Convegno Unione Monarchica Italiana,
Napoli, 16/11/2013
Giovanni
Vittorio Pallottino
Il
periodo che stiamo vivendo appare segnato dalla mancanza di prospettive, in
breve dal vuoto della speranza, quello che induce tanti nostri giovani
qualificati, molte diecine di migliaia ogni anno, a cercare una strada
all’estero. Sono impietose al riguardo le recenti analisi di Luca Ricolfi (La Stampa,
14 ottobre 2013), che parla una Italia dove nulla cambia ormai da tempo, e di
Ernesto Galli della Loggia (Corsera, 20 ottobre 2013), che spiega come il
nostro Paese sia stia perdendo, disfacendosi lentamente. Il quadro complessivo
è dunque ben diverso, diciamo anzi opposto, a quello vissuto nei primi decenni
del Regno d’Italia, dove le speranze di costruire una nazione trovavano
rispondenza nei fatti, con progressi straordinari in tutti i campi come ha
magistralmente illustrato Domenico Fisichella nel suo libro Dal Risorgimento al
Fascismo (Carocci, 2012).
Uno
dei dati di fatto più preoccupanti è che, mentre la ricerca scientifica
continua ad essere sottofinanziata, il nostro sistema industriale perde un
pezzo dopo l’altro, procedendo sulla strada della deindustrializzazione, come
ha documentato anni fa Luciano Gallino nel saggio La scomparsa dell’Italia
industriale (Einaudi, 2003), anche in settori dove l’Italia emergeva. Prima
l’informatica, dopo la scomparsa di Adriano Olivetti, poi la chimica, l’acciaio
(Terni e ora ILVA), gli elettrodomestici, l’alluminio (Alcoa), Ansaldo,
Telecom, Alitalia. E tutto il resto del settore manifatturiero in crisi anche
per l’avanzata della globalizzazione e del made in China.
Ma
dove stanno, dove erano, le elite culturali che avevano piena nozione della
pericolosissima strada seguita dai governi per molti decenni di seguito? Cioè
coloro che si rendevano conto dell’improvvisazione alla base di politiche non
meditate, oscillanti fra abbandoni di posizioni di preminenza e spreco di
risorse per improbabili salvataggi o costruzione di cattedrali nel
deserto. Arrivando, nella sostanza, ad affidare la politica industriale del
Paese agli interventi estemporanei dei sindacati, della magistratura o peggio
ancora alle sollevazioni popolari alla base del Nimby.
Dove
erano dunque queste elite culturali? Sostanzialmente in silenzio forzato, dato
che nelle vicende politiche della nostra sfortunata repubblica le esigenze del
momento, per motivi elettorali, hanno sempre dominato sugli interessi nazionali
a più lungo termine, In buona sostanza perché si considera inutile fare favori
alle generazioni future, quelle che oggi non votano.
Del
resto le elite culturali della scienza, della tecnologia e dell’impresa non
sono rappresentate neppure laddove la costituzione repubblicana, mantenendo,
sia pure assai limitatamente, una norma dello Statuto Albertino, prevedeva
appunto la presenza di questi personaggi nel senato. E a questo proposito possiamo
fare un piccolo esercizio di analisi applicata alla storia politica del nostro
Paese.
Ricordiamo
allora che il Senato del Regno era vitalizio e di nomina regia, e che in base
all’art. 33 dello Statuto, i senatori potevano essere scelti fra gli appartenenti
a determinate categorie, una delle quali riguardante i membri dell’Accademia
reale delle scienze, poi Accademia dei Lincei, un’altra Coloro che con
servizii e meriti eminenti avranno illustrata la Patria.
Scorrendo
l’elenco dei membri del Senato del Regno, nel secolo che va dal 1848 alla sua
soppressione a seguito del mutamento istituzionale, si rimane impressionati dal
numero e dalla qualità dei personaggi. Accanto ai molti esponenti delle lettere
e delle arti, da Manzoni a Verdi (che si autoqualificò scherzosamente come
“Suonatore del Regno”), e delle scienze umane, da Maffeo Pantaleoni a Benedetto
Croce, Giovanni Gentile e Luigi Einaudi, sono particolarmente numerosi i
rappresentanti delle scienze matematiche, fisiche e naturali e delle scienze mediche.
Fra i
matematici troviamo Ulisse Dini, Giuseppe Colombo, Vito Volterra, fra gli
astronomi Giovanni Schiaparelli. Fra i fisici: Antonio Pacinotti, inventore
della dinamo, Carlo Matteucci, Augusto Righi, il geofisico Luigi Palmieri,
Pietro Blaserna (predecessore di Corbino nella direzione dell’Istituto di
fisica dell’Università di Roma), Orso Mario Corbino e Antonio Garbasso.
Fra i chimici: Stanislao Cannizzaro, e Giacomo Ciamician. Fra i medici: il
premio Nobel Camillo Golgi, il tisiologo Eugenio Morelli, l’inventore dello
pneumotorace Carlo Forlanini, Antonio Cardarelli, Giuseppe Bastianelli e
numerosi altri.
Ma
vanno ricordati anche i senatori prescelti fra i personaggi operanti
nell’ambito delle scienze applicate e delle tecnologie, come Guglielmo Marconi,
l’elettrotecnico Galileo Ferraris, padre del moderno motore elettrico,
l’agronomo genetista Nazzareno Strampelli, il fisico Guglielmo Mengarini che
realizzò la prima trasmissione a distanza dell’elettricità in corrente
alternata, e l’ingegnere Piero Puricelli a cui si deve la concezione delle
moderne autostrade e la loro prima realizzazione in Italia.
Tutto
ciò significa che la camera alta del Regno poteva avvalersi della
presenza e del consiglio di personalità dotate di altissima qualificazione
nelle più diverse discipline scientifiche e tecnologiche. E il punto
veramente essenziale è che queste personalità erano pienamente libere di
operare secondo i loro intendimenti, non essendo legate a mandati elettorali.
La
carica di senatore non era certamente un titolo di facciata, puramente
onorifico. Gran parte di questi personaggi svolsero infatti ruoli attivi,
assumendo incarichi importanti, anche a livello di governo, esercitando potere
decisionale soprattutto nei settori dell’istruzione pubblica, della medicina e
in generale della scienza; determinando le direzioni di sviluppo della ricerca
scientifica e tecnologica e creando nuove istituzioni. A tal proposito, va
ricordato il grande matematico e fisico Vito Volterra, padre della moderna
ecologia matematica. Perché ebbe un ruolo essenziale nella costituzione
nel 1923 del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del quale fu il primo
presidente. E anche l’opera dell’agronomo Nazzareno Strampelli per la creazione
dell’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura, che portò a
migliorare grandemente la resa delle coltivazioni del grano.
Più
nota, anche grazie agli sceneggiati trasmessi in Tv negli anni scorsi, è la
vicenda del direttore dell’Istituto di Fisica dell’università di Roma Orso
Mario Corbino (1876-1937). Senatore del Regno nel 1920, ministro della Pubblica
Istruzione e poi dell’Economia Nazionale nei primi anni Venti, Corbino ha il
grande merito di aver chiamato Enrico Fermi all’università di Roma, istituendo
per lui la prima cattedra di Fisica teorica in Italia, e di aver contribuito in
modo decisivo alla creazione della “scuola di via Panisperna”. Le scoperte di
questo gruppo di giovanissimi aprirono la porta a sviluppi determinanti della
fisica nucleare e condussero successivamente, per opera di Fermi, alla prima
dimostrazione dello sfruttamento pratico dell’energia nucleare, attuata a
Chicago nel dicembre 1942. Ma qui è opportuno ricordare come Corbino, egli
stesso fisico di indubbio valore, non disdegnasse, come del resto vari altri
studiosi del tempo, di occuparsi di questioni applicative, fra le quali
rammentiamo l’impegno per favorire lo sviluppo della produzione idroelettrica:
quel “carbone bianco” che per decenni, come già ricordato, avrebbe garantito
all’Italia piena autonomia nell’approvvigionamento dell’energia elettrica.
Tuttavia il ricordo dei meriti di Corbino non evitò, nei primi anni ’80, che la
nostra proposta di intitolargli un liceo scientifico, l’attuale liceo Talete di
Roma, venisse respinta dagli insegnanti, evidentemente influenzati dallo
spirito del “sessantotto”.
La
creazione di una scuola scientifica di grande rilievo come quella dei fisici di
Roma, grazie al ruolo istituzionale del promotore, non fu certamente una
eccezione. La vicenda del fisico Antonio Garbasso (1871-1933), per esempio, è
per molti versi parallela a quella di Corbino. Sindaco di Firenze e anch’egli
senatore, negli stessi anni ‘20 del secolo scorso Garbasso chiamò Enrico
Persico a insegnare fisica teorica a Firenze e creò la meno conosciuta, ma
assai importante, “scuola fiorentina di fisica” con personaggi quali Bruno
Rossi e Giuseppe “Beppo” Occhialini. Studiosi che diedero contributi
essenziali agli studi sui raggi cosmici, nel settore di ricerca che va oggi
sotto il nome di “astroparticelle”, sfiorando entrambi il Nobel, che avrebbero
pienamente meritato.
Osserviamo
ora che tutto ciò avveniva in epoca assai lontana, fra un secolo e mezzo e un
secolo addietro, quando l’importanza della scienza e della tecnologia nella
società era incomparabilmente inferiore a quella di oggi. Pensiamo soltanto ai
problemi dell’energia, dell’ambiente e del clima, all’innovazione tecnologica
per lo sviluppo del sistema industriale e alle delicate questioni sollevate dai
progressi delle scienze biologiche e mediche, che si pongono attualmente e a
cui è arduo trovare soluzioni efficaci. Eppure a quel tempo, come abbiamo
appena visto, il ruolo degli uomini di cultura, e in particolare degli
scienziati, era, anche a livello istituzionale, decisamente assai più rilevante
dell’attuale. Con ricadute preziose per l’Italia.
E
oggi? Sappiamo che il senato repubblicano è sostanzialmente elettivo e che fra
i senatori eletti annovera, e ha annoverato, valenti studiosi, sebbene
estremamente pochi. Nella costituzione del 1947 resta tuttavia una
traccia delle norme del precedente Statuto Albertino, rappresentata nell’art.
59, che recita: Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita
cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo
sociale, scientifico, artistico e letterario. E che pone dunque un limite,
peraltro variamente interpretato negli anni, al numero dei senatori a vita che
possono essere nominati per meriti speciali.
Esaminando
le informazioni raccolte sul sito del Senato troviamo che dal 1948 al 2012, a
fronte di 31 nomine, vi è stato spazio soltanto per due scienziati - il
matematico Guido Castelnuovo nel 1949 e, ben 52 anni dopo, il premio Nobel Rita
Levi Montalcini nel 2001, che ha visto riconosciuti i suoi meriti solo alla
veneranda età di 82 anni – e per un tecnologo, Sergio Pininfarina nel
2005. Qualche maggiore considerazione si riscontra per gli esponenti delle
scienze umane, delle lettere, delle arti e dell’industria. Ma lo spazio
maggiore è stato trovato per la categoria dei politici, che sono ben 16 sul
totale di 36, a cui vanno aggiunte le 10 nomine di diritto riguardanti gli ex
presidenti della repubblica, che rientrano in una diversa norma costituzionale.
E’
molto significativo osservare però che, nei decenni dell’epoca repubblicana, le
scelte presidenziali hanno subito una evidente deriva, in quanto via via sempre
più orientate a vantaggio dei politici rispetto agli esponenti della cultura e
in generale della società civile. Fra i primi a ricevere la nomina a senatore,
nel periodo1949-1950, troviamo infatti il già ricordato matematico Castelnuovo,
il musicista Toscanini, lo scultore Canonica, lo storico Gaetano De Sanctis,
l’economista Jannaccone e il poeta Salustri (Trilussa), cioè nessun politico.
Nel 1991, invece, vennero nominati quattro politici (Spadolini, Andreotti, De
Martino e Taviani) e un esponente dell’industria (Gianni Agnelli). In realtà
una inversione di tendenza si registra con le recentissime nomine (2013) da
parte del presidente Napolitano di due scienziati, il fisico Carlo Rubbia e la
neurobiologa Elena Cattaneo, e dell’architetto Renzo Piano.
Merita
comunque ricordare una esperienza che risale all’epoca della presidenza Cossiga
(non ancora “picconatore”). Quando incontrò un muro di gomma e si risolse in
nulla il nostro suggerimento al segretario generale del Quirinale Sergio
Berlinguer di proporre al Presidente la nomina a senatore del fisico Edoardo
Amaldi, scienziato di primissimo ordine e persona di straordinario e disinteressato
impegno civile oltre che di grande umanità e saggezza.
La
perdita di status della scienza a livello istituzionale si riflette
inevitabilmente nella società. E i risultati li ritroviamo nella deriva
antiscientifica in atto ormai da tempo, quella che ci allontana sempre più dal
mondo moderno. Che impedisce di fare ricerca sugli OGM, castrando il sistema
agroalimentare, che si oppone al nucleare rinunciando ad affidarci
all’industria nazionale per ricorrere invece all’industria straniera per il
fotovoltaico e l’eolico, provocando tra l’altro costi abnormi per le forniture
di elettricità, che si oppone alla TAV pur proclamando di lottare contro il
trasporto su gomma, che combatte la ricerca medica su pretesti animalisti
arrivando alla violenza nei confronti degli studiosi come nel caso Garattini,
che impedisce la valorizzazione dei rifiuti urbani imponendone l’invio
all’estero con una perdita valutata in 4 miliardi l’anno.
E
voglio ricordare, per concludere, altri due elementi che segnano la crisi di
prospettive che si accompagna alla perdita del senso dello stato e alla
decostruzione della Nazione. Da un lato il crollo demografico, per cui siamo
incamminati sulla strada dell’estinzione, e dall’altro la continua crescita,
negli anni, della parte di territorio nazionale controllato effettivamente
dalla malavita organizzata- Che è resa palese, per fare un esempio
recentissimo, dall’episodio riguardante la partita di calcio
Nocerina-Salernitana.
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