di Francesco Motto
Crispi e Don Bosco
In miseria accetta di essere
aiutato da don Bosco
L’avvocato siciliano Franccsco
Crispi in esilio volontario a Marsiglia dopo la rivoluzione siciliana del
1848-1849 e poi formalmente espulso dal Regno delle due Sicilie per motivi
politici, nel settembre 1849 si era trasferito a Torino. Nella capitale del Regno
di Sardegna, l'unico stato italiano che avesse mantenuto la sua costituzione,
l'esule ebbe uno scambio epistolare con Giuseppe Mazzini, del quale condivideva
l'ideale repubblicano. Rimaneva però critico con la politica piemontese, per
cui in occasione della fallita insurrezione mazziniana del febbraio 1853, il 6
marzo, fu arrestato dalla polizia torinese, interrogato e incarcerato.
Trasferito la settimana dopo a Genova, fu fatto salire su di una nave in
partenza. Destinazione obbligata: la colonia britannica di Malta.
Ora nel corso del soggiorno
torinese il Crispi conobbe la povertà e forse anche la fame. Don Bosco - ci
raccontano le cronache salesiane - a passeggio con un gruppo di fanciulli lo
intravide un giorno vestito molto dimessamente, come di una persona in
difficoltà economiche, e lo invitò a venirlo a trovare a Valdocco. Ci venne, si
sedette a mensa con don Bosco e così fece per varie settimane, visto anche che
stava in affitto presso la Consolata, non lontano da Valdocco. Nel corso dei colloqui
il Crispi si interessava anche di quanto vedeva sotto i suoi occhi e del
modello educativo di don Bosco, il quale sembra sia riuscito anche a
confessarlo. Talora don Bosco incaricava un amico di Castelnuovo di portargli
il pranzo, del denaro, indumenti e scarpe. Se lo faceva per tanti ragazzi
bisognosi accolti in casa sua, non mancava di farlo anche per un borghese
impoverito (che si sarebbe poi arricchito, anche se non gli sarebbero mancati
altri periodi economicamente critici).
Un conclave fuori Roma? Fuori Italia?
I due si persero po’ di vista. Don
Bosco rimase a Torino a sviluppare la sua opera, mentre il Crispi intraprese un
lungo e tortuoso percorso politico, che lo portò ad essere il massimo
sostenitore della spedizione dei Mille, alla quale partecipò, convertendosi da
mazziniano a sostenitore degli ideali monarchici. Divenuto "Maestro di
loggia massonica”, anticlericale e ostile al Vaticano, dopo l'unità d'Italia fu
poi quattro volte presidente del Consiglio, oltre che anche ministro degli
Esteri e ministro dell'Interno.
In questo ultimo ruolo dovette
affrontare il caso del conclave alla morte di Pio IX il 7 febbraio 1878
allorché don Bosco scriveva al vescovo di Rio de Janeiro: "Pio IX non è più.
Roma è in costernazione. Tutti i cardinali e tutto il corpo diplomatico è al
Vaticano".
Fra i cardinali presenti in Roma
era maggioritaria l'opinione che si dovesse tenere il conclave fuori di Roma,
"occupata" com'era dal Regno d'Italia e a rischio di disordini antipapali
da parte delle sinistre estreme. C'era anche chi proponeva di tenerlo fuori
dell'Italia, in territorio austriaco o francese. Confidando però che il governo
italiano, a norma della legge delle Guarentigie (rifiutata dal papa) avrebbe
provveduto ad evitare qualsiasi "esterna violenza" alle adunanze del
conclave, onde garantire la completa libertà personale dei cardinali, questi si
accordarono nel tenere l'assise in Roma. Ovviamente entro le mura della città
del Vaticano, vista l'indisponibilità del Quirinale, al momento occupato dal
neo re d'Italia Umberto I.
Nell’ufficio dei ministro dell’interno
Don Bosco si trovava a Roma da
quasi due mesi. Avvicinava amici, benefattori, esponenti dell'aristocrazia e nobiltà
romana, autorità religiose e civili. Aveva bisogno di appoggi, permessi,
concessioni, "privilegi", sostegni economici soprattutto da quando
annualmente lanciava spedizioni missionarie in America Latina. Di propria
iniziativa - o su suggerimento di qualche prelato pontificio ben informato
delle sue precedenti missioni ufficiose presso esponenti politici - pensò bene
di sondare le reali intenzioni del governo Depretis e particolarmente del
ministro dell'Interno Crispi. Non si potevano infatti escludere pressioni
indebite in Roma e all'interno della stessa città del Vaticano.
Chiese dunque udienza all'onorevole
Crispi, che il 16 febbraio lo ricevette. Dopo i convenevoli ed i ricordi dei
tempi di Torino, passarono a parlare dei problemi dei minori in carcere, tanto
che il ministro chiese a don Bosco un programma di lavoro ispirato al suo
sistema preventivo ed anche la ricerca in Roma di luoghi di educazione, di
proprietà del governo, dove applicarlo. Cosa che don Bosco fece subito,
inviando il 21 febbraio al ministro un memorandum “di poco costo al governo e
di facile esecuzione”, come lo avrebbe definito successivamente rimandandolo al
successore di Crispi, l'onorevole Giuseppe Zanardelli, pure da don Bosco avvicinato
anni prima nel collegio di Lanzo Torinese.
Ma più che più interessava in quel
frangente era la garanzia della libertà di conclave. Crispi gliela assicurò,
don Bosco riferì soddisfatto in Vaticano e il ministro effettivamente bloccò
sul nascere i cominciati turbamenti dell'ordine pubblico. I cardinali diedero
inizio alle votazioni nella cappella Sistina il 19 febbraio e la mattina del 20
il cardinal Pecci era già eletto Sommo Pontefice con il nome di Leone XIII.
Don Bosco non incontrerà più il
Crispi, costretto a dimettersi dal ministero quindici giorni dopo per accuse di
bigamia. Riprenderà i contatti con il suo successore e con vari altri ministri
della stessa Sinistra Storica. Era convinto che l'Opera salesiana fosse a
servizio del bene comune e promuovesse l'educazione dei giovani d'Italia e del
mondo; dunque la politica, anche quella ostile alla chiesa, doveva tutelarla e
non ostacolarla.
dal Bollettino Salesiano, Luglio Agosto 2014
Nessun commento:
Posta un commento