quella sera mi sentii solo. Venni preso dalla tristezza, avrei voluto andare a trovare Elena, ma era ormai tardi, e avevo passato la giornata a solcare il fiume per trasportare delle merci per un cliente che mi aveva pagato molto bene. La stanchezza s’impadronì di me. Prima di dormire lessi qualche pagina di un libro che parlava di un pittore che dipingeva lungo il fiume. L’artista viveva in un mulino vicino al fiume.
Da bambino aveva sempre avuto la passione per il disegno al quale dedicava molto del suo tempo. Una delle sue passioni era quella di ritrarre delle madonne che vedeva nella chiese, ed altre immagini sacre che trovava sui santini che il parroco ogni tanto gli donava. Il padre era convinto che disegnare equivalesse a perdere tempo, e che questa sua passione lo distoglieva dal lavoro al mulino di famiglia.. Il suo interesse per il disegno era tale che anche alla luce della luna vi si dedicava. Gli bastava un foglio di carta e un mozzicone di matita per fare delle cose davvero notevoli.
Questi disegni poi li appendeva nella casa, e al mulino. La gente lo considerava una persona poco affidabile perché il disegnare non era considerato un vero lavoro. Il parroco del paese gli aveva fattore restaurare alcuni quadri che da anni erano rimasti in una soffitta. Il giovane aveva svolto un lavoro certosino ottenendo un ottimo risultato, tanto che il parroco si sentì in dovere di pagarlo e di voler parlare a suo padre sul futuro del ragazzo. Il curato era un vecchio che aveva imparato molto dalla vita. Era stato un cappellano militare, ed era fiero delle sue posizioni conservatrici. Alla sera fece cucinare alla perpetua della selvaggina, e incaricò il sacrestano di acquistare tre bottiglie di vino, ma ne consegnò solo due. Il parroco sapeva che l’uomo sorseggiava volentieri qualche goccio di vino e s’era accorto che il vino usato durante la santa messa era annacquato. Il padre del pittore arrivò presto all’appuntamento, e la perpetua lo fece accomodare. Il parroco giunse poco dopo come una furia. Salutò il padre del pittore e iniziò a parlare, dicendogli che il figlio andava incoraggiato nella pittura, bisognava fargli fare una scuola d’arte, affinché la sua dote non dovesse perdersi. Il giovane doveva studiare, sarebbe stata una follia non farlo.
Il padre volle essere sincero e gli disse che le braccia del giovane erano molto utili al mulino e non se ne poteva fare a meno. L’alternativa era quella di studiare come autodidatta ma la cosa non convinse il sacerdote, che dopo la lauta cena lasciò il padre che ritornò a casa con qualche sorso di vino in più e canticchiando. Il parroco comprese che, al momento, l’impresa era fallita e non se ne poteva fare nulla, ma era talmente convinto della propria idea che ne avrebbe parlato ancora. Il giovane nei giorni che seguirono fu ancora una volta richiesto in canonica per restaurare una tela che da troppo tempo era stata buttata in disparte. Il quadro era stato rosicchiato dai topi in alcune parti e, precisamente, era mancante l’immagine della Madonna. Il prete per agevolarlo gli aveva messo a disposizione un Santino della Madonna dei Miracoli di Motta a cui era molto devoto. In occasione del restauro aveva chiamato un frate che spesso veniva in paese con il suo asinello per l’elemosina. Costui che voleva conoscere il pittore si chiamava fra Silvio. Si diceva fosse un santo. La gente lo amava molto perché i suoi consigli erano davvero preziosi.
Fra Silvio volle prima vedere il quadro da restaurare e poi il ragazzo. Il quadro era talmente preso male, che il frate disse che non ne valeva la pena di fare qualcosa: la tela era troppo rovinata e sarebbe stato impossibile sistemarla. Il vecchio curato del paese non era d’accordo, un tentativo doveva essere fatto. Quel quadro era sicuramente del seicento e non poteva essere buttato. Fra Silvio allargò le braccia in senso di resa, aveva capito che non sarebbe riuscito a convincere il curato. Il quadro, come si rilevava dai documenti della parrocchia, era di un pittore che durante un periodo di permanenza presso una famiglia del paese, e essendo molto malato, aveva deciso di utilizzare il tempo che gli rimaneva da vivere, facendo un quadro della Natività. Si leggeva che quel pittore, un tale Pietro Sassi, era arrivato in paese accolto da una sua parente che aveva avuto pietà di lui. L’uomo aveva oltre settant’ anni, e aveva dipinto tutta la sua vita. La fortuna non lo aveva arriso, né reso celebre, ma si era guadagnato da vivere decorando le pareti delle case. La sua passione erano i paesaggi di campagna e quelli a tema religioso. Quando arrivò a Villanova era ormai molto malato, le mani deformate dal lavoro e il suo cuore piuttosto debole. Negli anni era rimasto in contatto con questa parente alla quale in certi momenti aveva fatto giungere qualche aiuto finanziario. Da una lettera ritrovata era scritto che il pittore Pietro aveva deciso di dipingere quel quadro come se una voce interiore glielo avesse suggerito, e portò a termine la sua opera proprio la notte di Natale; fu portata subito in chiesa e benedetta dal parroco. Il giorno di Natale il pittore, ormai alla fine delle sue forze, spirò. Quel quadro fu molto amato dalla gente, e l’uomo non fu scordato. Alla sua morte venne sepolto nel piccolo cimitero del paese, lo accompagnarono tutti gli abitanti che gli erano grati per quell’immenso quadro che arricchiva la povera chiesa. A trecento anni dalla sua morte non erano rimaste tracce della sua tomba ma quel quadro, che aveva reso felice un paese, doveva essere di nuovo rimesso a nuovo. Fra Silvio l’indomani sarebbe tornato a Villanova con dei pennelli e dei colori, oltre ad un pezzetto di tela da usare per il restauro.
Il frate tornò al convento con un sacco di farina che il curato gli aveva dato. Era felice perché i suoi poveri avrebbero avuto il loro pane per alcuni giorni. Quella sera il vecchio parroco dormì profondamente, aveva nel cuore la speranza che qualcosa di bello potesse accadere. L’indomani avrebbe chiamato il ragazzo, perché voleva farlo conoscere a Fra Silvio, e addormentandosi sognò la Beata Vergine. L’indomani mattina per la Santa Messa delle sei vi era più gente del solito. Arrivò da Motta anche Fra Silvio con tutto l’occorrente per il restauro. Il Frate assistette alla messa, e rimase anche per colazione. Poi arrivò il ragazzo che era fiducioso nel riuscire a portare a termine il difficile restauro della tela. Era molto rammaricato per il mancato consenso del padre di poter accedere alla scuola d’arte, e sapeva che tale decisione non sarebbe cambiata. Si mise subito al lavoro. Furono giorni febbrili, lavorava dalla mattina alla sera, in una stanza dove usciva solo per i pasti e per assistere alla messa. Il parroco gli aveva messo disposizione un letto per dormire la notte. Il compito di restaurare quel quadro era sentito come una missione da compiere a tutti i costi. Spesso di notte si alzava per controllare se i colori si fossero asciugati e se non si notasse dove aveva aggiunto il pezzo di tela mancante. Dopo una settimana volle mostrare il restauro, ne era uscito un quadro nuovo, perfetto come se lo avesse dipinto il povero pittore del seicento. Il giovane spesso gli era parso che la sua mano fosse guidata da una forza divina, la stessa che aveva avuto la prima persona che aveva dipinto il quadro. Il vecchio prete ne fu entusiasta e, naturalmente, con il suo somarello arrivò dal convento fra Silvio che ne rimase abbagliato dalla bellezza dei colori e dal perfetto ritratto della Madonna. Il frate abbracciò il giovane la cui mano era stata diretta da qualcosa di superiore, e gli promise che si sarebbe interessato a lui.
Il destino del giovane cambiò. Fu accettato a lavorare da una contessa a Venezia, che s’era presa a cuore il suo caso. Il giovane, pertanto, poté frequentare l’ Accademia delle belle arti.
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