martedì 28 dicembre 2021
lunedì 27 dicembre 2021
Nuovo aggiornamento del sito dedicato a Re Umberto II
Carissimi,
dopo aver dato una sistemata generale alla struttura del sito ricominciamo con la pubblicazione, speriamo regolare, di tutto ciò che riguarda Re Umberto II.
Riproponiamo la prima parte dell'opuscolo di Nino Bolla che avevamo iniziato sul vecchio sito e che era rimasta ancora esclusa dal nuovo.
Proprio il tentativo frustrato di pubblicare la seconda parte ci ha costretto alla revisione generale di tutto.
Il tempo dedicato al sito ha sottratto attenzione a tutto il resto.
Speriamo che il 2022 sia meno difficoltoso degli anni precedenti e che si possa diffondere la conoscenza del nostro Sovrano e della sua grandezza d'animo.
L'imminente cambio della guardia al Quirinale ce lo fa rimpiangere ancora di più.
https://www.reumberto.it/umberto-di-savoia-luogotenente-generale/
sabato 25 dicembre 2021
Il santo Natale del Re Umberto II dall'esilio in Portogallo
di Emilio del Bel Belluz
Quando ho ultimato il presepe,
con molta cura metto una piccola pietra nella capanna, vicino a Gesù Bambino,
che apparteneva a Villa Italia, dove visse l’ultimo Re Umberto II.
Quando compio questo gesto,
desidero avere vicino i miei nipoti, in particolare quello che porta il nome
del sovrano e racconto loro quanta tristezza aveva provato Umberto II nei suoi
trentasette anni d’esilio e di come il Re era solito andare alla messa di
mezzanotte nella piccola chiesa di Cascais che distava non molta strada dalla
sua abitazione.
Questo percorso la faceva a
piedi, perché gli era gradevole il silenzio che regnava attorno.” Una breve
strada in salita, uno spiazzo, e chiese più semplici di questa, bianca di
calcina, che mi si presenta allo sguardo è difficile trovare. Una facciata
nuda, tre finestrine, due campanili che non superano la croce posta sul sommo
del tetto. Una povera chiesa di pescatori, tra gridi di gabbiani e leggeri voli
di spume “.
Una volta entrato in chiesa
con il messale che gli aveva donato la mamma Regina Elena, si metteva al solito
posto sulla destra, vicino ad una statua della Madonna a cui era molto devoto.
Seguiva la liturgia dal messale,
e s’accostava alla comunione come fanno quelli che amano il Buon Dio. Alla sua uscita
si intratteneva con i poveri che lo aspettavano per chiedergli l’elemosina.
Il Re d’Italia, dal cuore buono,
offriva a tutti dei soldi, e questa gente gli voleva bene, e sapeva di contare
su una persona grande. Si parlava della sua bontà anche nei paesi vicini e
sempre più poveri affluivano fuori dalla chiesetta, attendendo l’obolo.
Quando era il giorno di Natale
il Re era ancora più generoso. La gente del piccolo villaggio di pescatori
condivideva il suo dolore per la lontananza dalla sua patria, un’ingiustizia
che doveva portare come una croce. Il Re, poi, si avviava a casa di alcuni di
loro con i quali sorseggiava un bicchierino di porto.
Il sovrano era un grande uomo
che aveva imparato dalla mamma Elena l’amore per la povera gente, per i
disperati e gli ultimi. Nel giorno di
Natale avrebbe voluto poter stare con i suoi pescatori, mangiare a tavola con
loro, sentire i canti di Natale, vedere i bambini che davanti al presepe
osservavano le statuine e mettevano vicino a Giuseppe e Maria, il Piccolo che
era nato. La vita lontana dal suo Paese lo aveva privato dei suoi affetti più
cari, e spesso la sua anima si riempiva di tristezza, e nonostante gli sforzi
per celarla, traspariva ugualmente dal suo volto.
Ogni anno davanti al mio
presepe penso a quel Re che riposa ancora lontano dalla sua terra, e che
attende d’essere sepolto al Pantheon dove ci sono gli altri Re d’Italia.
Davanti al presepe, lo scorso anno, raccontai a mio nipote Umberto che in
quella chiesetta di Cascais, ho fatto giungere una statua della Madonna in
ricordo del Sovrano.
Il Ministro Falcone Lucifero
in un’intervista disse che il Re, alla sera, in solitudine osservava il mare, e
le navi le cui luci giungevano da lontano. Un poeta scrisse: “Osservate più
spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o
l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando
qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo,
uscite all’aria aperta, e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra
anima troverà la quiete”.
Anche adesso nel mio presepe
il Re è presente.
giovedì 23 dicembre 2021
Il volume, edito da BastogiLibri; via Giacomo
Caneva,19; 00141 Roma;
E. mail:
bastogiLibri@alice.it; ( tel. 340. 6861911),
è uscito nella collana
“de Monarchia” e comprende saggi di Carlo M. Braghero,
Carlo Cadorna,
Giuseppe Catenacci, Gian Paolo Ferraioli, Luca G. Manenti,
Aldo A. Mola,
Rossana
Mondoni, Aldo G.
Ricci, Tito Lucrezio
Rizzo, Gianpaolo
Romanato, Giorgio Sangiorgi, Cristina Vernizzi e Antonio
Zerrillo.
lunedì 13 dicembre 2021
DA QUATTRO ANNI VITTORIO EMANUELE III E LA REGINA ELENA A VICOFORTE
Un “Memoriale” dei Presidenti della Repubblica?
Tutti i grandi Stati onorano i
propri “Capi” antichi e recenti. Sono gli Stati che, quale ne sia la dimensione
territoriale, quando è il momento, accettano le sfide della Storia e, se
necessario, combattono. Alcuni vincono, altri perdono. I vinti sopravvivono se
conservano memoria di sé. È il caso del Giappone, che si fonda sulla memoria
degli Antenati. E chi è più “antenato” in uno Stato se non il suo Capo? Egli è
la sintesi della sua identità. Tra le debolezze “di sistema” della Repubblica
attuale vi è la discontinuità del ricordo dei suoi “Capi”, da De Nicola
all'attuale. Manca un “Memoriale” che li componga nella loro sequenza. I
Presidenti della Repubblica sono narrati in opere degnissime (per es. in “Parla
il Capo dello Stato” del quirinalista Tito Lucrezio Rizzo) ma le loro effigi
non sono raccolte insieme in un luogo “pubblico”. Per rendere omaggio
all'Italia i successori dei Re salgono ai piedi della Dea Roma in cima
all'Altare della Patria, voluto dalla monarchia che unì l'Italia. All'esterno e
all'Interno del Vittoriano non manca lo spazio per sintetizzare i 160 della
“unità nella continuità”, assicurata dal Re Soldato nella stagione più
drammatica della sua lunga storia e l'effigie dei Capi dello Stato dal 1946 a
oggi.
Nella preoccupante riffa in corso sull'elezione del prossimo Presidente della Repubblica merita riflettere sulla Sepoltura di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena: un esempio di grande civiltà.
Prima i vivi...
Quattro anni orsono, il 15 e il 17 dicembre 2017, giunsero in Italia le salme della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III. La loro traslazione era stata per decenni in vetta alle richieste dei monarchici (partiti, movimenti, associazioni...) e, per “ragione sociale”, dell'Istituto nazionale per la guardia d'onore alle Reali Tombe del Pantheon. Verso fine Novecento però tra i più prevalse la direttiva “prima i vivi, poi i morti”. Fu data la precedenza alla richiesta di abolizione dell'esilio che ancora colpiva Vittorio Emanuele di Savoia e suo figlio Emanuele Filiberto, nato a Ginevra il 22 giugno 1972.
Il 23 ottobre 2002 il Parlamento approvò la legge costituzionale (in vigore dal 10 novembre successivo) che esaurì gli effetti dei primi due commi della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Essi privavano dei diritti politici attivi e passivi gli ex Re di Casa Savoia, le loro consorti e i discendenti maschi, a ciascuno dei quali era vietato l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale. Rimasero in vigore l’avocazione allo Stato dei beni degli ex Re di Casa Savoia, delle consorti e dei discendenti maschi esistenti nel territorio nazionale e l'annullamento di trasferimenti e costituzioni di diritti reali sugli stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946, giorno “convenzionale” dell'avvento della Repubblica, che in realtà data dal 19 giugno seguente, come recita la “Gazzetta Ufficiale”, citata da Argenio Ferrari in “Lex et Libertas in potestate Regis” (ed. Bastogi Libri). La sorte delle Salme finì in un cono d'ombra.
Finalmente… quei giorni
Nondimeno alle 7.30 del 15 dicembre 2017, mentre appena albeggiava, il feretro della Regina Elena fu estumulato in forma privata nel cimitero Saint Lazare di Montpellier, la città ove era morta il 28 novembre 1952 ed era stata inumata. La sua Famiglia fu rappresentata dall’avvocato sanremasco Luca Fucini, componente della Consulta dei senatori del regno, munito di apposita delega. La cerimonia venne ripresa dalle reti televisive France 2 e Montpellier Actualité, previamente informate dalla Mairie, malgrado la raccomandazione di assoluta riservatezza. Alle 17.30 il feretro giunse al santuario-basilica di Vicoforte. Fu accolto dal conte Federico Radicati di Primeglio, delegato dalla Famiglia Savoia “per tutti gli atti necessari a estumulazione, traslazione e ritumulazione delle salme della Regina e di Vittorio Emanuele III”, e dal Rettore del Santuario, monsignor Bartolomeo (Meo) Bessone, vicario della Diocesi di Mondovì, poi parroco a Dogliani e purtroppo rapito dalla pandemia di covid.19. “Don Meo” impartì la benedizione di rito ed evocò la figura della Regina “Rosa d'Oro della Cristianità”. Uno storico, che da mesi affiancava il conte Radicati, aggiunse che per allietarsi dell'evento non era necessario essere monarchici; bastava sentirsi italiani. La lapide reca la scritta “Elena di Savoia/ Regina d’Italia/ 1873-1952”. Presenziarono il sindaco di Vicoforte, Valter Roattino, e l’architetto Claudio Bertano, autore del progetto monumentale. Tempestivamente informata dell'avvenuta traslazione, con una nota alla sede di Parigi dell'agenzia Ansa la principessa Maria Gabriella di Savoia ne dette annuncio alle 17.45, poco prima che iniziasse la conferenza stampa convocata dal sindaco di Montpellier per le 18. Ringraziò monsignor Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, catechista insigne, il Rettore del Santuario e quanti avevano operato “nella discrezione raccomandata dal vescovo” e aggiunse: “A nome e per conto dei discendenti dei Sovrani che vissero cinquantun anni di matrimonio in unione con gli italiani nella buona e nella cattiva sorte e mentre ricordo mia zia Mafalda, morta tragicamente nel campo di concentramento in Germania, ove era stata deportata dai nazisti, esprimo profonda gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che propiziò la traslazione delle Salme dei Nonni in Italia, in prossimità del 70° della morte di Vittorio Emanuele III e nel centenario della Grande Guerra, per la ricomposizione della memoria nazionale”. Immediatamente diffusa in apertura dei telegiornali della sera, la notizia fece supporre che fosse imminente la traslazione della salma di Vittorio Emanuele III. Estumulato nella notte del 16 dal retro dell'altare di Santa Caterina di Alessandria d'Egitto, il suo feretro arrivò a Vicoforte sul mezzogiorno del 17 dicembre e fu tumulato con onori militari e l'esecuzione del “Silenzio” con la scritta “Vittorio Emanuele III / Re d'Italia/1869-1947”. Su entrambe le arche è incisa la Stella d'Italia. Così Vittorio Emanuele III e la Regina Elena vennero ricongiunti in Italia. A quanti domandarono perché fossero resi onori militari alla salma del Re fu ricordato che Vittorio Emanuele III morì quattro giorni prima che entrasse in vigore la Costituzione della Repubblica. A differenza di quanto solitamente si dice, non morì affatto “in esilio”. Si congedò dalla vita mentre era cittadino italiano all’estero, nella pienezza dei diritti politici e civili di ex capo dello Stato e delle Forze Armate.
Gli antefatti della Traslazione. Perché Vicoforte?
La tumulazione delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena a Vicoforte fu il punto di arrivo di un lungo percorso. La scelta venne formulata a Roma in una seduta della Consulta dei senatori del regno il 19 marzo 2011. Fu scartato il Pantheon per indisponibilità di spazi idonei alla dignità di Tombe Reali e per prevedibili intralci di varia natura. Del pari venne ritenuta non idonea la Basilica di Superga, mausoleo dei Re di Sardegna (a eccezione di Carlo Emanuele IV, sepolto a Roma), mentre Vittorio Emanuele III fu Re d'Italia. Voluto da Carlo Emanuele I, duca di Savoia dal 1580 al 1630, quale mausoleo della Casa il Santuario-Basilica di Vicoforte sorge nel cuore della Provincia Granda, seconda “culla” dei Re sabaudi che la vissero intensamente, dai Castelli di Racconigi e Valcasotto alle case di caccia disseminate nelle valli. Vittorio Emanuele III partì per l'Egitto il 9 maggio 1947 col titolo di conte di Pollenzo, il borgo che ospita la vasta tenuta regia poco distante da Vicoforte, ove seguì personalmente i poderi modello avviati sin da Carlo Alberto. Infine il Santuario, circondato dal verde e immerso nella quiete propiziata dal vasto spazio tra la sua facciata e la Palazzata, è affiancato dall'antico monastero cistercense, poi seminario vescovile: un complesso identico da secoli e incontaminato. È il Grande Silenzio che si addice al riposo. Il 7 gennaio 2013, previ ripetuti colloqui con il Rettore del Santuario, la principessa Maria Gabriella di Savoia e il presidente della Consulta espressero al vescovo di Mondovì, monsignor Luciano Pacomio, il “vivo desiderio di congiungere le salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena in Italia” e precisamente nel Santuario di Vicoforte, “che bene si addice ad accoglierle”. Prospettarono una cerimonia funebre da celebrare “in forma strettamente privata, così unendo in morte due italiani che vissero insieme cinquantun anni di matrimonio”. Anche per far meglio apprezzare il Santuario da quanti ancora non lo conoscevano, il 16 marzo 2013 venne organizzato a Vicoforte il convegno di studi “Incontro Umberto II. Trent'anni dopo” con la partecipazione di Amedeo di Savoia, duca di Aosta, che nel 1997 aveva presieduto a Vicoforte il convegno su “L'Italia nella crisi dei sistemi coloniali fra Otto e Novecento”, con la partecipazione di Eddy Sogno, Oreste Bovio, Franco Bandini, André Combes, Fernando Garcia Sanz, Antonio Piromalli e altri storici. A conclusione dell'incontro del 2013 la presidente della Provincia di Cuneo, Gianna Gancia (poi consigliere regionale del Piemonte e dal 2019 deputata al Parlamento europeo), nel preveggente discorso “Casa Savoia nella memoria della Granda” disse: “Sentiamo il dovere di accogliere nella nostra terra le salme di chi certamente amò la Granda, il Piemonte, l'Italia: Vittorio Emanuele III, le cui spoglie giacciono ad Alessandria d'Egitto, in una landa ogni giorno a rischio; e la Regina Elena sepolta a Montpellier. Le loro salme sono emblema di una separazione, di una lontananza, che viviamo come una lacerazione da una parte di noi. Lo Stato non fa? Facciamolo noi d'intesa con la Principessa Maria Gabriella di Savoia, che bene conosciamo quale custode delle memorie della Casa. Dobbiamo averne il coraggio”. Il 22 aprile 2013, sentiti il consiglio di amministrazione del Santuario e il suo rettore, il vescovo di Mondovì, Luciano Pacomio, accolse l’istanza della Principessa e della Consulta. Ricordò che Carlo Emanuele I in visita al Pilone dal quale ebbe origine il Santuario aveva affermato “questa terra è santa, deponiamo i vecchi calzari”. Chiese però l'impegno a “mantenere il profilo strettamente privato” della tumulazione, da attuare “nella forma più discreta, con la collaborazione dei Responsabili del Santuario”. Avvalorò l'iniziativa alla luce della parola del salmo 39,13: “Siamo tuoi ospiti, pellegrinanti, come tutti i padri nostri”. Così andava fatto. E così venne fatto. Quattro anni dopo, a coronamento di lunghi preliminari sorti da fortunate convergenze, il 10 maggio 2017 il principe Vittorio Emanuele di Savoia e la principessa Maria Gabriella a nome delle sorelle Maria Pia e Maria Beatrice scrissero al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, auspicando che il Centenario della conclusione della Grande Guerra offrisse motivo per congiungere le salme del “Re Soldato” e della sua Consorte “in Italia”, senza alcuna indicazione di luogo. Previ numerosi incontri con il Rettore e il presidente della Consulta, l'architetto Bertano approntò il progetto in fitto dialogo con la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Alessandria, Asti e Cuneo. Venne avviato l'intervento nella Cappella di San Bernardo per “la realizzazione di monumenti/arche funerarie in marmo” in cui deporre “i resti di due persone meritevoli di speciali onoranze”, non nominativamente specificate. Il 6 novembre il vescovo e il rettore inoltrarono alla Soprintendenza il progetto, che fu approvato. Con rapidità e assoluta riservatezza vennero espletate le complesse procedure previste dalla deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte 8 maggio 2012, n. 27-3831 per il rilascio di “autorizzazioni concernenti l'individuazione di siti idonei a tumulazione in località differenti dal cimitero ex art. 105 D.P.R. 10 ottobre 1990, n. 285 e art. 12 L.R. n. 2020/2007”. Acquisiti ope legis tutti i documenti richiesti, ebbero corso estumulazione, traslazione e ritumulazione. Il 17 dicembre, al termine della sepoltura di Vittorio Emanuele III, il conte Radicati precisò che tutto era avvenuto “nelle forme proprie di una cerimonia privata”, “di Famiglia”.
Alcune incomprensioni
Alle 21 del 15 dicembre 2017 Vittorio Emanuele di Savoia emanò una “nota” sulla tumulazione della salma della Regina Elena “presso il Santuario di Vicoforte”. Deplorò che fosse avvenuta “in totale anonimato” e rivendicò il Pantheon per “il riposo dei sovrani sepolti in esilio”. Con encomiabile tempestività il 18 con i familiari e ampio seguito egli rese omaggio alle tombe a Vicoforte. Ribadita la richiesta di immediato trasferimento delle salme al Pantheon, lamentò che la traslazione fosse avvenuta “in forma occulta”. In un quotidiano di Roma venne persino insinuato un oscuro baratto tra intervento del Capo dello Stato e consegna alla Presidenza della repubblica di misteriose quanto inesistenti “carte” sull’esito del referendum del 2-3 giugno 1946. Fandonie. La traslazione suscitò un ventaglio dichiarazioni polemiche contro la figura di Vittorio Emanuele III, colpevole dei tre “colpi di Stato” secondo lo “storico” Luigi Salvatorelli, a volte indulgente a polemiche inconsistenti. Secondo lui il Re era responsabile dell'intervento dell'Italia nella Grande Guerra il 24 maggio 1915; della mancata proclamazione dello stato d'assedio e dell'incarico a Mussolini di formare il governo (28-31 ottobre 1922); della revoca di Mussolini (25 luglio 1943, quasi sia un demerito), nonché, in aggiunta, della mancata difesa di Roma e del suo abbandono alla proclamazione dell'armistizio il 9 settembre (la cosiddetta “fuga a Brindisi”). Altri aggiunsero la firma delle leggi razziali nel 1938 e le sue conseguenze di lungo periodo nel 1943-1945, particolarmente gravi nelle regioni governate dalla Repubblica sociale italiana e di fatto occupate dai tedeschi (al di fuori, dunque, da ogni responsabilità diretta del Re e del governo Badoglio). I promotori della traslazione avevano messo in conto la delusione dell'Istituto nazionale per la Guardia d'onore alle Reali Tombe del Pantheon (agevolmente componibile con l'adozione, in forma discreta da convenire con le autorità competenti a consentirla, della “guardia” anche alle tombe di Vicoforte) e l'irritazione di chi indica nel Re (anziché, come è, nel Parlamento) il “responsabile” delle leggi razziali. Qualcuno ritenne uno sgarbo non essere stato previamente informato. Non tutti capirono che era un funerale “della Famiglia”, non “della Casa”, e che pertanto esigeva il necessario riserbo, sia per rispetto della precisa richiesta del vescovo di Mondovì, sia per scongiurare inopportuni schiamazzi di guitti dell'ultim'ora e, peggio, manifestazioni ostili, che avrebbero turbato la solennità dell'evento: il ritorno dei Reali nella loro terra, sotto la cupola ellittica più grande del mondo. Sin dal 16 dicembre altri sedicenti “monarchici” protestarono che “tutti i Reali d'Italia” dovevano “quanto prima trovare sepoltura nell'unica sede ad essi deputata: la Basilica del Pantheon”. La complessa e impegnativa sepoltura nel Santuario di Vicoforte (da taluno sminuito a “chiesetta di campagna”) doveva dunque essere considerata del tutto effimera e sanata con altra immediata traslazione. Parlare è facile. Altra cosa è fare. Tra le tante professioni di indignazione (“istituti storici”, parlamentari, circoli e associazioni varie) il sindaco di una città di qualche peso nella “Granda” dichiarò che non sarebbe mai andato a pregare in un santuario contaminato dalla salma di quel re. La preghiera chiede forse un “luogo” che non sia l'“anima”? A cospetto di tante dichiarazioni polemiche il presidente della Repubblica e quello del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, motivarono il concorso alla traslazione come “gesto umanitario”. Riecheggiò quanto proposto dal vescovo di Mondovì: la “carità” nei confronti di “due persone meritevoli di speciali onoranze”, provate dal lutto (la morte della figlia Mafalda d'Assia in campo di concentramento in Germania; la detenzione da parte nazista della figlia minore, Maria) al pari di tanti italiani, “pellegrinanti, come tutti i padri nostri”. Per prevenire gesti inconsulti, il prefetto di Cuneo dispose che la cancellata della Cappella di San Bernardo rimanesse chiusa sino a quando le tombe fossero tutelate, come sono, da videosorveglianza e sistema di allarme. Dal 28 dicembre 2017, 70° della morte di Vittorio Emanuele III, esse furono meta di un numero crescente di “boni viri” d'ogni Paese che si raccolgono in meditazione su monumenti evocativi della Storia e, senza bisogno di essere cortigiani, ripetono con Giacomo Leopardi: “la vostra tomba è un'ara”. Settantacinque anni dopo la discussa vittoria della Repubblica al referendum sulla forma dello Stato (2-3 giugno 1946), al di là di dispute irrilevanti e di incomprensibili silenzi, la Traslazione delle reali salme a Vicoforte può forse propiziare la rivisitazione storiografica del lungo travagliato regno di Vittorio Emanuele III e nuove risposte ai molti interrogativi ancora aperti sull’ultimo mezzo secolo della monarchia in Italia.
martedì 7 dicembre 2021
LA TELENOVELA CHIAMATA “CORSA AL QUIRINALE”
Ogni 7 anni, in Italia va in onda la telenovela chiamata “corsa al Quirinale”. Stampa, tivù, classe politica impegnano tempo ed energie su questo argomento trascurando in parte argomenti che a noi italiani interessano veramente: crisi economica (che il Covid ha accentuato), aumenti di luce, gas, generi alimentari, disoccupazione sempre elevata, inflazione in aumento.
Beate le Nazioni che hanno un sovrano come capo dello Stato! Non devono perdere tutto questo tempo ed hanno al vertice dello Stato una persona preparata fin da bambino per questo incarico. Infatti i Re hanno molte meno probabilità di sbagliare rispetto ai presidenti di repubblica. E (altra cosa da non trascurare) costano molto meno dei presidenti! In Italia si tira fuori la solita lagna della monarchia sabauda “filofascista”. Ed è un falso storico smentito dai diari del Conte Galeazzo Ciano, genero di Benito Mussolini, che raccontava di un duce ai ferri corti col Re Vittorio Emanuele III.
E poi nel Ventennio la stragrande maggioranza degli italiani apprezzò o non disprezzò il fascismo. Ed il Re non c’entrava nulla. Molti futuri padri di questa repubblica furono convinti fascisti. E non pochi di loro, anche antisemiti. Tra questi ultimi, si annovera Amintore Fanfani. Uno dei 75 che scrissero l’attuale Costituzione antifascista.
[...]
sabato 4 dicembre 2021
Vent'anni dalla morte della Principessa Maria
di Emilio Del Bel Belluz
domenica 28 novembre 2021
La Regina dal cuore gentile
di Emilio Del Bel Belluz
Il 28 novembre 1952 moriva in terra d’esilio, a Montpellier, Elena di Savoia, seconda Regina d’Italia, consorte di Re Vittorio Emanuele III e madre di Umberto II, Re d’Italia. Quando si pensa alla Regina Elena viene in mente la figura della madre che si prodigò senza risparmiarsi verso tutti gli italiani e tutto quello che aveva lo dava ai poveri. Basti pensare che nel periodo della Grande Guerra trasformò le sontuose stanze del Palazzo del Quirinale in ospedale militare si mise a curare i feriti, vegliare i moribondi e lavare i cadaveri.
sabato 27 novembre 2021
1899. Il Re a Sassari e la prima sfilata di costumi sardi: così nacque la Cavalcata
Lo spettacolo clamoroso offerto a Umberto e Margherita in visita nell'isola. Per la Regina è «l'evento più bello e più gradito che mi abbia potuto offrire la Sardegna»
ARTICOLO PUBBLICATO IL 21 APRILE 1899
26 NOVEMBRE 2021
Gli ampii viali del giardino pubblico sono già affollati, carabinieri e guardie durano fatica a contenere la folla perché resti libero il percorso della cavalcata.
Anche le adiacenze, specialmente l'emiciclo Garibaldi e la via Carlo Alberto, sono affollati.
Nel giardino pubblico sono due bande, quelle della Scuola di musica e della Società S. Cecilia. Alle 4 precise la fanfara Reale annunzia l'arrivo dei reali con Pelloux, Lacava, la marchesa Villamarina, la marchesa Trotti, il gen. Ponzio Vaglia e tutto il seguito. Sono ricevuti sul palco dal sindaco Mariotti e dal conte d'Ittiri, presidente del comitato dei festeggiamenti.
I monarchici scendono in campo per il "Made in Italy". "A Natale fate shopping patriottico"
Shopping natalizio Mady in Italia. E’ la campagna lanciata dall’Unione Monarchica Italiana col motto “Compra italiano, sostieni le aziende, sostieni il popolo, sostieni la Patria”. In sostanza, un esplicito invito agli italiani affinché prediligano gli acquisti sotto casa piuttosto che le grandi piattaforme on line.
“Partiamo dal presupposto che in Italia qualsiasi tipo di produzione è una eccellenza - afferma Michele Pivetti, ideatore della campagna e vice presidente dell’UMI -. Oggi le grandi aziende di e-commerce stanno drogando il mercato con prezzi sempre più insostenibili per le piccole realtà locali e per le piccole e medie imprese che dal gettito finanziario del periodo natalizio ricavano grande parte dei loro fatturati”.
[...]
lunedì 22 novembre 2021
VITA DI RE VITTORIO EMANUELE III A RACCONIGI
Racconigi, un Paese di sogno
“Qui a Racconigi mi trovo benissimo. Più vedo
questo paese e più mi piace; siamo in mezzo al verde più completo e non lontani
dalle colline, e le Alpi si vedono lontane ma non molto. Vado riconoscendo i
dintorni a cavallo e in vettura; aspetto quanto prima un'automobile per
estendere ancora più le mie gite. La Città di Racconigi è piccola, e lontana
abbastanza dalle grandi città. La casa mia è abbastanza grande, vi è un
magnifico giardino a Parco di 184 ettari con laghi, canali; e piante ve ne sono
di ben 150 qualità e molte altre qualità ne farò mettere. Le proprietà mie
intorno a Racconigi sommano a 1300 ettari circa, e sono molto frazionate; poco
alla volta me ne rendo conto; ho il mio tavolino pieno di mappe, rilievi ecc.;
tutti i giorni giro mattina e sera per conoscere il mio; è tenuto con ben poca
cura; ma spero di rimettere ogni cosa a posto in un tempo relativamente breve;
delle proprietà private nostre nessuno si era seriamente occupato dopo Carlo
Alberto, mentre sono veramente meritevoli di cura, come le sole delle quali
posso liberamente disporre. Qui, nei sulè mort (cioè i sottotetti
NdA) ho trovato molti interessanti ritratti dei P(rinci)pi e delle P(rincipe)sse
di Carignano, e un bel ritratto del tempo della Duchessa Iolanda, moglie di
Amedeo IX. Questi ritratti sono subito stati messi in posti di onore”.
Così
il 25 luglio 1901 Vittorio Emanuele III descrisse al generale Egidio Osio, già
suo “Governatore”, il primo importante “impatto” con la sua “casa” a Racconigi, ove era da poco giunto con la
Regina Elena e la primogenita, Jolanda, per un soggiorno estivo. Gli dette
appuntamento a Roma per il 29, anniversario dell'assassinio di suo padre,
Umberto I, e aggiunse: “spero di poter rientrare qui il 31”.
A
Racconigi il trentaduenne re d'Italia era già stato almeno due volte. La prima
il 28 agosto 1893 con il ministro della Real Casa Urbano Rattazzi jr, il
generale Emilio Ponzio Vaglia e piccolo seguito. L'aiutante di campo Paolo
Paulucci delle Roncole (un po' pettegolo) annotò nel Diario che il Castello era
l'unica proprietà privata del sovrano con la Palazzina di Caccia di
Stupinigi. Vittorio Emanuele vi tornò
“in gita” il 31 ottobre 1898, quando fece una corsa da Torino, in un mese fitto
di viaggi da La Spezia a Monza, Torino e ancora Monza, Napoli e Roma (per la
“Commissione di avanzamento” dei gradi nell'Esercito) per rifugiarsi infine a
Montecristo, lontano dalla capitale.
Ubi Rex...
Per le vacanze estive dal 1901 alla vigilia
della Grande Guerra Vittorio Emanuele III scelse il Castello di Racconigi a
preferenza di altre residenze reali, come Castelporziano, San Rossore e,
s'intende, la Villa di Monza, che “chiuse” all'indomani del regicidio.
Ubi Rex
ibi Potestas con tutti i suoi “tentacoli”, la Casa Militare, la Casa Civile e
l'esercizio di prerogative e funzioni. Per alcuni mesi l'anno Racconigi divenne
la Reggia. Vittorio Emanuele III vi ricevette missioni di Stati anche remoti
(Siam, Giappone, Persia, Abissinia...), presidenti del Consiglio, ministri,
notabili, artisti e scienziati.
Nel
1909 il Castello fu scenario della visita in Italia dello zar Nicola II
Romanov, da anni programmata ma rinviata per gravi motivi: la guerra
russo-giapponese, la prima rivoluzione in Russia, la crisi del 1908. Arrivato
per mare a Marsiglia e proseguito in treno, lo “csar” (come all'epoca si
scriveva) arrivò in Italia da Modane-Bardonecchia. Vestiva “militare” come
Vittorio Emanuele III, che lo accolse alla modesta stazione di Racconigi il 23
ottobre 1909 e lo condusse in carrozza al Castello, in tempo per la prima
conviviale. Venne lasciata su altra carrozza la statuaria guardia del corpo,
due metri di stazza, mantello rosso sino ai piedi. L'incontro di Racconigi
suggellò la lunga svolta della politica estera voluta dal re d'Italia, che,
senza rompere l'alleanza difensiva con Berlino e Vienna, dal 1901 aveva avviato
relazioni nuove con Parigi e ribadita l'amicizia con la Gran Bretagna, meta del
suo viaggio di Stato nel 1903.
Nei
nove anni da quando l'aveva scelto per le vacanze, il Castello era migliorato
molto ma non aveva i fasti del Quirinale, del Palazzo Reale di Torino e di
altre splendide residenze “di Stato”. Però offriva il pregio più importante: la
sicurezza, garantita dal presidente del Consiglio e ministro dell'Interno,
Giovanni Giolitti, che stese all'intorno una cortina di vigilanza, tanto
discreta quanto impenetrabile. Il nonno dello zar, Alessandro II, era stato
assassinato dinnanzi agli occhi del figlio, Alessandro III, da una nobildonna
anarchica. Il padre di re Vittorio fu ucciso da Gaetano Bresci. Negli stessi
anni vennero ammazzati il re del Portogallo, presidenti di Francia e Stati
Uniti, primi ministri in Spagna e altrove…: tutti fautori di riforme. Che
strano. Stessa sorte toccò a Sarajevo il 28 giugno 1914 a Francesco Ferdinando
d'Asburgo che voleva ammodernare il vetusto impero d'Austria-Ungheria.
Per
ricevere degnamente Nicola II il re arredò il Castello. La regina Elena
conosceva bene la sontuosità dei palazzi imperiali della Terza Roma a Mosca e a
San Pietroburgo. L'Italia non poteva sfigurare. I giornali annotarono tutto:
“Continuano a giungere, inviati da Torino e da Roma, carri e furgoni carichi di
mobili e di oggetti d'ornamento. Mentre uno stuolo di operai, agli ordini dei
giardinieri più esperti s'adopera con tutta lena a spianare i viali del Parco,
a cospargerli di finissima ghiaia, a rimuovere aiuole ed a creare artistici parterre
di fiori, numerosi falegnami, tappezzieri ed elettricisti si avvicendano in un
febbrile lavoro di arredamento, o meglio di rinnovamento delle sale. Una ditta
di Torino ha inviato qui i suoi migliori e più abili operai, per surrogare
tutte le tappezzerie, tutti i tappeti, tutte le tende. È una profusione
spaventosa di mobili ricchissimi, di statue, di candelabri, di piante
ornamentali, di lampadine elettriche. Gli appartamenti del primo e del secondo
piano saranno tra due o tre giorni completamente trasformati. Questo
addobbamento speciale non è però destinato a rimanere ma è soltanto
provvisorio”. Chiacchiere, forse anche per depistare.
La
visita rimase impressa nella memoria di Umberto, all'epoca principe di
Piemonte, nato nel Castello il 15 settembre 1904. In un’intervista
rilasciatagli a Cascais il 4 novembre 1979 Lucio Lami ne pubblicò i ricordi:
“Rivedo poi, proprio come in una sequenza cinematografica, la visita a
Racconigi dello zar. Soprattutto la vigilia del suo arrivo, perché passai ore a
guardare un reparto di bersaglieri che provavamo la sfilata nel viale davanti
al Castello, quel bel viale con le piante di aranci. Ero anche affascinato da
un grande rullo compressore che andava su e giù sul piazzale, livellandolo a
dovere. Dello Zar ricordo perfettamente le mani inanellate; potrei riconoscerlo
ancor oggi dalle mani. Poi la sua giubba rossa e la sua voce. Parlava francese,
con noi, ma appena poteva preferiva l'inglese. Dal suo paese aveva portato per
noi ragazzi un giocattolo gigantesco, un intero villaggio russo riprodotto in
legno in dimensioni ridotte; relativamente ridotte, visto che le costruzioni
erano alte quasi mezzo metro. C'erano la chiesa, la casa del pope, le isbe, i
recinti. Tutto era contenuto in una grande quantità di casse che furono portate
in uno dei saloni del Castello, dove vennero aperte alla presenza di tutti.
Alcuni di quegli altissimi cosacchi che l'Imperatore s'era portato appresso si
misero all'opera per montarlo. Ricordo che lo Zar ci disse: Vi ho portato
questo dono perché impariate a conoscere la Russia e sperando che un giorno
verrete a visitarla”.
Mentre
i ministri degli Esteri dei due Stati mettevano a punto il Trattato che il 24
ottobre riposizionò l'Italia nel quadro delle Grandi Potenze, poiché la mattina
era nebbiosa il re sostituì la partita di caccia con una corsa in auto a
Pollenzo passando da Carmagnola,
Sommariva Bosco e Bra per far vedere allo zar il Castello, la vasta tenuta e le
rovine romane, l'anfiteatro e i ruderi di un tempio. Nel ritorno a una delle
due auto scoppiò uno pneumatico e i suoi occupanti fecero tardare il pranzo “di
Stato”.
Il Re, la Regina, la nazione nascente
Il
Castello fu anche luogo d'incontro tra i reali, la popolazione e visitatori di
tutte le classi sociali. Una volta la Regina Elena accolse a colazione una
moltitudine di donne e di ragazze “interessandosi specialmente di quelle più
umili e modeste, o meno fisicamente favorite dalla fortuna. A tutte faceva
coraggio, le invitava a mangiare ed a portar via senza soggezione quanto
avanzavano dalla lauta refezione. – Portate pure a casa – diceva; questa sera
avete poi già da far a merenda e la cena”.
A
Racconigi Vittorio Emanuele III alternò vita “pubblica” e “privatissima”.
Annotò: “Domenica la Regina ed io abbiamo celebrato il V° anniversario del
nostro fidanzamento con una bella passeggiata di 360 km per Cuneo, Tenda, et
Breglio. Siamo andati a Ventimiglia, poi lungo la riviera sino ad Oneglia, poi
per Pieve del Teco abbiamo passato il colle di Nava e per Garessio, Ceva,
Dogliani, Cherasco, et Brà, siamo tornati a casa; in 13 ore di gita”.
Lungo
il giorno il Re si occupava a lungo delle “questioni di Stato”, chiudendosi nel
suo gabinetto col generale Ugo Brusati, primo aiutante di campo, e con altri
segretari particolari, sbrigando la corrispondenza. Aprivano i grossi pacchi di
carte, specie del ministero dell'Interno, che anche due volte al giorno gli
venivano recapitati da Roma.
Quando
poteva, viaggiava in incognito. Un giorno partì dal Castello alle 4 del
mattino. Vestito in borghese con cappellino di paglia e accompagnato dal
generale Brusati si recò in phaeton guidato da lui stesso e scortato da
alcune guardie cicliste a visitare la Tenuta di Pollenzo per esaminarvi di
persona le migliorie. All'andata percorse la strada verso Bra sbucando presso
il Santuario della Madonna dei Fiori e transitò per Bra verso le 6. Alle 9
rientrò procedendo per strade di campagna, dalla Pedaggera alla salita del
gerbido, girando così intorno a Bra. Tornò a Racconigi per Cavallermaggiore,
deludendo le aspettative dei braidesi che, ormai avvertiti, lo attendevano
nelle vie Vittorio Emanuele e del Santuario.
La
mattina del 25 agosto, una domenica, per desiderio della Regina si tenne nel
parco una festa per i fanciulli delle scuole della Città e dei dintorni. Verso
le 9, narrano le cronache, gli alunni e le alunne (più di settecento) con i
rispettivi maestri e maestre accedevano all'interno del Parco Reale dalla porta
cosiddetta Torre Cinile, preceduti dalla banda della Società Operaia Umberto I,
che, non appena scorti i sovrani, i quali, per meglio vedere, si erano
affacciati da un ripiano dello Scalone, ha cominciato a intonare la Fanfara
Reale, mentre i bambini procedendo in fila gettavano mazzetti di fiori, omaggio
visibilmente gradito alla Regina. Al termine della sfilata tutti il direttore
didattico, cavaliere colonnello Luciano, pronunciò un discorso patriottico. La
Regina si intrattenne affabilmente con
i bambini degli asili e con le fanciulle. Il re, in bassa tenuta di generale,
fece altrettanto con gli alunni delle scuole elementari. La regina vestiva satin
gris perle con largo cappello. Ottenuto il permesso di prendere d'assalto
le due lunghe tavole, cominciò la vera festa mentre la banda eseguiva un
programma scelto. Un bambino lamentò con un “anziano” di non aver ancora bevuto
nulla; l'“anziano” provvide. Era Vittorio Emanuele III. Alle 11 iniziò a
piovere e ognuno tornò “a casa”.
Il
Castello era anche la “base” per salire nelle valli, in specie sopra Sant'Anna
di Valdieri o a San Giacomo d'Entraque, per pesca e caccia al camoscio. Ne
hanno scritto Walter Cesana in “I Savoia in Valle Gesso” e Alessandro e Simone
P. Milan in “Residenze Reali di Casa Savoia nel Distretto di Caccia di Valdieri
in Valle Gesso (1864-1943), libri “di nicchia”.
Il 28
agosto 1901 i sovrani andarono in automobile a Moretta per visitare il
caseificio dei fratelli Barberi. Ne accenna “Moretta. 120 anni di industria
agroalimentare” curato da Antonio Battisti, Maria Cristina Moine, Mario Piovano
e Domenico Podio per l'UniTre di Moretta (settembre 2021). Lì avveniva la
trasformazione della maggior parte del latte del circondario di Saluzzo: “Verso
le 9 (venne narrato) l'automobile reale si fermava nell'ampio cortile del
fabbricato tra la sorpresa degli operai presenti; discesone il re ha subito
pregato il proprietario, Attilio Barberi, venuto ad accoglierlo con alcuni
collaboratori, di non interrompere i lavori e gli ha raccomandato il silenzio
sulla sua venuta. All'interno gli augusti visitatori si sono molto meravigliati
delle potenzialità del macchinario, della modernità dei sistemi di lavorazione,
della finezza dei meccanismi delle scrematrici, su cui scorrevano continuamente
fiumi di latte, e della coagulazione del latte col caglio. Poscia i reali si
sono recati a visitare le stalle annesse al caseificio, dove sono allevati
migliaia di suini di tutte le razze. Terminata la visita il re si è congedato e
si è congratulato vivamente coi fratelli Barberi. Dopodiché la reale comitiva
si è diretta nuovamente verso Racconigi dove giungeva dopo le 10, ora in cui, a
causa della fiera nelle strade dove è passato l'automobile reale, cioè via
Regina Margherita, Piazza Carlo Alberto e via Umberto I, la molta gente venuta
da fuori ha salutato vivamente i sovrani visti per la prima volta. All'ingresso
ovest del parco reale detto Porta del Cinile le Loro Maestà e i principi sono
scesi dall'automobile e si sono recati facendo pochi passi al grande setificio
dirimpetto, detto Potagero, di cui è proprietario il cavalier Sacerdote, ivi
accolti dal direttore Giordano, anche se quasi subito è arrivato anche il cav.
Sacerdote prontamente avvertito della presenza degli augusti visitatori, ai
quali dopo averli ossequiati ha dato loro le più minute spiegazioni. Purtroppo
essendo la trattura della seta nella filanda ferma i reali si sono dovuti
accontentare di vedere in funzione la sola lavorazione nel filatoio che hanno
esaminato attentamente dal “baratrone” all'“incannatoio”. Al termine del
sopralluogo, gli operai e le operaie stupefatti della visita inattesa
prorompevano in una spontanea ed entusiastica acclamazione ai sovrani i quali a
loro volta hanno salutato operai e proprietario mostrandosi vivamente
soddisfatti”.
Una
decina di giorni dopo, la domenica 8 settembre, i reali andarono in treno a
Saluzzo per assistere allo scoprimento del busto in bronzo di Umberto I (oggi
nascosto in un “deposito”, come quelli di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele
II), opera dello scultore Leonardo Bistolfi, massone, molto apprezzato da
Vittorio Emanuele III. Era il coronamento delle feste per il terzo centenario
dell'annessione dell'antico Marchesato di Saluzzo ai domini di Casa Savoia. Poi
visitarono la Cattedrale, ricevuti dal vescovo monsignor Mattia Vicario, dal
capitolo e dal clero e il grandioso “Ospedale” Tapparelli d'Azeglio.
Erano anni
operosi, di progresso e di coesione civile nell'Europa della “Belle Epoque”. Il
“sistema” istituzionale, però, era e rimase un triangolo scaleno mentre
cresceva la tensione militare tra gli Stati. Anziché appagati dall'espansione
coloniale accelerata dal 1880 le maggiori potenze vennero travolte da un'onda
di ritorno che si ripercosse sui confini più fatiscenti, a cominciare
dall'impero turco, e nei Balcani sino a innescare la Grande Guerra. Tornarono a
soffiare inarrestabili venti di guerra. Anche l'Italia intervenne. A fine
maggio del 1915 da Roma il “re soldato” si trasferì a Martignacco, presso
Udine, in zona di operazioni. Poco a poco Racconigi perse il rango di “capitale
estiva” del Regno d'Italia.
Nei
quarantasei anni di trono Vittorio Emanuele III visse per l'Italia, uno Stato
che da appena trent'anni aveva Roma capitale quando egli ereditò la Corona, un
Paese che nel suo mezzo secolo di regno ebbe alleati, ma nessun vero amico.
domenica 21 novembre 2021
Capitolo XLI: L’otto settembre 1943, l’Italia divisa.
di Emilio Del Bel Belluz
La guerra però non era finita, dopo il ritiro dei tedeschi, molti soldati della RSI li seguirono, verso il confine. Temevano d’essere uccisi dai partigiani e non avrebbero in nessuno modo ceduto le armi. Carnera parlava di queste cose alla moglie, mentre dava da mangiare ai figli. Quello che preoccupava molti italiani erano i partigiani, che avevano dato inizio al tremendo periodo delle vendette.