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di Paolo Casotto
La fine della Seconda Guerra
Mondiale, le epurazioni e la sconfitta della monarchia nelle elezioni non sono riuscite a far cancellare
l’intitolazione della galleria che ha salvato l’esito del 1° Conflitto
Mondiale. Concepita e organizzata, per essere il “nocciolo” del Grappa,
studiata per poter sopravvivere e combattere sotto una corteccia rocciosa di
circa 25 metri, ha permesso al soldato italiano di resistere e di mantenere il
fronte. Il Generale Cadorna, comprese subito l’importanza di questo monte e ne
dispose uno studio per renderlo una fortezza inespugnabile. La costruzione
della galleria iniziò dopo la seconda battaglia del Grappa, 11-22 dicembre
1917, anche se dei primi lavori e misurazioni con strumenti tecnici iniziarono nei primi giorni di dicembre 1917.
Il Gruppo Lavoratori del Ten. Col. Del Genio Gavotti, iniziò subito impiegando
perforatrici, carrelli, pale e picconi. Per la costruzione lavoravano
contemporaneamente anche 400 perforatori, di tipo “Diatto”, “Romeo Italiano
Piccolo” e “Skoda” sottratto al nemico. Il Genio Militare assieme ad operai
civili, dimostrarono ancora una volta, le superiori attitudini e le
sorprendenti riserve di arte, iniziativa e dottrina. La costruzione del
nocciolo del Grappa provocò un totale di circa 80 mila mc di scavo, tale ingente volume di scavo
poteva intendersi ripartito: 1/10 di roccia da mina, 6/10 di roccia tenera e
3/10 di terra forte. Operarono circa 7000 lavoratori adeguatamente dotati di
mezzi e di strumenti (compresi i trasporti). Lo sviluppo complessivo di tutta
la galleria Vittorio Emanuele risultò di circa 4500 metri, il tronco principale, spina dorsale del
complesso, misurava oltre 1500 metri, con direzione longitudinale sud-nord, ricco di numerosi rami e bracci a
giro d’orizzonte dove si affacciavano artiglierie di medio calibro, armi a tiro
rapido e osservatori. Il nocciuolo era stato progettato con spazi per tutte le
necessità, dai magazzini ai serbatoi di acqua potabile in caverna,
all’infermeria con mobilio e brandine. La sezione media delle gallerie era di 2
metri in altezza per 1,5 di larghezza, questo portava alla capacità di 4 uomini
per metro lineare. La galleria era illuminata da luce elettrica, grazie a sei
gruppi elettrogeni, vi erano posizionate 200 lampadine a filamento metallico.
Fu predisposta una difesa contro i gas su tutti gli ingressi dei ricoveri e
delle caverne con delle tende antigas impregnate con soluzione di ipoclorito di
calcio. La galleria possedeva due pozzi che assicuravano un energico fenomeno
di aspirazione verso l’esterno del fumo e dei gas provocato dalle batteria in
caverna e altri ventilatori aspiranti facilitavano il movimento dell’aria.
Visto il terreno così pieno d’insidie e così accidentato, con un nemico vigile
e sempre pronto ad cogliere occasioni, fu predisposto un servizio fotoelettrico
per individuare anche il minimo movimento notturno del nemico. Nel marzo 1918
c’erano in posizione 50 fotoelettriche. Ogni fotoelettrica si spostava su un
piccolo binario Decauville dal ricovero alla piazzola. Nel massiccio del
Grappa, subito dopo la prima occupazione del novembre 1917, il genio militare
cominciò a lavorare per poter fornire l’acqua potabile alla grande massa di
combattenti. Già nel mese di dicembre al monte Archeson a circa 1400 metri era
assicurata una fornitura di 8000 litri all’ora, pompata da motori elettrici. Le
potenti centrali di pompaggio sorsero a Ferronati, Santa Felicita, Osteria del
Campo, Capitello, Borso, Covolo, San Liberale, Caniezza. Per le comunicazioni,
l’Armata del Grappa possedeva diciannove compagnie telegrafiste, dipendenti dal
Comando Genio dell’Armata. Le linee erano aeree e interrate. Nella galleria
Vittorio Emanuele III (nocciuolo del Grappa) furono messi in opera 4 chilometri
di cavi aerei, cassette di protezione a 20 linee, 8 cassette di distribuzione.
Una stazione radiotelegrafica da 500 watt era impiantata sulla cima, con cavi
armati; erano stabilite le comunicazioni tra il nocciuolo e i circostanti
capisaldi anche otticamente. I centralini e le stazioni ottiche di trasmissione
più esposte, erano sistemati nelle caverne della cima. La galleria Vittorio
Emanuele III fu dotata di una speciale colombaia per 50 colombi per il servizio
di corrispondenza messaggi. Nel marzo del 1918 il Re soldato visitò la vetta e
lo stato dei lavori, con tristezza sopra la cuspide del piccolo Oratorio non
trovò più la statua della Madonnina,
abbattuta dallo spostamento d’aria causato dall’esplosione di una
granata d’artiglieria nemica il 14 gennaio 1918. Durante la battaglia dello
solstizio di metà giugno 1918 tutte le
opere completate della galleria dimostrarono la loro funzionalità, le batterie
in galleria aprirono il fuoco e i rifornimenti di ogni tipo arrivarono a
destinazione. Furono sgomberati feriti e ammalati, sostituiti
contemporaneamente dai nuovi rincalzi
della classe 99. Il Generale Gaetano Giardino, Comandante dell’Armata del
Grappa, accompagnò più volte S.M. Vittorio Emanuele III a visitare la galleria
e a osservare il terreno circostante dagli osservatori predisposti. Nei primi
giorni di agosto 1918 la galleria Vittorio Emanuele III era completata e
funzionante in tutte le sue parti. Funzionava come un meccanismo perfetto con
attente regole e disciplina da parte di tutti, Ufficiali e soldati. Durante la
battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre – 4 novembre 1918) il nocciuolo del
Grappa e la galleria fornirono il supporto di fuoco determinante per il
sostegno alle truppe in linea, allo sviluppo della manovra portando alla
disfatta nemica.
Dopo la Grande Guerra, durante
ricorrenze o cerimonie, patriottiche o religiose svolte sulla cima del sacro
Monte, la grande galleria Vittorio Emanuele III viene presentata a moltissimi
visitatori, autorità italiane e
straniere. L’opera fu studiata anche da altri eserciti come quello americano,
che visitò l’opera già due mesi dopo il termine delle ostilità, nel gennaio
1919. Da oltre un secolo si rinnova la visita dell’area monumentale, da parte
di studenti accompagnati dai loro docenti, da associazioni e da semplici
turisti, tutti la conoscono diventando nel panorama storico, un’attrattiva
tecnica di ingegneria da studiare e approfondire. Il nostro Re, vivendo al
fronte con i suoi fanti, ha accompagnato la costruzione e con la sua costante
presenza sulla linea del fronte, ha sigillato il prestigio di questa determinante
opera.
Paolo
Casotto
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