di Emilio Del Bel Belluz
Negli ultimi giorni la pioggia era stata molto battente e incessante per cui non uscii in barca. Quello che mi aveva preoccupato era che il Livenza era salito di qualche metro, e le acque limacciose sembravano, data la loro velocità ed altezza, voler esondare. Il fiume trasportava sempre degli alberi che erano stati sradicati, ed alcuni di essi si fermavano lungo la riva, come se fossero dei naufraghi. Non capitava spesso che ci fossero dei grossi alberi che spiaggiavano lungo la riva. Gli alberi sembravano degli esseri umani che chiedevano aiuto. Si trattava di alcune querce, la cui lunghezza e robustezza evidenziavano che avevano almeno una decina d’anni. Quando trovavo degli alberi davanti alla mia riva li consideravo miei, e in questo modo, avevo la possibilità di fare legna da ardere per l’inverno. Il fiume mi faceva un grande favore, portandomi questi doni. Non era raro che giungesse qualcosa di piuttosto importante, una volta trovai vicino alla riva una barca che si era slegata e la recuperai. Il padrone della barca era venuto a cercarla e mi donò del denaro per avergliela condotta in salvo.
Questa persona ogni tanto mi veniva a trovare, gli piaceva parlare con me, e anche questa amicizia era nata grazie al fiume. Con la piena non avevo potuto andare a trovare Elena. Mi era capitato di vederla dall’argine che mi salutava, ci volevamo bene e questo era davvero molto importante. Il nostro legame mi faceva sentire più felice, e mi creava una forza nuova dentro di me. Spesso nei momenti in cui mi trovavo ad aggiustare le reti, anche se ero solo, mi capitava di parlare con lei, di raccontarle cosa stavo facendo, e dei mille progetti che mi passavano per la testa. Il mio futuro era immaginabile solo con lei. Una volta la sognai che mi aspettava davanti alla mia casa, mentre ritornavo dalla pesca. Elena nel sogno era assieme ai nostri figli, che mi venivano incontro, uno di loro mi prendeva in mano il cappello da marinaio che di solito avevo calato sulla fronte. Questa scena famigliare mi sembrava il regalo più grande che un uomo potesse avere dalla vita. Poi entravo in casa, mi sedevo davanti al fuoco stanco, e dopo aver mangiato un buon boccone m’intrattenevo a giocare con i miei figli.
Mi sedevo sulla poltrona posta vicino al fuoco, alimentato da un grosso ceppo che riscaldava le pareti della casa, asciugandone l’umidità della notte. Elena in questo sogno mi guardava incantata ed entrambi ammiravamo la nostra casa che era diventata più accogliente dopo le migliorie apportate. Elena aveva il nome di una regina che era tanto buona e di cui spesso si leggeva nei giornali. Molte volte la moglie del sovrano appariva in certe copertine di giornali per signore, che Genoveffa ci donava. La Regina Elena, intervenuta durante il terremoto di Messina del 1908, aveva salvato con la sua insistenza nelle ricerche, una bambina. Sempre dai giornali si leggeva come la Regina si prodigasse in tantissime opere benefiche. In questo sogno avevo immaginato che nel giorno di Natale a mangiare nella nostra casa fosse arrivata la Regina, la cui foto era in bella mostra su una parete della mia classe. Una donna che era stata mandata dal buon Dio per aiutare gli altri, per essere la mamma di tutti gli italiani. Quella mattina, nel risvegliami dal sogno che avevo fatto, volli subito mettermi a scrivere tutto quello che mi ricordavo. A scuola non ero molto brillante in italiano, ma mi accontentai di appuntare sul foglio alcune frasi che mi facessero ricordare quello che avevo vissuto. Anche se era un sogno conteneva delle speranze che avrei voluto si verificassero nella mia vita.
Poi decisi che era tempo di tornare al fiume, il cui livello si era rialzato di altri centimetri. C’erano delle persone che osservavano dall’argine e uno di loro guardava con un cannocchiale. Quando mi avvicinai, mi accorsi che si trattava di tecnici che erano venuti per delle rilevazioni. Mi presentai a loro, mi accorsi che conoscevano bene la situazione, e mi parlarono di un argine, che distava pochi chilometri dal luogo dove eravamo, che aveva ceduto. Alcuni uomini stavano chiudendo la falla con dei sacchi di terra. Uno di essi mi chiese se avevo paura del fiume, gli raccontai che ne avevo viste di piene, ma ringraziando il buon Dio tutto era andato bene. Quando ci si affida alla Divina Provvidenza non si resta mai delusi e ripetei la frase che mio padre diceva sempre nei momenti difficili: “Dio vede e Dio provvede”. Salutai quella gente e me ne tornai a casa. Nella cucina c’era Genoveffa che stava lavando i piatti, e non mi aveva sentito arrivare, mi accolse con un sorriso come di chi avesse qualcosa da dire. Genoveffa era felice che il parroco le avesse chiesto di ospitare nella sua casa la nuova maestra che stava arrivando in paese.
La donna veniva da lontano e il vecchio prete aveva pensato che Genoveffa potesse ospitarla. Quando mi raccontò di questa novità ne fui felice, non mi dispiaceva che arrivasse una nuova maestra, che in qualche modo sarebbe stata una boccata d’ossigeno per il paese. La maestra sarebbe arrivata nei prossimi giorni, il prete aveva già commissionato al vecchio Davide di andarla a prendere a Motta di Livenza. Genoveffa fu gentile come sempre, volle prepararmi un buon pranzetto, con della carne che aveva comprato in una casa di contadini che conosceva molto bene. Ieri avevano ucciso dei polli e ne aveva comprato uno. In quei giorni non potevo uscire con la barca, la cosa mi infastidiva; la sola buona notizia era che la pioggia era cessata, dalla finestra era entrato il sole, e corsi fuori a vederlo, come se fosse un ospite gradito. Mi sedetti fuori dalla casa, e da qualche tempo avevo cominciato ad usare una vecchia pipa che doveva essere appartenuta a qualcuno di famiglia. La trovai in una scatola tra gli oggetti di mio padre. Avevo comprato del tabacco alla bottega e mi sentivo come un lupo di mare, ne avevo aspirato qualche boccata e sentendomi tossicchiare uscì dalla cucina Genoveffa che scherzò sul fatto che non sapessi fumarla.
L’odore del tabacco che costava molto poco aveva reso più familiare l’aria, Genoveffa si avvicinò per farsi consegnare la pipa come se fosse una mamma con il figlio, ma non vi riuscì. Allora mi disse che se volevo sembrare più vecchio dovevo farmi crescere la barba, così avrei avuto le sembianze di un lupo di mare. Quella frase mi fece sorridere, presi un vecchio giornale e mi misi a leggere. Se il tempo fosse rimasto clemente, l’indomani avrei potuto andare da Elena e questa era la cosa più bella che potessi chiedere alla vita. Quella lontananza mi aveva fatto capire che Elena era importante nella mia vita. Osservai la sua casa, e vidi che il camino stava fumando, e la immaginai indaffarata nelle faccende domestiche. Il tempo migliorò sensibilmente nel pomeriggio, e riuscii a recuperare alcune reti che avevo calato prima che la pioggia fosse scesa così copiosa. Una rete non fu facile issarla, perché vi si erano infilati dei rami, e un oggetto metallico che la corrente aveva portato giù. Era un elmetto militare della Grande Guerra, che magari era caduto a un soldato mentre navigava il fiume. Proprio in quella zona si erano effettuati dei combattimenti, quando l’esercito Austro- Ungarico si stava ritirando. Un vecchio del paese mi aveva raccontato che vi erano stati dei morti da entrambe le parti.
Una bomba era caduta su una casa vicina alla chiesa, e qualcuno era stato ucciso. Pensai che questo elmetto fosse un piccolo tesoro che il fiume m’aveva fatto ritrovare. Lo presi e lo misi nella barca assieme al pesce che avevo trovato nelle reti. Trovandomi a poca distanza dalla casa di Elena decisi di andarla a trovare. Fu per lei una sorpresa, e non vedeva l’ora di comunicarmi che non avevano più intenzione di lasciare la casa lungo il fiume. La notizia mi riempì di gioia. Questo significava che il nostro legame si sarebbe fortificato e magari, tra qualche tempo, si sarebbe potuto parlare di fidanzamento. Quel giorno la baciai mille volte. Entrammo in casa, la madre m’invitò a cena che rifiutai perché non potevo attardami, visto la piena del fiume. Quando Elena mi accompagnò alla barca le donai del pesce, e le mostrai l’elmetto che il fiume mi aveva restituito. Lo prese in mano e mi accorsi che una lacrima le solcava il viso, perché immaginava che potesse appartenere a un soldato ucciso in guerra.
Nel
cuore di Elena regnava la speranza che le guerre non potessero più
avvenire. Le raccontai che avevo sognato
la regina Elena che veniva nella nostra casa a trovare i bambini che avevamo.
Questo sogno le piacque tanto, mi abbracciò, e mi baciò. La barca scivolava
nell’acqua limacciosa, ma il nostro amore era limpido come una sorgente di
montagna.
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