Nel pomeriggio
andai a trovare un amico a cui dovevo chiedere il suo aiuto per riparare la
barca. Quando arrivai alla sua casa mi accorsi che n
on c’era, era dovuto andare
a Motta di Livenza. Vidi solo un vecchio che se ne stava seduto all’ombra di
una grossa quercia. L’uomo, che doveva essere molto anziano, si era fatto
costruire una grande panca dove stava seduto per delle mezze giornate a vedere
quei pochi uomini che passavano per la strada.
Quando
mi avvicinai a lui, non mi riconobbe, era da molti anni quasi cieco, e si
spostava a fatica. Gastone era il suo nome, aveva una barba fluente, bianca,
come la neve, avrebbe potuto fare il babbo natale, data la sua grande
somiglianza. L’uomo chiese il mio nome e, una volta sentito, mi fece
cenno di sedermi sull’erba per conoscermi meglio. Sul piccolo tavolo vicino
alla panca aveva una caraffa di vino rosso, che attirava molte mosche. Ricordò
subito che conosceva i miei genitori, e disse che il buon Dio li aveva accolti.
Un
attimo dopo recitò una poesia che non avevo mai sentito e che mi commosse:
“Siediti ai bordi dell’aurora, /per te leverà il sole. /Siediti ai bordi della
notte, /per te scintilleranno le stelle. /Siediti ai bordi del torrente, / per
te canterà l’usignolo. / Siediti ai bordi del silenzio, /Dio ti parlerà/.” Il
vecchio disse che questa poesia era diventata un perno nella sua vita e me
l’aveva recitata perché aveva intuito che ne avevo bisogno.
L’uomo
conosceva la mia storia, sapeva che vivevo vicino al fiume, e che la mia vita
non era facile, come non era stata semplice la sua vita di contadino e di
combattente. Senza che gli dicessi nulla, prese un bicchiere di vino e lo vuotò
d’un fiato. Con la manica della camicia si asciugò la bocca, e iniziò a farmi
delle domande.
Gli
piaceva parlare con i giovani, in un certo modo si sentiva maestro, uno che
aveva molte cose da trasmettere. Dopo un po’ che si discorreva, gli
chiesi quali fossero stati i momenti più difficili della sua vita e come li
aveva superati. I suoi consigli mi sarebbero stati d’aiuto, perché talvolta, mi
trovavo in serie difficoltà e avevo timore per il mio futuro che mi sembrava
incerto. Il fiume spesso era avaro con i pescatori.
L’uomo
sorrise e mi disse subito che una regola che aveva sempre cercato di rispettare
era quella che se non si fa del male nella vita non si deve temere nulla. Dio
assiste sempre le persone, non le abbandona. Il vecchio mi versò del vino che
bevetti con molta avidità, volevo far vedere che non lo disdegnavo. Il vino era
molto buono, e mi mise allegrezza.
L’uomo
disse che da bambino era talmente povero che, assieme ai suoi fratelli, andava
a cercare il ferro che la guerra aveva lasciato nei campi di battaglia. Il
ferro che raccoglieva veniva dato a un panettiere che ogni giorno passava con
la sua bicicletta che trainava un carretto per portare il pane. Il
ferro veniva scambiato con del pane. Un giorno fu felice d’aver trovato un
pezzo di ferro piuttosto pesante che lo ferì alla mano. Accadde quello che non
avrebbe dovuto mai accadere, la ferita si infettò e venne portato con il carro
e i buoi all’ospedale.
Per la
strada la gente cercava di capire quello che gli era successo, ma non lo sapeva
nessuno. Quando giunse all’ospedale di Motta di Livenza, aveva una febbre
altissima, e il medico dopo averlo visto, diagnosticò che aveva contratto il
tetano. Tutti i muscoli del corpo si irrigidirono. La situazione si era fatta
molto grave, sentiva sua madre che preoccupata ne parlava con il dottore. La
stanza dove mi portarono era grande con alcuni letti dove vi stavano dei vecchi
morenti. Aveva solo undici anni e sentiva che la vita se ne stava andando. Si
sentiva sempre peggio e soffriva tremendamente.
Il
medico disse a sua madre che per lui non c’erano speranze e riferì
all’infermiere di chiedergli se sentiva quando veniva toccato.
Se avesse risposto che non sentiva nulla per
lui sarebbe stata la fine. Pertanto, quando l’infermiere gli pose la domanda,
gli rispose che stava sentendo. Mia madre si mise a gridare, e furono costretti
a chiuderla in una stanza a chiave perché le sue urla si sentivano fino in
piazza. Mia madre era sicura che fossi già morto, e piangeva. A nulla valsero i
tentativi d’una infermiera e di una suora a calmarla. Sua madre piangeva
disperata. Accadde poi che quell’infermiere, sollecitato dalla sua risposta, si
mise a massaggiarlo energicamente per una buona mezz’ora. Continuava a provare
dolore, ma nello stesso tempo, iniziava a sentirsi più vivo, e meglio.
A mia
madre distesa a terra che pregava e cercava l’aiuto della Madonna, le diedero
la notizia che era salvo. Mia madre non ci credette, pensava che volessero
consolarla. Quando mi vide, svenne dall’emozione, e dopo alcuni
giorni tornavo a casa su quello stesso carro con cui ero arrivato. Mia madre
portò alcuni ceri alla Madonna. Da quel giorno sulla povera casa dove abitavano
fu collocata una Madonna, per ringraziarla del miracolo avvenuto e mentre
parlava il vecchio me la indicò. Il suo racconto mi aveva commosso e mi aveva
fatto capire che bisognava sempre confidare nell’aiuto del buon Dio. Si era
fatta sera, il sole cocente se ne era andato. Finalmente ritornò l’amico al
quale volevo chiedere il favore. Mi fu proposto di fermarmi a cena da loro, che
accettai di buon grado.
Ma
prima di metterci a tavola mi volle raccontare della seconda prova a cui lo aveva
sottoposto la vita. Un giorno con dei suoi amici stava andando alla sagra del
paese, quando da un ponticello di legno scivolò nel fiume. Sommerso dall’acqua
gelida si mise a gridare che lo salvassero, la corrente lo stava portando via,
e aveva perso i sensi quando uno dei due amici lo portò in salvo. La
temperatura di quell’inverno era molto rigida e assieme al suo amico bagnati
fradici chiesero aiuto, bussando a una casa, dove videro che c’era un lume
acceso.
Vennero
soccorsi da una donna e da suo marito, e fu una vera fortuna. La moglie, dopo
averli asciugati, volle darli del brodo caldo che si rivelò miracoloso. Il
vecchio cercò di alzarsi, ma le sue gambe erano piuttosto malferme, e mi chiese
aiuto. Entrammo in cucina a mangiare un boccone, e il vecchio era felice
d’avermi raccontato queste due storie che mi fecero capire come la vita ti
potesse riservare dei momenti veramente tragici. Prima di partire mi abbracciò,
dicendomi:”
La
vera forza della vita passa attraverso il coraggio e la speranza che non devono
morire mai. Una luce nelle avversità deve poter illuminarti il cuore e quella
luce era il buon Dio, che non lasciava mai sole le persone “. Prima di
andarmene mi misi d’accordo con l’amico per il lavoro che avremmo fatto
l’indomani. Mentre mi allontanavo, osservai la piccola Madonna illuminata da
una fioca luce. Prima di giungere a casa osservai le stelle, avevo
annotato in un foglietto la poesia raccontatami del vecchio e la lessi al
fiume.
Nessun commento:
Posta un commento