Ma purtroppo quella che non doveva essere
che un'affermazione di principio, d'altronde più formale che altro, sia nei
riguardi del Re, sia di Mussolini, diventò un'arma terribile nelle mani di
quest'ultimo al momento decisivo. Dal fatto che egli - aveva avuto affidato il
Comando delle truppe sulle fronti, è logico dedurre che chi diede l'ordine di
attaccare la Francia sia stato Mussolini.
Lo seppe preventivamente il Re e vi diede
il suo assenso? Finora, che io sappia, nessuna precisazione venne fuori: da
persone che erano al caso di vedere il Re in quei giorni sarebbe risultato «che
Sua Maestà era nerissimo»; e che - un giorno-, fu sentito esclamare: «Sono
stato mistificato!». Indubbiamente indizi molto limitati per negare che il Re
ne fosse al corrente; ma se si ha mente che Mussolini aveva il comando
effettivo delle truppe operanti sulle fronti, anche la riportata
«mistificazione» dovrebbe pur valere per dar corso all'ipotesi che egli fosse ben
lontano dall'essere al corrente dell'ordine dato da Mussolini.
Con questa interpretazione parrebbe
collimare con quanto Grandi ha scritto nel suo memoriale: «Il Maresciallo
Badoglio il quale aveva ricevuto l'ordine di attaccare la Francia, disse immediatamente:
quell’ uomo è pazzo; non ha un piano di guerra e non ne ha mai chiesto uno,
benché io gli avessi detto che il nostro
schieramento sulla frontiera francese fosse difensivo; non ha voluto ascoltarmi; ha gridato: Ma non lo
capisce che mi occorrono immediatamente poche migliaia di morti, altrimenti
Hitler non mi lascerà sedere alla
Conferenza della pace?».
Senza, soffermarci sulla cinica apostrofa di Mussolini,
rilevo, per il nostro asserto, che l'ordine di attaccare la Francia dato a
Badoglio, è confermato da quanto scrive Ciano il 20 giugno nel suo
Memoriale: «Mussolini ieri ha deciso di attaccare i francesi
sulle Alpi; Badoglio si è recisamente opposto; ma egli,
ha insistito...». Può pertanto dirsi del tutto azzardato l'argomentare che il Re fosse affatto allo scuro
dell'ordine dato da Mussolini
quale comandante delle truppe di passare il confine, e perciò rassegnato alla dichiarazione di guerra si affermasse mistificato per l'attacco effettivo?
Ho creduto non inutile esporre, queste precisazioni per lumeggiare, come
meglio lo consentono i pochi documenti a
disposizione, il pensiero e l'azione del Re nei riguardi
della guerra, ma un sol documento sarebbe più che
sufficiente: la lettera che Ciano scrisse al Sovrano dal carcere di Verona
il 20 dicembre 1943, cioè pochi giorni prima di essere fucilato
e consegnata al Re dal Conte Magistrati. Di essa, scrive il Malacoda, sono
state pubblicate due versioni, del resto praticamente identiche; i brani qui
riportati sono quelli pubblicati da P. «Monelli in Roma 1943». Scrive
Ciano: «V. M. conosce da tempo le mie idee e la mia fede, così come posso testimoniare davanti a Dio e agli uomini. l'eroica lotta da
Lei sostenuta
per impedire quell'errore e quel crimine che è stata la nostra guerra a fianco dei tedeschi; né sulla Monarchia, né sul popolo né sullo stesso Governo può andare la minima colpa del
dolore che attenaglia oggi la Patria. Un uomo, un uomo solo, Mussolini, per
torbide ambizioni personali, per
sete di gloria militare, usando le sue autentiche parole, hanno premeditatamente condotto il Paese nel
baratro. Maestà lo mi preparo al. Giudizio supremo con lo spirito sereno e la coscienza
pura... e non si mentisce, quando si sta per entrare nell'ombra.». Si può essere più chiari di così?
Disgraziatamente le
previsioni circa la prossima fine della guerra fallirono: la Germania, forse Sventando
fin d'allora di essere assalita alle spalle dalla Russia o per effettive
difficoltà tecniche, o per altre ragioni come anche si prospetta, non effettuò
lo sbarco in Inghilterra facendo invece sugli altri fronti ogni suo sforzo; e
per due anni la vittoria fu sua anche contro i nuovi nemici. Ma il tempo
lavorava contro di lei: la Russia sotto il ferreo giogo di Stalin mise a
profitto le infinite sue possibilità di uomini e materiali, l'Inghilterra
moltiplicò i suoi armamenti fornendone anche alla Russia, ed avviluppò la
nemica in una cintura di navi, che le resero ben presto difficilissima ogni
comunicazione a mezzo dei mari, tanto che, con l'entrata in guerra anche
dell'America, la sconfitta della Germania fin dal maggio 1943 si profilò
nettamente, andando poi sempre peggiorando la sua condizione bellica.
E l'Italia che
Mussolini aveva fatto entrare in guerra solo «per avere il migliaio di
morti» che gli permettesse di sedere al tavolo della pace vittoriosa,
si trovò invece impegnata in una guerra per la quale non era assolutamente
preparata, mancando di armi, attrezzature industriali e di qualsiasi piano
militare con capi che i più avevano basi nel fascismo e per il fascismo!
Non è compito di questa esposizione seguire
le varie fasi della guerra, del resto purtroppo note a tutti: dopo i brillanti
successi della C.S.I.R. in Russia, vi fu la disastrosa ritirata dell'Armir,
sacrificata dai tedeschi per effettuare il loro sganciamento dai Russi; vi fu
la disgraziata campagna d'Etiopia e quella non meno disastrosa della Libia.
P. Monelli dice che «Da qualche tempo lo
Stato Maggiore e il Ministro degli Esteri stavano addosso a Mussolini perché
studiasse il modo d'uscire dal conflitto» (1); e il Gen. Castellano nel suo «Come
firmai l'armistizio di Cassibile» ne precisa i termini sia nei riguardi di
Badoglio sia del Gen. Ambrosio, dal 1° febbraio 1943 Capo di Stato Maggiore
Generale. Questi, «oltre che rappresentare a Mussolini la grave situazione
militare, non mancò di prospettarla anche al Re a voce e con memoriali» (2),
richiedendo essenzialmente di «persuadere la parte germanica ad un maggior
interesse per il problema mediterraneo ottenendo gli aiuti indispensabili per
continuare la lotta nonché a riportare in Patria parecchie divisionidistaccate
oltre confine» (3). Aggiunge ancora che «Ambrosio ebbe contatto con numerose
personalità del mondo politico, industriale, economico e che egli stesso - si
interessò di sapere cosa pensassero tali uomini politici avversi al regime»
(4). Ebbe colloqui col Ministro della Real Casa Duca Acquarone, senza però aver potuto coordinare
l'opera dello Stato Maggiore con quella del Sovrano «dato il suo
atteggiamento più che di riserbo, diffidenza sì che il SUO atteggiamento
sibillino non agevolò per nulla la soluzione degli avvenimenti
che avrebbero avuto altro corso se lo Stato Maggiore fosse stato orientato a
tempo col pensiero e sulle decisioni del Re» (5). Con visione più larga,
e perciò più aderente alla complessa
verità; scrive P. Silva: «Nei
pochi mesi tra il gennaio e
luglio 1943 si
venne precisando il proposito italiano di
uscire dalla guerra; questo
proposito maturò anzitutto nel Re, dal Re passò
all'Alto Comando e più
precisamente ad
Ambrosio... Tra il Re e lo Stato
Maggiore, tra il Re ed
alcuni esponenti dell'antifascismo e negli ultimi tempi tra il Re ed
i fascisti dissidenti fu sempre tramite intelligente attivo e discreto il
Ministro della Real Casa Duca Acquarone, il quale
coltivò e rafforzò la decisione che già era
nel pensiero del Re di liquidare Mussolini e il Fascismo... l’antifascismo fu quasi assente...» (6). Nell’iniziativa monarchica si raccoglievano
anzi tutte le speranze del popolo
italiano.
Intanto gli
avvenimenti militari peggioravano rioccupata la Tunisia, gli alleati
minacciavano il territorio nazionale donde la necessità di accelerare i tempi. Ambrosio insisté presso Mussolini
perché avesse a sganciare l'Italia dalla Germania rimettendogli numerosi pro memoria
redatti in termini inequivocabili,
le cui copie venivano da
Ambrosio comunicate anche al Re.
facendo presente essere chiaro che «l’alleato non voleva impegnarsi a fondo per
difendere l'Italia, ma non voleva nemmeno abbandonarla di colpo per ritardare
così più, a lungo possibile l'attacco contro il proprio suolo metropolitano»
(7). Ai primi di luglio, quando lo sbarco in Italia era imminente, Ambrosio
insisté più energicamente con Mussolini e Castellano ripeté i suoi colloqui con
Acquarone, «il quale finalmente si lasciò sfuggire qualche mezza parola» (8)
Fu allora
preparato - il progetto completo di cattura di Mussolini e dei suoi seguaci,
che vien comunicato ad Acquarone il quale risponde che «al momento opportuno
sarebbe stato dato l'ordine esecutivo» (9), facendo comprendere che la
decisione del Re non sarebbe tardata molto (10).
Il 19 avviene
l'incontro di Feltre; il Comando tedesco aveva improvvisamente deciso il
Convegno; Ambrosio vi interviene fiducioso che finalmente Mussolini avrebbe
sganciato l'Italia dalla Germania; ma purtroppo quel Convegno fu talmente
vergognoso da parte di Mussolini che anziché ottenere lo sganciamento, l'Italia
fu avvilita nel peggior modo senza che egli aprisse bocca. Il Convegno è
minutamente descritto nel libro di Fulvia Ripa di Meana: «Roma clandestina», la
quale ne aveva avuto relazione dall'eroico Colonnello
Montezemolo Medaglia d'Oro, assassinato poi
a Roma alle Fosse Ardeatine – il quale vi era presente. Disse tra l'altro
Hitler: «L'Italia non ha voglia di combattere.. l'Italia non sa fare la
guerra.. il Popolo d'Italia non collabora sufficientemente con quello
germanico non ristancandosi di imprecare contro il nostro Paese, demolendone i sacrifici immensi; Mussolini non rispose
verbo» (11). Dice Grandi nel suo
Memoriale «Hitler non Parlava l'italiano e Mussolini capiva il tedesco molto
meno di quanto non volesse lasciar credere il risultato tragico fu un nuovo
monologo di Hitler che l'altro
faceva finta di seguire con intelligente interesse». Fosse questa o altra la ragione sta, che non aprì
bocca tanto che Ambrosio, cogli altri che componevano il seguito, finito il
convegno del mattino, avevano implorato che nel pomeriggio egli chiedesse
alla Germania tutti gli aiuti indispensabili per continuare a combattere ancora o «riconoscesse all'Italia il diritto di uscire dal
conflitto..; ditegli che l'Italia è entrata in guerra per vostro
ordine e che avete il dovere di fronte al Paese di chiedere che la Germania dia tutti gli aiuti indispensabili per combattere ancora, oppure riconoscergli il dritto di uscire dal conflitto. Mussolini ascolta e tace assorto: ma «in fondo, in fondo, esclama dopo un certo momento, in
questo modo ne andrebbe di mezzo la mia pellaccia! Di fronte all'interesse del Paese e la pelle ha nessuna importanza,
replica freddo e severo Ambrosio, mentre un senso di nausea invade i presenti..» (12) Senonché nel pomeriggio egli i sentì male - secondo riporta Spectator in «Mondo latino» - e quando rimessosi chiede di vedere il Fuhrer, «lo agghiaccia la più inattesa
delle risposte: Hitler non e, più a Feltre; è ripartito bruscamente per la Germania senza prendere congedo, senza nemmeno uva parola di saluto: ormai ha gettato nella spazzatura il
limone spremuto».
(1) P. Monelli: op. cit.
(2) Generale Giuseppe Castellano: Come
firmai l'Armistizio di Cassibile pag. 33
(3,4) Giuseppe Castellano: op. cit. pagg.
35 38 43 48 51 52.
(5) Giuseppe Castellano op. cit. pag. 35
(6) P Silva op. cit. pag. 149
(7) (8) (9) (10) G. Castellano: op. cit.
pag. 38, 43, 51, 52.
(11) (12) F. Ripa di Meana: Roma Clandestina pagg. 44,
45 44
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