Intervista esclusiva a Elena Falini, di Collelungo di San Venanzo,che ha vissuto a Corte con il marito, autista del Re da: www.giornaledellumbria.it
[,,,]
Lui è Carlo Maurini, lei è sua moglie, Elena Falini in Maurini. Entrambi umbri. Carlo è morto da qualche anno, portando nella tomba alcuni “segreti” (come i contenuti del lungo colloquio che ebbe, nel 1981, con Umberto II di Savoia a Cascais). La signora Elena vive a Collelungo, frazione di San Venanzo, nella casa che dal 1960 ha condiviso con il marito e con i figli (Maria Cristina e Maria Luisa, nate a Cascais, e Giovanni e Gabriella, venuti alla luce dopo il ritorno in Italia dei genitori).
Per anni, dopo che avevano lasciato il servizio a Casa Reale, lungo 11 anni per Carlo e 8 per Elena, quotidiani, settimanali e televisioni hanno cercato invano di intervistarli. La signora Elena ha deciso di parlare solo ora, in esclusiva con il Giornale dell’Umbria.
La incontriamo nella sua bella casa di Collelungo, a pochi metri dal castello e dalle cantine degli eredi del conte Zeffirino Faina, insieme alle figlie Maria Cristina e Gabriella e al nipote Fabiano. Sul tavolo, una valanga di foto, documenti e lettere di Umberto II. In quelle foto e in quei documenti un pezzo importante e lungo della loro vita, quello passato in Portogallo con la Casa Reale.
Un legame forte, quello della famiglia Maurini con i Savoia. Anche perché Umberto II e le principesse hanno fatto da padrino e madrine alle due figlie dei coniugi Maurini nate a Cascais, Maria Cristina e Maria Luisa (quest’ultima è poi diventata un’importante calciatrice negli anni Settanta e Ottanta, giocando nella nazionale).
Signora Elena, innanzitutto grazie per deciso, dopo lunghi anni di silenzio, di parlare in esclusiva con il Giornale dell’Umbria.
«Mio nipote Fabiano mi ha parlato molto bene di voi e così mi sono decisa. Per anni, dopo che siamo tornati dal servizio a Umberto II in Portogallo, quotidiani, settimanali e tv hanno chiesto di intervistarci. Ma abbiamo sempre rifiutato».
Tutto è iniziato quando a suo marito Carlo è arrivata la proposta di recarsi in Portogallo per fare l’autista di Umberto II di Savoia.
«Sì, subito dopo la guerra mio marito era diventato autista di un generale di stanza al Quirinale, dove risiedeva il re. In quelle occasioni diventò amico dell’autista di Vittorio Emanuele III e, successivamente, di Re Umberto II. Quando quest’ultimo partì per il Portogallo l’autista preferì restare in Italia, proponendo a mio marito di prendere il suo posto. Fu così che Carlo prese servizio come autista di Umberto II nel 1949, partendo con lui per Cascais».
E lei?
«Io arrivai nel 1952. Si era liberato un posto tra il personale di servizio e così mi fu offerta questa possibilità».
Suo marito era sempre con Umberto II.
«Doveva essere sempre a disposizione, per qualsiasi esigenza di spostamento che il Re avesse. Ha accompagnato il Re in moltissimi Paesi d’Europa. Umberto II si fidava molto di lui e, anche dopo che siamo tornati in Italia, i rapporti sono stati mantenuti sia con Umberto II che con il principe Vittorio Emanuele e le principesse Maria Beatrice (chiamata “Titti”, ndr), Maria Gabriella e Maria Pia, attraverso lettere e cartoline». (Ci mostra e ci fa consultare una gran quantità di queste lettere e cartoline).
Quando lei arriva a Cascais, nel 1952, cosa trova?
«Quando arrivai, il Re non c’era e neppure le principesse, assenti per qualche giorno. Villa Italia, la residenza della famiglia, era una struttura vecchia, sul lungomare di Cascais, adiacente un ampio bosco. Lì vivevano il Re con le figlie femmine, mentre Vittorio Emanuele abitava in Svizzera, con la madre. Noi abitavamo in alcune stanze del complesso della villa. Poi, con la nascita delle nostre figlie, trovammo un’altra sistemazione, più comoda, sempre e Cascais. Successivamente, il Re acquistò un’area e vi costruì un’altra abitazione, più moderna, chiamata sempre Villa Italia».
Che tipo era Umberto II?
«Austero, riservato e gentile. Aveva modi molto cortesi con tutti. Quando passava ci si doveva inchinare e spesso ero imbarazzata, perché magari mi trovavo con una scopa in mano e facevo l’inchino mantenendo in mano la scopa. Trovavo la cosa buffa. Lo divertiva molto quando gli faceva l’inchino mia figlia Maria Cristina. Lo faceva perfettamente, glielo avevo insegnato a puntino, e il Re vedendo una bimba farlo in modo perfetto rideva di gusto». («Mia madre - interviene Maria Cristina - non solo mi ha insegnato perfettamente l’inchino, ma anche il portamento, facendomi camminare con il classico libro in testa, che non doveva cadere»).
[...]
http://www.giornaledellumbria.it/article/article149899.html
Nessun commento:
Posta un commento