NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 27 agosto 2021

Il vetturino del Re Umberto I

di Emilio Del Bel Belluz

Ho tra le mani una copia del Corriere Lombardo, giornale pubblicato negli anni cinquanta a Milano, in cui ho trovato scritto la storia di Giovanni Rosa, uno degli ultimi vetturini di quella città. Passò tutta la vita con la sua carrozzella e con i suoi fedeli cavalli, ha girato in lungo e in largo la città di Milano e zone vicine. Giovanni, classe 1876, riuscì a percorrere la bellezza di 250 mila chilometri, seduto in cassetta, a trasportare le persone. 

Nel dopoguerra la gente non aveva molti mezzi e non c’erano molte alternative, andare in carrozzella alla fine, risultava un lusso. L’autore dell’articolo, Ignazio Scruto racconta di quest’uomo :” Il vetturino si chiama Giovanni Rosa ed ha 74 anni. E’ un ometto asciutto, tranquillo che in 56 anni di cassetta ha percorso quasi 250 chilometri, sempre per le stesse strade e con lo stesso trotto. Ha cambiato 500 cavalli, ha partecipato a 3000 funerali (fino all’epoca in cui l’automobile non ebbe il deciso sopravvento) e a 1500 matrimoni. Non ricorda il numero dei battesimi.

 La carrozza di Giovanni Rosa è una delle ultime quattro che si vedono ancora in circolazione a Milano. Le altre hanno pressappoco lo stesso stato di servizio. Il signor Giovanni è nato nel periodo in cui la città era graziosamente dominata dalle diligenze…e dalle carrozze stemmate.” Il suo lavoro consisteva nell’aspettare la gente fuori dai teatri, dai cinema, e accompagnarla a casa. Il vecchio Giovanni doveva essere un tipo preciso, ma soprattutto innamorato del suo lavoro e delle sue storie che raccoglieva quotidianamente dalla gente. 

Al mattino presto andava nella stalla, dava da mangiare al suo cavallo, e lo puliva con diligenza. Il cavallo faceva parte della sua vita, ne conosceva tutti i pregi e il suo cuore si era legato a quasi cinquecento ronzini. Il signor Giovanni aveva visitato tanti luoghi della città, affezionandosi ai suoi clienti abituali, tali da considerarli degli amici. 

Quanti anni a lavorare con la nebbia di Milano che non lasciava scorgere quasi nulla, ma faceva sentire la sua presenza quando la si respirava. Quando la città dormiva, talvolta, Giovanni con il suo il cavallo la percorreva per portare delle persone alla stazione. Ha potuto godersi veramente la sua città, prima che la sua quiete fosse stata cancellata dai mezzi di trasporto a motore. Quanto sarebbe stato bello poterlo conoscere, farsi portare nei luoghi incantevoli della città ed ascoltare le tante storie di vita che conosceva. 

La sua carrozza portava anche gli innamorati in giro per la città che potevano ammirare il cielo stellato e la felicità di quelli che si amavano era anche la sua. Nelle migliaia di persone che ha incontrato ci sono stati degli uomini che hanno fatto grande la città e l’Italia. “ Giovanni Rosa non è mai salito su una automobile. Non le può soffrire non perché gli hanno tolto la sicurezza del guadagno, ma perché hanno distrutto, egli dice, la vera poesia di Milano. 

I suoi compagni, gli altri fiaccherai, sono quasi tutti morti: non hanno sofferto a lungo dello sfacelo della categoria. Prima di morire si mettevano ancora in fila con malinconica tenacia, davanti alla Scala. Era un garbato tentativo. Alcuni da mezzo secolo facevano così e volevano richiamare l’attenzione degli spettatori sulla gentile consuetudine di fare una scarrozzata prima di andare a letto. Fatica inutile. Orami i tassì facevano la coda e nessuno più pensava d’incarrozzarsi. Si era smarrito il gusto delle passeggiate discrete di fine giornata. Tutti avevano fretta”. Nella vita tutto ha una sua fine e il mestiere del signor Giovanni è scomparso quasi dappertutto. 

Non restano che i ricordi. Nell’articolo mi ha colpito il fatto che Giovanni avesse portato nella sua carrozza il re Umberto I. Il sovrano viveva a Monza dove aveva la sua villa. Giovanni racconta che il re d’Italia giungeva alla chetichella, di sera, e si divertiva a farsi scarrozzare per le vie di Milano. Al sovrano piaceva non farsi riconoscere dalla gente e desiderava osservare indisturbato i suoi sudditi. Al buon Giovanni questa fortuna toccò molte volte e si sentiva felice d’essere stato il cocchiere del re d’Italia e non sapeva fare a meno di raccontare alla moglie ed ai suoi amici d’aver portato a spasso per la città il Re. 


Ironia della sorte, il vecchio sovrano Umberto I moriva in un attentato mentre era trasportato in carrozza, e di sicuro al vecchio Giovanni sarà scesa una lacrima

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